C'è un uomo seduto sul muretto del Lungotevere non lontano dall'Isola Tiberina, un uomo di forse cinquant'anni, dal volto intenso e pensoso, ma sereno.
Guarda lontano e lascia ciondolare le gambe, un po' come fanno i ragazzini.
Accanto a lui un carrello; simile a quelli che vengono usati per fare la spesa.
Nei miei vagabondaggi quotidiani mi sono trovato a pochi passi da lui e d'istinto l'ho salutato.
Mi ha risposto con voce limpida e ferma.
Poco discosto ci sono alcuni cartoni sui quali c'è un sacco a pelo ancora schiuso, dove evidentemente l'uomo ha trascorso la notte.
«Non fa freddo». Mormora imbarazzato. «Da alcune ore è venuta la primavera».
Me lo dice quasi fosse merito mio e me ne volesse ringraziare.
Mi colpisce la serenità, straordinaria di questo essere umano che sembra non corrispondere in nulla al suo aspetto e alla sua condizione.
Così il nostro dialogo si avvia e mi consente di scoprire che l'uomo di fronte a me è un docente universitario, cattedratico di lettere e filosofia, che già da un paio di anni vive in quest'insenatura del Tevere.
Da quando si è congedato dall'università ha delegato la moglie a ritirare la pensione e se n'è andato di casa.
«Voglio vivere in pieno il tempo della vita».
Anche Tolstoj a novantadue anni è fuggito di casa e quando l'hanno ritrovato in una stazioncina della grande Russia pare abbia mormorato: «Che peccato; finalmente ce l'avevo fatta».
Mi spiega che non poteva continuare a mentire a se stesso, che il sistema universitario era una vera e propria truffa ai danni di una qualsiasi vera cultura, e che solo ora, finalmente, essendo in uno stato di libertà, incomincia ad afferrare il senso della vita.
D'istinto, mentre ascolto la sua voce serena e chiara, formulo mentalmente l'ipotesi che quest'uomo sia vittima di una depressione.
Il professore mi guarda e sorride: «Stai pensando che sono pazzo?».
«Beh, devo confrontarmi con questa tua strana condizione: un professore d'Università che preferisce fare la vita del barbone, chiedendo l'elemosina».
«Guarda che non chiedo l'elemosina e tanto meno la voglio. Mi sono tolto di dosso le bollette, le tasse, i telegiornali, le finte amicizie, un mondo culturale mediocre e privo di reale verità. Vivo fuori dalla logica del denaro. Sapessi che emozione la libertà! Mangio alla Caritas e alla mensa comunale e per il resto mi godo l'immensità del tempo. Ho vissuto di più in questi due anni che in tutto il resto della mia vita».
«E la cultura?»
«Solo ora posso esercitarla, nelle lunghe ore di riflessione e da questo osservatorio vedo finalmente il mondo e le sue vere sciagure».
«Tu avevi una posizione di privilegio che ti ha permesso di scegliere, ma tutti quelli che sono all'indigenza, pensionati costretti a frugare tra i rifiuti dei mercati, oltre i confini della dignità?».
Fa un gesto con la mano a indicare i pochi metri quadri che lo ospitano.
«Eppure qui ho scoperto il vero e unico scopo della vita stessa e conseguentemente il tempo per viverla. Niente è più importante».
Poi mi consegna un foglietto di carta che qui trascrivo.
«Se è vero, come dite, che il mondo è dolore e sofferenza, cosa sono i fiori di tiglio e i nidi d'ape? E le foglie, che rivelano il vento, e questo mio essere contento, solo di poter vivere e vedere?».
Silvano Agosti