Nato da Elisabetta Costa, originaria bellunese e presumibilmente da Bonfiglio Laccabue, originario di Reggio Emilia. Nel 1942 il pittore cambierà il cognome Laccabue in Ligabue, presumibilmente per l'odio verso il padre, che considerava l'uxoricida di Elisabetta Costa. Nel settembre 1900 fu affidato agli svizzeri Johannes Valentin Göbel ed Elise Hanselmann. Nel 1913 morirono tragicamente la madre, Elisabetta, e tre fratelli, a seguito di un'intossicazione alimentare. Iniziò a lavorare saltuariamente come bracciante agricolo e condusse una vita errabonda. Dopo un vivace alterco con la madre affidataria fu ricoverato in una clinica psichiatrica. Nel 1919, su denuncia della Hanselmann, fu espulso dalla Svizzera. Da Chiasso fu condotto a Gualtieri, paese d'origine del padre adottivo ma, non sapendo una parola d'italiano, fuggì dal paese tentando di tornare in Svizzera. Riportato al paese, visse del soccorso del Comune nell'Ospizio di mendicità Carri. Nel 1920 gli fu offerto un lavoro agli argini del Po e proprio in quel periodo iniziò a dipingere. Nel 1928 incontrò Renato Marino Mazzacurati il quale ne comprese l'arte genuina e gli insegnò l'uso dei colori ad olio guidandolo verso la piena valorizzazione del suo talento. In quegli anni si dedicò completamente alla pittura, continuando a vagare senza meta lungo il fiume Po. Nel 1937 fu ricoverato in manicomio a Reggio Emilia per atti di autolesionismo. Nel 1941 lo scultore Andrea Mozzali lo fece dimettere dall'ospedale psichiatrico e lo ospitò a casa sua a Guastalla, vicino a Reggio Emilia. Durante la guerra fece da interprete per le truppe tedesche. Nel 1945 per aver percosso con una bottiglia un militare tedesco, fu internato in manicomio e vi rimase per tre anni. Nel 1948 iniziò a dipingere più intensamente, e giornalisti, critici e mercanti d'arte iniziarono a interessarsi a lui. Nel 1957 Severo Boschi, "firma" de Il Resto del Carlino, e il noto fotoreporter Aldo Ferrari si recarono a Gualtieri per incontrarlo: ne scaturì un servizio sul quotidiano e immagini tuttora notissime. Nel 1961 fu allestita la sua prima mostra personale alla Galleria La Barcaccia di Roma. Ebbe un incidente di motocicletta e l'anno successivo fu colpito da paresi. Guastalla gli dedicò una grande mostra antologica. Chiese di essere battezzato e cresimato, morì il 27 maggio 1965. Riposa nel cimitero di Gualtieri, sulla sua lapide la maschera funebre in bronzo ad opera di Mozzali.
Fu denominato Al Matt (il matto) o Al tedesch (il tedesco).
Nel 1965, all'indomani della sua morte, gli venne dedicata una retrospettiva nell'ambito della IX Quadriennale di Roma.