Alzi la mano chi negli ultimi dieci giorni non ha mai, e dico proprio mai, brontolato almeno una
volta.
Può essere la coda alle casse del supermercato che ci fa improvvisamente venire l’irrefrenabile
desiderio di sbuffare e di fare commenti sulla intollerabilità dell’attesa; può essere l’autobus in
ritardo a scatenare un sordo desiderio di esplicitare ai presenti il proprio disappunto; oppure può
essere il vicino di casa che non chiude il portone di ingresso; o il coniuge che, sistematicamente,
non piega il giornale dopo averlo letto; o lo sconosciuto che parcheggia malamente la propria
vettura; o….si potrebbe andare avanti all’infinito perché i motivi per brontolare sono veramente
infiniti, tant’è che, in un certo senso, il “brontolare” può quasi essere considerato uno…sport di
massa.
Ma cosa è il brontolare? Proveremo qui a darne una spiegazione psicologica, il che non significa
che sia una patologia, semplicemente significa che ogni nostro comportamento è riconducibile a
meccanismi psichici la cui conoscenza ci può aiutare a meglio capire come “funzioniamo,”e anche a
capire se, magari, non ci andrebbe di apportare qualche modifica al nostro modo di essere.
Torniamo alla persona in fila alle casse del supermercato: questa persona sa benissimo che può
capitare di trovare la fila, eppure se ne stupisce, come se si trovasse di fronte ad un fatto
assolutamente nuovo, imprevedibile e catastrofico.
Più sopra ho fatto qualche esempio di situazioni “classiche” che favoriscono il brontolare, ma vi
invito a trovare voi altri esempi che potete con facilità ricavare dalla vostra esperienza quotidiana:
se ci badate bene, le situazioni in cui il brontolone si scatena, non sono mai situazioni impreviste ed
imprevedibili, ma, al contrario, sono situazioni già abbondantemente sperimentate e che si ripetono.
Dopo un brevissimo tempo di tranquilla attesa, quella persona in fila alle casse inizia ad agitarsi, a
muoversi da un piede all’altro, magari batte anche ripetutamente il tacco a terra come se la gamba
fosse presa da un tremito, mentre ripete “non è possibile!”, “ma come si fa!” e altri commenti del
genere.
Nel vostro personale esempio state trovando qualcosa di simile? E’probabile, perché una delle
caratteristiche del brontolare è proprio il bisogno di muovere il corpo, come se attraverso il
movimento delle gambe, della testa o delle braccia (le classiche braccia al cielo) si cercasse di
smaltire una “energia interna” che in quel momento sta “montando dentro” in modo spiacevole.
Mentre pronuncia le tipiche frasi del brontolone, la persona alle casse del supermercato si gira di
qua e di là, alla ricerca di qualcuno che condivida il suo disappunto, che le dia man forte, che si
aggreghi a lei e non la lasci sola.
Già, perché il brontolone è terrorizzato dalla solitudine e ha bisogno di sentirsi spalleggiato.
La persona del nostro esempio ha attorno a sé diverse persone, ma anche il brontolone solitario,
quello che mugugna a casa sua, tanto per intenderci, non parla forse ad alta voce anche se è solo?
E perché si dovrebbe parlare ad alta voce se non per rivolgersi ad un pubblico, vero o immaginario
che sia? Un pubblico da informare sulla intollerabilità della situazione e - già che ci siamo perché
no? - della vita.
Forse state pensando che io esageri, ma è proprio così: il brontolone non si limita ad esprimere il
disappunto, magari anche motivato, che prova in quella specifica situazione; il brontolone prende
spunto da una specifica situazione per esprimere sentimenti molto più vasti i quali, man mano
procede, danno voce ad uno scontento generalizzato, una insoddisfazione che cova nelle profondità
della psiche, una serpeggiante sensazione di dubbio che qualcuno, da qualche parte, lo sta
“fregando”.
Volete la prova? Eccola: chi ha le sue buone ragioni di essere scontento di una situazione, ma non è
brontolone, cerca rapidamente di fare quello che in psicologia si chiama “esame di realtà”, ovvero
analizza cosa sta accadendo, ne trae delle conclusioni logiche e cerca la soluzione al problema.
Nella situazione alle casse del supermercato l’esame di realtà potrebbe portare a questi possibili
sviluppi: 1) pensare “è meglio che la prossima volta cambi orario per fare la spesa, perché a questo
c’è veramente troppa ressa”; 2) pensare “non mi piace fare la fila, ma non c’è altra scelta, perciò
aspetto con calma il mio turno. Arrabbiarsi fa sprecare energie per niente”. 3) pensare “ ho
veramente i minuti contati, chiedo se mi fanno passare, sapendo però che anche gli altri possono
avere la mia stessa premura e che quindi potrei anche sentirmi dire di no”.
Insomma chi non è brontolone cerca una soluzione o, se questa non c’è, cerca di adattarsi alla realtà.
Il brontolone invece non vuole la soluzione! Provate a dire a quella persona che si sta agitando
“passi pure prima di me” e vi sentirete rispondere che no, che lei aspetterà eroicamente, che non
vuole fare ingiustizie, ma che si sappia che sta soffrendo.
E, se per caso accetta, non crediate che vi ringrazi! Prenderà la vostra offerta come un atto dovuto e
cercherà di farvi sentire anche in colpa, come se quella lunga attesa l’aveste escogitata proprio voi.
Non è bella la vita del brontolone - sospesa tra la sensazione di un perenne possibile agguato da
parte di una realtà ostile e la nostalgia di un mondo dove tutto fila liscio, senza intoppi e senza
conflitti – eppure tutti, chi più chi meno, ci caschiamo in qualche brontolata, sapendo già in
partenza che non serve assolutamente a risolvere il problema che l’ha generata.
Perché? A quale bisogno profondo dà voce la brontolata?
Qui ci viene in aiuto la biologia, quando ci spiega che la più elementare risposta che un organismo
vivente, anche formato da un’unica cellula, dà all’ambiente, è proprio basata sul riconoscimento di
uno stimolo “cattivo”.
Come dire: gli stimoli cattivi vengono subito riconosciuti, mentre lo stato di benessere no.
In altre parole: lo stimolo cattivo viene subito riconosciuto come pericolo, lo stato di benessere lo si
dà per scontato, è “ovvio” e, quindi, non viene riconosciuto.
Di conseguenza lo stimolo cattivo mette subito in subbuglio, mentre il riconoscimento dello stato di
benessere richiede un percorso molto più sofisticato che passa attraverso la coscienza, la
consapevolezza di sé, la capacità di relazionarsi con l’ambiente.
Secondo questo modello di interpretazione, il brontolone cronico è una persona in difficoltà a
mantenere con l’ambiente relazioni articolate e “pensate” e tende ad esprimersi in termini
elementari (buono-cattivo; mi piace- non mi piace).
E’ una persona che soffre, senza saperlo, di una grande nostalgia per una sorta di “età dell’oro”, un
“paradiso terrestre”, un grembo materno, in cui lui era solo oggetto di cure date senza che nulla gli
venisse chiesto in cambio, in cui il nutrimento arrivava copioso senza che lui dovesse fare fatica, in
cui, per il solo fatto di esistere, riceveva continue gratificazioni.
E’ una persona che si sente profondamente sola in questo grande mondo di cui non riesce a capire
né il senso né le regole, e che vorrebbe tanto avere accanto a sé una figura materna soccorrevole e
disponibile, pronta a prenderlo in braccio e a cullarlo per farlo calmare nella sua improvvisa
disperazione.
A questo punto credo sia chiaro perché a tutti piace cedere, almeno qualche volta, alla tentazione di
brontolare: è l’illusione di poter ritrovare l’infanzia remota che non può più rivelarsi se non
attraverso i sogni o i sintomi.
E’ la nostra parte infantile che grida “ mi avevate promesso che crescere sarebbe stato bello, ma non
è così!mi avete imbrogliato!fatemi scendere!”.
Tuttavia la brontolata non dà soddisfazione e, passato il primo momento in cui si ha la sensazione di
aver scaricato la tensione, resta una diffusa insoddisfazione e un senso spiacevole di impotenza che
rischia di instaurare un circolo vizioso.
Cosa fare? Qual è l’antidoto?
Il problema è complesso, perché, come si sarà capito, non si tratta di modificare aspetti esteriori del
comportamento, ma di cambiare il modo interno di rapportarsi alle cose.
Si tratta di rivalutare quelle competenze psichiche e relazionali che ci permettono di considerare le
esperienze in termini più articolati; di esercitare quell’esame di realtà che, per il solo fatto di
riuscire a farlo, ci fa sentire bene, adulti, protagonisti della nostra vita; di sentire intimamente che il
senso della vita è attraversarla, come si farebbe in un lungo viaggio avventuroso.
E, per fare questo, è necessario sapersi staccare dall’illusione infantile di un mondo magico e
perfetto fatto a misura dei nostri desideri, per incontrarsi con le personali risorse che riguardano la
capacità logica, la capacità di tollerare le frustrazioni e, importantissima, la capacità di sorridere.