De: lucy46 (Mensaje original) |
Enviado: 19/12/2012 08:33 |
Dopo aver trascorso alcuni anni in Sudafrica, dove si specializzò in cartellonistica. Tornato in Italia trovò lavoro alla FACE Standard di Maddaloni, dove lavorava come impiegato e sindacalista della CGIL. Sposato e padre di due figli, era impegnato nell'attività di associazioni sportive e culturali, in particolare con il "Circolo archeologico calatino" e con la sezione locale del Partito Comunista Italiano. Venne ucciso l'11 ottobre 1983, all'uscita della fabbrica. Imposimato era in macchina con la moglie ed il cane per recarsi a casa dopo il lavoro. A trecento metri dallo stabilimento, la macchina si trovò la strada sbarrata da una Ritmo 105 con a bordo tre sicari. Due di questi scesero e cominciarono a fare fuoco. Franco Imposimato, colpito da 11 proiettili, morì sul colpo. Nell'agguato riuscì a salvarsi sua moglie, benché gravemente ferita da due proiettili sparati dal killer Antonio Abbate, riconosciuto dalla donna anni dopo in sede processuale. In un primo momento si parlò di terrorismo legato alle Brigate Rosse, il giorno dopo l'omicidio nella sede napoletana dell'ANSA giunse una telefonata anonima: «È stato ucciso il fratello del giudice boia», ma ben presto si rese chiara la matrice mafiosa e camorristica del delitto, anche se per le sentenze definitive si è dovuto attendere fino al 2000 e il processo Spartacus. Franco Imposimato fu vittima di una vendetta trasversale decisa dalla banda della Magliana, con la complicità della camorra e di Cosa Nostra per intimidire il fratello, Ferdinando Imposimato, giudice istruttore a Roma che nel 1983 aveva depositato la prima e la seconda sentenza del processo sull'omicidio di Aldo Moro, aveva seguito diversi processi di mafia e stava indagando sulla Banda della Magliana, avvicinandosi a verità scomode. Ferdinando Imposimato stava sferrando un duro colpo alla mafia, andando a svelare i suoi legami con la politica e le sue alleanze romane e campane. Indagando su Pippo Calò, capo della famiglia di Porta Nuova a Palermo e cassiere di Cosa Nostra a Roma. All'epoca dei fatti Cosa Nostra era legata, da un lato, a Roma attraverso la Banda della Magliana, e dall'altro alla camorra casertana e napoletana. Pippo Calò, sentendosi minacciato dalle indagini giudiziarie, chiese ai casalesi di uccidere Franco Imposimato, per ritorsione contro il fratello giudice, un bersaglio troppo difficile da raggiungere. L'ordine passò a Lorenzo Nuvoletta, che a sua volta si rivolse a Vincenzo Lubrano, il quale infine affidò l'esecuzione materiale del delitto a Tonino Abbate e Raffaele Ligato. I casalesi accettarono l'incarico anche perché l'impegno ambientalista di Franco Imposimato, per quanto riguarda le cave abusive di Maddaloni, andava a scontrarsi con i loro interessi. Il processo Spartacus portò alle condanne all'ergastolo in via definitiva per Pippo Calò, Vincenzo Lubrano, Antonio Abbate e Raffaele Ligato. |
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