Io sono Gagarin. Per primo ho volato, e voi volaste dopo di me. Sono stato donato per sempre al cielo, dalla terra, come il figlio dell'umanità. In quell 'aprile i volti delle stelle, che gelavano senza carezze, coperte di muschio e di ruggine, si riscaldarono per le lentiggini rossigne di Smolensk salite al cielo. Ma le lentiggini sono tramontate. Quanto mi è terribile non restare che un bronzo, che un'ombra, non poter carezzare né l'erba, né un bambino, né far scricchiolare il cancelletto d'un giardino. Da sotto la nera cicatrice del timbro postale vi sorrido io con il sorriso ch'è volato via. Ma osservate bene cartoline e francobolli e capirete subito: per l'eternità io sono in volo. Mi applaudivano le mani dell'intera umanità. La gloria tentava di sedurmi, ma no, non c'è riuscita.
Sulla Terra mi sono schiantato, quella che per primo ho visto tanto piccola, e la terra non me l'ha perdonata. Ma io perdono la Terra, sono figlio suo, in spirito e carne, e per i secoli prometto di continuare il mio volo al di sopra dei bombardamenti, delle tele-radiomenzogne, che la stringono con le loro volute, al di sopra delle donnicciole che baldanzosamente ballano lo streep-tease per i soldati nel Viet Nam, al di sopra della tonsura del frate che vorrebbe volare, ma è imbarazzato dalla sottana, al di sopra della censura che nella sua tonacaccia, inghiottì in Spagna le ali dei poeti...
C'è chi è in volo nel simun vorticoso di stelle. C'è chi si dibatte nella palude da se stesso voluta. Uomini, o uomini ingenui spacconi, pensate: non vi fa paura alzarvi dal Capo che porta il nome dell'uomo che avete ucciso? Vergognatevi di questo baccano da mercato! Voi siete gelosi, rapaci, vendicativi. Come potete cadere tanto in basso se volate tanto in alto?!
Io sono Gagarin, figlio della Terra, figlio dell'umanità: sono russo, greco e bulgaro, australiano e finlandese.
Vi incarno tutti col mio slancio verso i cieli. Il mio nome è casuale, ma io non sono stato per caso.
Mentre la terra s'insozzava di vanità e di peccato, il mio nome cambiava, ma l'anima no.
Mi chiamavano Icaro. Giacqui nella polvere, nella cenere. Mi aveva spinto verso il sole il buio della terra.
La cera si sciolse, spargendosi qua e là. Caddi senza salvezza, ma un pizzico di sole rimase stretto nella mia mano.
Mi chiamarono servo. La rabbia mi pesava sulla schiena mentre, ritmando il tempo con le mani e coi piedi, danzavano sul mio corpo.
Io caddi sotto le bastonate, ma, maledicendo la servitù, mi costruii delle ali coi bastoni dei miei torturatori! Ad Odessa fui Utockin. Fece uno scarto il duca, quando al di sopra dei suoi pantaloncini a piffero si levò un cavallo volante.
Sotto il nome di Nesterov girando sopra la Terra, feci innamorare la luna col mio giro della morte.
La morte fischiava sulle ali. è una virtù disprezzarla e con Gastello imberbe mi gettai in volo sul nemico.
E le ali temerarie ardendo come un rogo, hanno protetto, voi che foste allora ragazzi, Aldrin, Collins, Armstrong.
E, sicuro della speranza che gli uomini sono un'unica famiglia, dell'equipaggio di Apollo invisibile io ero.
Mangiammo dai tubetti, avremmo brindato in viaggio come sull'Elba, ci abbracciammo sulla Galassia.
Il lavoro procedeva senza scherzi. Era in gioco la vita e con lo stivale di Armstrong io scesi sulla Luna.
Evgenij A. Evtusenko
1969
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