Quello che nei giorni scorsi davamo in forma dubitativa, non avendo
il testo della sentenza, ora lo possiamo dire con certezza: la Corte di
Cassazione ha aperto la strada per il riconoscimento della pedofilia in
Italia. La sentenza, che ora abbiamo in mano e riportiamo in fondo a
questo articolo, è purtroppo inequivocabile.
Il caso è quello del 60enne, impiegato nei servizi di assistenza sociale
del suo comune, condannato in appello a 5 anni di reclusione perché
trovato in atteggiamenti intimi con una bambina di 11 anni a lui
affidata. Come noto i giudici di Cassazione hanno parzialmente annullato
la sentenza della Corte di Appello. Per capire perché ci soffermiamo
sul numero 6 dei “Motivi della sentenza”. La Cassazione vuole che al
caso si applichi l’«attenuante del fatto di minore gravità di cui
all’art. 609 quater, comma 4». Nello specifico l’attenuante dovrebbe
essere ravvisata nel consenso prestato dalla bambina, cioè dal fatto che
– come vedremo più in dettaglio tra qualche riga – la piccola non subì
coartazione alcuna perché “innamorata”. In sintesi la Cassazione
giudicava erroneo che per i magistrati dell’Appello “non rilevava che
l’imputato non avesse adottato forme di violenza e coartazione verso la
vittima. Erano poi irrilevanti [per la Corte di Appello] il consenso
della vittima e la circostanza che i rapporti sessuali si erano
innestati nell’ambito di una relazione amorosa”.
La corte di Appello invece stabilì che “l’attenuante in questione non poteva essere riconosciuta
perché vi era stata congiunzione carnale e perché si trattava di una
ragazza minore di anni quattordici, il cui consenso non rilevava”. In
altri termini ciò che è importante per i giudici d’Appello e per il
Codice Penale ai fini della configurazione dell’ipotesi delittuosa è il
fatto in sé, con o senza consenso della vittima. La minore gravità
inoltre non si può ravvisare perché appare evidente che se l’imputato si
fosse fermato a qualche bacio la situazione – pur sempre aberrante –
sarebbe stata oggettivamente di minore gravità rispetto a rapporti
completi e pure reiterati nel tempo. Ma così non è stato e dunque non si
può configurare un minor grado di gravità del reato.
In merito poi al “consenso” prestato dalla undicenne
– consenso che secondo la Cassazione dovrebbe mitigare la pena -
l’art. 609 quater configura l’illecito anche se la vittima è
consenziente proprio per evitare attenuanti in casi dove, per
l’immaturità del soggetto coinvolto, un valido consenso non si può
ipotizzare essendo questi facilmente manipolabile dall’adulto e non in
grado comunque di comprendere appieno la portata del gesto intimo che
andrà a compiere. Ciò non toglie che se ci fosse stata violenza, la pena
sarebbe stata ancor più grave (art. 609 ter comma 1, n. 1). Insomma la
Corte di Appello si è limitata ad applicare la legge. Ed invece cosa ti
scrivono i giudici di Roma? “L’attenuante è stata quindi esclusa sulla
base di elementi in realtà non voluti e non previsti dal legislatore”.
Infatti gli ermellini della Cassazione individuano “ragioni mitigatorie attenuative”.
La prima sarebbe che “l’atto sessuale si inseriva nell’ambito di una
relazione amorosa; e che […] lo stesso nel caso di specie non poteva
ritenersi invasivo allo stesso modo dell’ipotesi in cui avvenga con
forza e violenza e al di fuori di una relazione amorosa”. Sul punto ci
sono da rilevare almeno due critiche. La prima: come ha detto la Corte
di Appello parlare di “amore” tra un sessantenne e una undicenne è
“innaturale” e ciò che è insano come fa ad essere un’attenuante? Ai
giudici di Roma invece appare cosa normale, tanto da poter attenuare la
pena inflitta.
In secondo luogo laddove la Cassazione considera la mancanza di violenza
come un motivo di attenuazione della pena, il Codice Penale invece la
considera come fattispecie a se stante. Non è una sottigliezza da
legulei, ma è un problema di sostanza. La legge ti dice che se tu adulto
hai rapporti con una minore di anni 14 che non si ribella a te è molto
grave (art. 609 quater). Se invece c’è stata violenza è ancor più grave e
la pena è maggiorata (art. 609 ter comma 1, n. 1). Le norme del Codice
Penale non parlano di attenuanti laddove non c’è violenza, bensì parlano
di atto grave (senza violenza) e ancor più grave (con violenza),
distinguendoli in due reati separati. L’attenuante infatti rimanda ad un
elemento in sé buono da applicarsi ad un reato, capace di suscitare nei
giudici non giustificazione dell’atto ma tuttalpiù comprensione. Chi
plaudirebbe il reo perché, sebbene abbia abusato della piccola, non l’ha
fatta oggetto di violenza? Ed è proprio per il fatto che la mancanza di
violenza nei rapporti con una minore di anni 14 non è considerata
un’attenuante che questa fattispecie trova una sua norma ad hoc, per
ribadire il suo carattere comunque delittuoso, stante un presunto
consenso da parte della vittima.
Se invece seguiamo la logica della sentenza della Cassazione
allora dovremmo abrogare l’art. 609 quater perché la stessa sentenza ne
vuole sopprimere proprio la sua peculiarità: l’illiceità degli atti
sessuali compiuti con minore di anni 14 anche se questo è consenziente.
La cifra caratteristica di questo articolo è il fatto in se stesso, cioè
l’avere avuto atti intimi con un bambino, nulla rilevando la personale
maturità psicologica, gli stati d’animo, il consenso, la mancanza di
violenza, etc. Forse che la Cassazione vuole cancellare il reato di
pedofilia?
Invece i magistrati capitolini vanno per la loro strada
e si appellano a precedenti pronunciamenti dei loro colleghi in
Cassazione. Ma andando a leggere gli stralci riportati di queste
sentenze, si comprende che il rimando non è pertinente. Infatti i
giudici semplicemente tengono a puntualizzare che le attenuanti di
minore gravità ex art. 609 quater ultimo comma possono applicarsi anche
laddove la vittima è davvero piccola. Ma non scrivono da nessuna parte
che un’attenuante da tenere in considerazione è la mancanza della
violenza sessuale o una relazione “amorosa” tra vittima e carnefice. “I
casi di minore gravità” di cui parla l’art. 609 quater devono essere
ravvisati ex art 133 cp in alcuni elementi oggettivi della condotta
quali la natura, la specie, i mezzi, l'oggetto, il tempo, il luogo e
ogni altra modalità dell'azione che costituisce reato. Nel caso in esame
il reo non si è “limitato” a toccamenti e carezze ma si è spinto ben
più oltre e dunque, come abbiamo già visto, queste attenuanti non si
possono tenere in conto.
Sempre ex art 133 la gravità del reato deve essere giudicata
in base alla “gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona
offesa dal reato”. E’ di palmare evidenza che una bambina
violata nella propria intimità porterà per moltissimi anni nella sua
psiche danni gravissimi e forse irreparabili. E’ proprio perché la
presunzione è certa che il Parlamento ha novellato la materia con la
legge n. 38/2006 sanzionando sempre questi particolari illeciti.
Infine la quantità di pena da comminare deve tenere
conto della “intensità del dolo” o del “grado della colpa”. Nel nostro
caso il dolo è stato assai “intenso” dato che c’è stata reiterazione
dell’atto illecito come rilevato dalla Corte di Appello che ha ravvisato
la continuazione di reato ex art. 81 cp. Insomma nessuno dei criteri
previsti dall’art. 133 e richiamati dalla stessa Cassazione per mitigare
la pena può essere applicato a questo caso.
Ed invece i giudici della Cassazione rinvengono una “minore lesività del fatto in concreto”
nei seguenti elementi oggettivi: “la qualità dell’atto compiuto (più
che la quantità di violenza fisica)”. Traduciamo: l’ “affetto” tra
vittima e reo è un aspetto qualitativo importante da tenere in
considerazione per essere equi, più che la mera mancanza di violenza
fisica. Peccato che il nostro ordinamento giuridico disapprova anche il
solo “affetto” perché lo considera insano - tentando di reprimere anche
le sole avances dei pedofili - nonché pericoloso perché può aprire la
porta ad azioni più lesive.
Poi la Cassazione trova un’attenuante anche nel
“grado di coartazione esercitato sulla vittima”, scordandosi che una
undicenne non comprende quasi per nulla quale sia il reale significato
dell’atto sessuale e che la sua libertà è minima nelle mani di una
persona adulta.
I giudici inoltre fanno riferimento alle “condizioni (fisiche e mentali)” della vittima
e alle sue “caratteristiche psicologiche (valutate in relazione
all’età)” sempre nell’intento di mitigare la pena. Ma è proprio tenendo
in considerazione queste caratteristiche che è stato introdotto il reato
di “atti sessuali con minorenne”. Se escludiamo tali aspetti di natura
fisiologica e psicologica dobbiamo mandare in soffitta lo stesso reato
di “atti sessuali con minorenne”.
Infine si fa menzione, come altro motivo attenuante,
all’“entità della compressione della liberà sessuale” e al “danno
arrecato alla vittima anche in termini psichici”. Sulla questione del
consenso e del danno ci siamo soffermati più sopra ricordando che una
undicenne non può esprimere un consenso davvero valido in relazione a
rapporti intimi e che i danni ci saranno sicuramente in futuro nella
psiche di questa bambina. Ed invece la Cassazione rimbrotta i propri
colleghi dell’Appello perché “il turbamento e le conseguenze patite
dalla vittima anche in un’ottica futura” sono solo ipotesi non
verificate, perché mancherebbe la “prova di aver ancorato il proprio
asserto su emergenze specifiche (sì che l’assunto si propone quasi come
un’affermazione di principio frutto di mera supposizione)”. Avete
compreso bene: un rapporto pedofilo non è di suo dannoso, sempre e
comunque. Si deve dare prova contraria per sostenerlo. Ci deve essere
inoltre un’emergenza specifica per attivarsi, altrimenti lasciamo
correre. Perché il danno – per la Cassazione – se si è verificato, è
stato comunque mitigato da fattori quali “il ‘consenso’, l’esistenza di
un rapporto amoroso, l’assenza di costrizione fisica, l’innamoramento
della ragazza”.
E quindi la Corte rimanda l’incartamento di nuovo in Appello
perché quest’ultima non ha spiegato il motivo per cui tutti gli
elementi suddetti non configurano una minore gravità dell’atto. E tutto
questo in nome del Popolo italiano, cioè a nome nostro.