È ricordata per la relazione di grande amicizia con riflessi sentimentali che ebbe con il futuro statista Camillo Benso, conte di Cavour, da lei conosciuto quando questi approdò a Genova nel 1830 per iniziare la sua attività alla Direzione del Genio dell'esercito del Regno di Sardegna. Madre di tre figli, ebbe una vita tormentata e morì suicida all'età di trentaquattro anni. Figlia del barone Giuseppe Schiaffino, di Recco, e di Maddalena Corvetto, figlia di Luigi Emanuele Corvetto, economista e ministro delle finanze francese. Venne soprannominata Nina dallo stesso Cavour, mentre l'appellativo Leopardina le venne dall'entourage letterario di Giacomo Leopardi. Trascorse la prima infanzia a Parigi, crescendo in un ambiente aristocratico: il padre era entrato al servizio di Luigi XVIII di Francia all'indomani della Restaurazione e, nel 1817, quando Nina aveva dieci anni, era stato nominato console generale di Francia a Genova. Precettori di vari paesi le fornirono una formazione classica nell'abitazione di Palazzo Doria Spinola in Strada Nuova (oggi via Garibaldi), dove avevano sede gli uffici del consolato. A diciannove anni di età andò sposa al marchese Stefano Giustiniani, maggiore di lei di sette anni, appartenente ad una delle più influenti famiglie genovesi e vicino agli ambienti di corte del re Carlo Felice di Savoia. A Genova, la marchesa animò dal 1827 quello che fu uno dei salotti filo-repubblicani dell'Ottocento svolgendo attività di patriota con raccolta di fondi e propaganda fra le personalità simpatizzanti della Giovine Italia mazziniana. Fra i frequentatori del suo salotto politico vi erano Agostino Spinola, Giacomo Balbi Piovera, Nicola Cambiaso e Bianca Rebizzo, moglie di Lazzaro Rebizzo, Raffaele Rubattino, organizzatore della spedizione dei Mille. È in tale ambito che, nel 1830, fa la conoscenza dell'allora giovane ufficiale del genio Camillo Cavour. Con Cavour mantenne dalla casa di Palazzo De Mari un fitto rapporto epistolare, soprattutto quando il futuro statista, autore di un discorso contro la tirannide interpretato come moto anti-monarchico, venne richiamato a Torino il 15 dicembre dello stesso anno. Particolare scandalo destò la sua partecipazione ad una rappresentazione lirica in abito di sgargiante colore in disprezzo dei giorni di lutto susseguenti alla morte di Carlo Felice. Per questo motivo la famiglia fu osteggiata dalle autorità locali e Nina dovette trasferirsi a vivere a Milano presso una congiunta. Vi resterà fino al 1834. Da quella data iniziarono i suoi trasferimenti prima a Torino, dove ebbe occasione di rivedere Cavour, e quindi a Vinadio, per curarsi alle locali terme. Infine poté far ritorno a Voltri e alloggiare nella villa della famiglia Giustiniani, dove ricevette ancora visite di Cavour, con cui compì passeggiate lungo la spiaggia della vicina Vesima. I due si vedranno per l'ultima volta durante un'ultima permanenza di Cavour a Voltri, prima della sua partenza per Parigi, intorno al 18 ottobre 1834. Di fatto, mentre venivano diffuse dalla stessa famiglia allarmanti notizie sulle sue condizioni mentali, visse da reclusa gli ultimi anni di vita. Dopo un primo fallito tentativo, riuscì nel suo intento suicida gettandosi da un balcone di Palazzo Lercari, poco distante dalla casa della sua fanciullezza, in cui si era trasferita. Morì dopo alcuni giorni di agonia. È sepolta nella chiesa dei Cappuccini a Genova. Né il marchese Giustiniani - andato poi a seconde nozze con Geronima Ferretti, cui sopravvisse morendo poi di colera nel 1855 - né le famiglia di origine degli Schiaffino e dei Corvetto, vollero che fosse seppellita nelle tombe di famiglia a Voltri, Recco e Nervi.
La lapide sulla sua tomba recita:
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« Annae Schiaffini Corvetto, Pridie Calendas Maias Sui Patriaeque Erptae Stephanus Ex Giustinianeis D. Chiens Parvique Nati Uxori Matrique Optatissimae Insolabiles Poneband. MDCCCXLI » |
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Per Cavour, Nina Giustiniani resterà una cara e sacra ricordanza. Lei - che non aveva dimenticato il conte (inviandogli anche un'accorata lettera d'amore con cui lo riempiva di baci scritta in dialetto genovese) aveva annotato nel suo diario poco prima di compiere il gesto fatale:
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« Lo so che due occhi, una fronte cara mi hanno fatto augurare a me stessa l'anestetizzazione, mi hanno fatto completamente dimenticare la mia esistenza personale, avrei voluto che tutto quello che ho di vita fosse consumato in uno sguardo - che significa questo? Perché per me la mia felicità risiede in un altro? E perché quest'altro è Camillo? Camillo! Ah Camillo! » |