Helene Bertha Amalia Riefenstahl detta Leni (Berlino, 22 agosto 1902 – Pöcking, 8 settembre 2003) è stata una regista, attrice e fotografa tedesca. Fu celebre soprattutto come autrice di film e documentari che esaltano il regime nazista e che le assicurarono una posizione di primopiano nella cinematografia tedesca del suo tempo. In seguito si propose come autrice di opere sulle culture tradizionali africane e sulla biologia marina.
Sebbene la sua arte abbia avuto una forte connotazione propagandistica, nei suoi film non sono presenti i principi antisemiti e razzisti che invece permeavano le idee di Goebbels e Julius Streicher.
La sua dimensione artistica non può essere ridotta a quella politica: la sua personalità anticonformista non corrisponde al modello femminile nazista e la sua influenza culturale, le sue innovazioni tecniche e il suo prestigio sopravvissero alla caduta del regime e le permisero di minimizzare il suo passato nazista (che comunque le impedì a lungo di lavorare), riaffiorato negli anni ottanta nella causa legale contro la regista tedesca Nina Gladitz..
Leni fu amica di Pabst e von Sternberg, di Mussolini e di Cocteau, visse coi Nuba e rifiutò le avances di Goebbels che, singhiozzando, le strisciò ai suoi piedi. Filmò la leggenda di Jesse Owens e rischiò la vita in Kenya – la sua jeep precipitò in un burrone pur di non investire un antilope nana. Vide Remarque cornificato dalla moglie e i primi schizzi di ‘Fantasia’ dalle mani di Walt Disney in persona. Fu testimone in Sudan di una rivoluzione, diventò documentarista subacquea alla tenera età di ottantanni (barò sulla data di nascita nella domanda di ammissione; ‘1922‘, scrisse, anziché 1902), trattò a pesci in faccia Goering, fu presa a sassate dalle donne Masai, cacciò orsi polari tra i ghiacciai della Groenlandia. Giurò, nonostante la sua amicizia con Hitler e con tutti i caporioni del regime nazista, di essere sempre stata all’oscuro dell’esistenza dei campi di concentramento e dello sterminio degli ebrei e quando andò in America nel 1938 e si sentì gridare: “E’ vero che i tedeschi bruciano le sinagoghe, distruggono i negozi ebraici e uccidono gli appartenenti a quel popolo?” replicò inorridita: “ E’ tutta una montatura!” ma nel 1949 la rivista Revue la accusò di aver reclutato come comparse degli zingari spagnoli internati ad Auschwitz per il suo film ‘Bassopiano’. Nell’aprile del 1952 il tribunale di denazificazione di Berlino la scagionò da queste accuse infamanti, ma la storia degli zingari di Auschwitz la perseguitò per tutta la sua vita. Nel 1995 uscì in Italia col titolo di ‘Stretta nel tempo‘ ‘Memoiren’ la sua biografia; più di 500 pagine di ricordi, rivelazioni inedite, versioni definitive su episodi controversi con le quali la sua autrice voleva saldare tutti i conti in sospeso con la Storia.
Uno dei suoi film più celebri fu Olympia del 1938 che documenta i Giochi olimpici di Berlino 1936. Il film, primo documentario mai girato su un'Olimpiade, è diviso in due parti: Olympia - Festa di popoli (in tedesco Olympia: Fest der Völker), lunga 123 minuti, e Olympia - Festa di bellezza (Olympia Fest der Schönheit), lunga 94 minuti. Nel documentario furono utilizzate molte tecniche cinematografiche innovative per l'epoca che successivamente sarebbero diventate standard del cinema: dalle novità sugli angoli delle inquadrature ai primi piani estremi, ai binari nello stadio per fotografare la folla. La tecnica utilizzata è unanimemente ammirata dai critici, anche se sul film sono sorte ovvie controversie per quanto riguarda il contenuto politico.
La natura propagandistica del documentario traspare dal film? Il nodo è definire se questo sia un film voluto dal Terzo Reich per esaltare il regime. In realtà, i Giochi olimpici del 1936 sono stati definiti le "Olimpiadi di Hitler", e senza dubbio il regime nazista sfruttò la manifestazione per magnificare il Terzo Reich, e da questo punto di vista qualsiasi film che documentasse accuratamente l'evento potrebbe essere considerato propagandistico, una tesi questa sostenuta dalla maggioranza dei critici cinematografici.
Ma i difensori della Riefenstahl puntano sul primo piano dedicato all'espressione di disappunto mostrata da Hitler quando l'afroamericano Jesse Owens vinse una delle sue quattro medaglie d'oro, quella nel salto in lungo. Un'inquadratura nella quale alcuni leggono un tacito dissenso sulle dottrine naziste sulla supremazia razziale. Nel film, del resto, tutti i vincitori non-"Ariani" vengono ugualmente ripresi. Per valutare la pellicola c'è da aggiungere il ben documentato legame della Riefenstahl con Hitler e con altre figure di alto rango del regime.
Ma per la bellezza di riprese e montaggio e per le tecniche innovative utilizzate Olympia è considerato ugualmente uno dei più bei film del secolo.
Fu definita La Sacerdotessa del bello, e fece sua una citazione dell'ebreo Albert Einstein:
“Su di me è stata scritta una tale quantità di spudorate menzogne e di invenzioni arbitrarie che, se me ne fossi curato, sarei già da lungo sotto terra.
Ci si consola al pensiero che il tempo possiede un vaglio attraverso il quale gran parte delle sciocchezze finisce nel mare dell’oblio”.