ROMA
è morto nella notte, a Roma, Antonio Giolitti. Partigiano, padre costituente, ministro, fu prima iscritto al Pci poi passò al Psi per tornare nelle file del partito comunista nel 1987, per l’ultimo incarico da parlamentare. Avrebbe compiuto 95 anni il 12 febbraio. Fu nipote di Giovanni Giolitti. Per la sua morte hanno espresso cordoglio, tra i primi, Pier Luigi Bersani, Piero Fassino e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: «Antonio Giolitti - scrive quest'ultimo - ha lasciato l’impronta di una personalità di eccezionale levatura culturale e morale nella vita politica e nell’attività di governo.Partecipo con profonda commozione al dolore dei famigliari e al più vasto cordoglio per la sua scomparsa». Per Fassino fu «Un protagonista della storia della Repubblica, della democrazia e della sinistra. Un partigiano combattente che unì la tradizione liberale della sua famiglia prestigiosa con l’ansia di libertà e di giustizia di una nuova generazione».
Nato a Roma nel 1915, dopo la laurea in legge nel 1940 si iscrisse al Pci. L’anno successivo fu arrestato per attività eversiva, poi rilasciato per insufficienza di prove. Con Giancarlo Pajetta fondò le brigate partigiane Garibaldi e nel 1944 rimase gravemente ferito in battaglia. Fu curato in Francia e tornò in Italia nell’aprile del 1945. Ferruccio Parri lo chiamò come sottosegretario agli Esteri.
Nel 1946 fu eletto membro dell’Assemblea costituente, e poi deputato del Pci dal 1948 al 1957. Fu in quell’anno, dopo i fatti d'Ungheria, che Giolitti lasciò polemicamente il partito. «Sono giunto alla grave e amara decisione di uscire dal Pci», scrisse il 19 luglio del 1957, «attraverso una esperienza profondamente meditata e sofferta». A spingerlo alla decisione, «l’interpretazione del marxismo, del XX Congresso e dell’VIII Congresso che emerge da quella polemica e si contrappone a ogni idea innovatrice e a ogni onesto tentativo di ricerca intorno ai gravissimi problemi aperti dal XX Congresso e dai fatti di Polonia e d’Ungheria». Per queste ragioni politiche, spiegò, «e non certo per un puntiglio intellettualistico, io non posso più accettare una disciplina formale che significherebbe rinuncia a battermi per le idee e gli obiettivi che ritengo oggi essenziali alla vittoria del socialismo».
Giolitti passò allora al partito socialista con cui fu rieletto deputato dal 1958 al 1976. Ministro del Bilancio dal 1963 al 1964, dal 1969 al 1972 e dal 1973 al 1974 nei governi di centrosinistra organico guidati da Moro, Rumor e Colombo, fu uno dei principali ispiratori della programmazione economica. Dal 1977 al 1985 fu commissario presso la Comunità economica europea. Ma nel 1985 anche il Psi cominciò a stare stretto a Giolitti che lasciò il partito in polemica con Bettino Craxi. Nel 1987 fu eletto senatore come indipendente del Pci e a fine legislatura, nel 1992, si ritirò dalla politica attiva.