Nato in una famiglia borghese, da Armando, umbro, e Angela Antonione Satta, laziale, è il primogenito di due fratelli, Beniamino e Elda. Nell'infanzia soffre spesso di bronchiti e allergie. Quando il padre torna dalla guerra malato di sifilide, la madre decide di lasciarlo e si trasferisce a Pesaro con la figlia, lasciando i due maschi col padre. Nel 1925 si diploma in ragioneria, ma legge molta letteratura. La scelta di scrivere poesia viene intorno al 1928, quando la propria sensibilità cerca un territorio per diventare espressione. Lavora tra Perugia e Roma in modo saltuario, facendo diversi mestieri: il contabile (presso una zia materna e poi in un'azienda edile che chiude nel 1932), l'allibratore di corse ippiche, il commesso di libreria, poi il correttore di bozze e il mercante d'arte, e volentieri rimane anonimo in lunghe passeggiate tra la gente, soprattutto di sera. Ha modo di entrare in contatto con il mondo dei letterati in seguito alla conoscenza di Umberto Saba nel 1929 e all'incontro con gli artisti fiorentini che frequentano il "Caffè Le Giubbe Rosse" di Firenze. Dal 1937 per due anni vive a Milano lavorando come correttore di bozze e come commesso alla Hoepli. Nel 1939, grazie all'interessamento di Giansiro Ferrata e Sergio Solmi, pubblica la prima raccolta di versiil cui successo lo fece entrare, come collaboratore, in alcune importanti riviste dell'epoca, come "Corrente", "Letteratura", "Frontespizio", "il Mondo" su cui apparvero negli anni '40 alcune prose che saranno più tardi (1973) raccolte nel volume Un po' di febbre. Mentre si reca a Catania per cercare di intraprendere un'attività di commercio in libri rari, sente la dichiarazione di guerra alla radio. Nel 1943 muore il padre. Nel 1950 venne pubblicato il suo secondo librodi versi uscito nelle edizioni della Meridiana con il titolo di Appunti. Nel 1955 pubblicò il racconto Arrivo al mare e nei due anni seguenti due opere importanti che definiranno meglio la sua personalità e lo stile della sua poesia: Una strana gioia di vivere, nel 1956 e la raccolta completa delle sue Poesie con cui ottiene il Premio Viareggio. Nel 1958 pubblicò Croce e delizia e solamente nel 1970 apparve il suo libro Tutte le poesie che comprendeva le poesie precedenti e molti inediti. In quello stesso anno fu assegnato a Penna il Premio Fiuggi. Le sue poesie vengono anche tradotte e inserite in diverse antologie all'estero. Intanto nel 1964 muore la madre, e il poeta, che ha sempre vissuto in semi-povertà, va a vivere a casa di lei. Ora gira in automobile e con un cane lupo nelle borgate e per Ostia. Accetta che vengano raccolte alcune prose e appunti di viaggio in un nuovo libro, Un po' di febbre. Vive una vecchiaia precoce. Perde i denti per una piorrea, ma rifiuta di indossare protesi, per dormire usa molti sonniferi, esce poco e quasi mai di giorno. Nel 1976 viene pubblicato sull'"Almanacco dello Specchio" una scelta di sue poesie e, alla fine di quell'anno, il volume Stranezze per il quale, nel gennaio del 1977, pochi giorni prima della morte, gli viene assegnato il Premio Bagutta, ma le condizioni di salute non gli permettono di ritirare il premio. Dopo la morte escono diversi inediti, e la sua pudica omosessualità non è quasi più considerata scandalosa. Solitamente Penna viene annoverato tra i tre principali poeti della cosiddetta "linea antinovecentesca" o "linea sabiana". Il termine è giustificato dal fatto che la loro produzione più significativa si colloca negli anni trenta, in pieno clima ermetico. Essi, infatti, si distaccano dal linguaggio allora in voga, volutamente difficile, elitario, caratterizzato da uno spirito analogico-simbolico; il loro è un linguaggio che risponde essenzialmente a tre elementi costitutivi:
Ero solo e seduto. La mia storia appoggiavo a una chiesa senza nome. Qualche figura entrò senza rumore, senz’ombra sotto il cielo del meriggio.
Nude campane che la vostra storia non raccontate mai con precisione. In me si fabbricò tutto il meriggio intorno ad una storia senza nome.
**********************
Come è bella la luna di dicembre che guarda calma tramontare l’anno. Mentre i treni si affannano a quei fuochi stranissimi ella sorride.
*********************
Come è forte il rumore dell’alba! Fatto di cose più che di persone. Lo precede talvolta un fischio breve, una voce che lieta sfida il giorno. Ma poi nella città tutto è sommerso. E la mia stella è quella stella scialba mia lenta morte senza disperazione.
Mi nasconda la notte e il dolce vento. Da casa mia cacciato e a te venuto mio romantico antico fiume lento. Guardo il cielo e le nuvole e le luci degli uomini laggiù così lontani sempre da me. Ed io non so chi voglio amare ormai se non il mio dolore. La luna si nasconde e poi riappare - lenta vicenda inutilmente mossa sovra il mio capo stanco di guardare.
Era l'alba sui colli, e gli animali ridavano alla terra i calmi occhi. Io tornavo alla casa di mia madre. Il treno dondolava i miei sbadigli acerbi. E il primo vento era sull'erbe.
Altissimo e confuso, il paradiso della mia vita non aveva ancora volto. Ma l'ospite alla terra, nuovo, già chiedeva l'amore, inginocchiato.
Cadeva la preghiera nella chiusa casa entro odore di libri di scuola. Navigavano al vespero felici gridi di ucceli nel mio cielo d'ansia.
***************
"Lasciami andare se già spunta l'alba" Ed io mi ritrovai solo fra i vuoti capanni interminabili sul mare. Fra gli anonimi e muti cubi anch'io cercavo una dimora? Il mare, il chiaro mare non mi voltò con la sua luce? Salva era soltanto la malinconia? L'alba mi riportò, stanca, una via.