De: solidea (Mensaje original) |
Enviado: 05/09/2011 08:43 |
Nato nell'allora Regno di Sardegna, suo nonno era Giorgio Giovanni, della famiglia aristocratica sarda dei "Mameli" o "Mameli dei Mannelli", sembra originaria di Lanusei; Cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, contrammiraglio della Regia Marina Sarda, aveva percorso tutta la carriera nella marina iniziando da ufficiale, spostandosi per ricoprire la carica a Roma e parlamentare a Torino. La madre era Adelaide Zoagli, della famiglia aristocratica genovese degli Zoagli figlia a sua volta del Marchese Nicolò Zoagli e di Angela dei Marchesi Lomellini. Giorgio Mameli, il padre, aveva comandato a Genova una squadra della flotta del Regno di Sardegna le cui capitali erano Cagliari e Torino. Goffredo Mameli, istruito nelle Scuole Pie di Genova, docente nel collegio di Carcare in provincia di Savona, fu autore, all'età di quasi 20 anni, delle parole del Canto degl'Italiani (1847), più noto in seguito come Inno di Mameli, adottato un secolo dopo come inno nazionale provvisorio della Repubblica Italiana nel 1946, musicato da Michele Novaro. Ma già ai tempi della scuola dimostrò il suo talento letterario componendo versi d'ispirazione romantica, intitolati Il giovane crociato, L'ultimo canto, Le vergine e l'amante. Mameli venne presto conquistato dallo spirito patriottico e, durante i pochi anni della sua giovinezza, riuscì a far parte attiva in alcune memorabili gesta che ancor oggi vengono ricordate, come ad esempio l'esposizione del tricolore per festeggiare la cacciata degli Austriaci nel 1847. Nel marzo 1848 organizzò una spedizione di trecento volontari per andare in aiuto a Nino Bixio durante l'insurrezione di Milano e, in virtù di questa impresa coronata da successo, venne arruolato nell'esercito di Giuseppe Garibaldi con il grado di capitano. In questo periodo compose un secondo canto patriottico, intitolato l'Inno militare musicato da Giuseppe Verdi. Dopo l'armistizio, tornato a Genova riuscì a dedicarsi alla composizione musicale diventando contemporaneamente direttore del giornale Diario del Popolo e senza dimenticare di pubblicizzare le sue idee irredentiste nei confronti dell'Austria. La sua opera di patriota venne anche svolta: a Roma, nell'aiuto a Pellegrino Rossi e per la proclamazione del 9 febbraio 1849 della Repubblica romana di Mazzini, Armellini e Saffi; e in una campagna, svolta a Firenze, per la fondazione di uno stato unitario tra Lazio e Toscana. Nel suo continuo vagabondaggio si trovò nuovamente a Genova, sempre al fianco di Nino Bixio nel movimento irredentista fronteggiato dal generale Alberto La Marmora, quindi nuovamente a Roma nella lotta contro le truppe francesi venute in soccorso di Papa Pio IX . La sua morte avvenne in seguito a delle circostanze accidentali: nella difesa della Villa del Vascello durante la breve Repubblica romana del 1849 fu ferito in maniera non particolarmente grave con la baionetta, da parte di un commilitone, alla gamba sinistra, che dovrà però essere amputata per la sopraggiunta cancrena dal medico ed amico Agostino Bertani. Morì per la sopravvenuta infezione il 6 luglio 1849, alle 7.30 del mattino, a soli 21 anni, presso l'ospizio della Trinità dei Pellegrini . Fu sepolto al Verano, dove è ancor oggi visibile il suo monumento. Tuttavia le sue spoglie vennero traslate nel 1941 al Gianicolo, dove il fascismo belligerante aveva spostato e ricostruito il Mausoleo Ossario Garibaldino eretto inizialmente (nel 1879) lì presso, nel piazzale di San Pietro in Montorio. Le sue spoglie riposano nel Gianicolo. |
|