Bocciata la scuola media.
La Fondazione Agnelli in collaborazione con il Dipartimento di Sanità
Pubblica e Microbiologia di Torino ha condotto uno studio interamente
dedicato alla scuola secondaria di primo grado. Il rapporto completo
uscirà in autunno e non sarà lieve. I risultati - è scritto nel rapporto
- «mettono in dubbio la capacità della scuola secondaria inferiore di
garantire pari opportunità di apprendimento a tutti e di adempiere,
quindi, a una delle missioni istituzionali che le sono state
attribuite». Il fallimento - prosegue il rapporto messo a punto da
Gianfranco De Simone, ricercatore della Fondazione - investe
direttamente l’organizzazione e le pratiche didattiche messi in atto in
questo particolare segmento del processo educativo».
Un giudizio duro, insomma, riferito soprattutto agli
studenti stranieri, spiega Andrea Gavosto, direttore della Fondazione.
«Il sistema italiano prevede che i ragazzi vengano inseriti
immediatamente nelle scuole se arrivano in Italia e sono nell’età
dell’obbligo scolastico. A volte non parlano nemmeno italiano, vengono
catapultati a scuola senza ammortizzatori di alcun tipo. Alle primarie
in genere vengono promossi, è alle medie che si scontrano con la
possibilità di una bocciatura e il rischio di non farcela può essere
fino a 19 volte più elevato di quanto non avvenga ad uno studente
italiano».
E’ quello che accade in terza media agli studenti
stranieri con maggiori problemi, quelli arrivati in Italia in età
scolare. Ma il divario rispetto ai coetanei italiani è già accentuato in
prima media, 18 volte superiore. Anche per gli stranieri di seconda
generazione, quelli nati in Italia, non va benissimo. Arrivano alle
scuole medie in condizioni di sostanziale parità rispetto agli italiani
ma già alla fine della terza media «la sua probabilità di perdere uno o
più anni per strada cresce fino a diventare di 3,5 volte superiore a
quella di un suo pari italiano».
Il motivo? «Problemi linguistici e di adattamento al
nuovo contesto», risponde lo studio. Ma anche la conseguenza di «una
pratica didattico-organizzativa: i nuovi arrivati vengono spesso
inseriti in classi non corrispondenti all’età anagrafica, e inferiori ad
essa, cumulando così un ritardo scolastico, rispetto ai coetanei di
uno, due o più anni».
Il ritardo può in parte essere spiegato anche con
problemi di integrazione fra studenti: il 76% degli italiani di 13 anni
ritiene di essere accettato, il 70% dei coetanei stranieri. Nonostante i
mille problemi, però, «ai ragazzi stranieri la scuola piace più di
quanto non piaccia ai loro coetanei italiani, è un dato che deve far
riflettere», sottolinea Franco Cavallo, docente di Epidemiologia Clinica
all’università di Torino e responsabile per l’Italia di HBSC, la
ricerca sugli adolescenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sui
cui dati è stato realizzato lo studio della Fondazione Agnelli. Mostrano
di apprezzare la scuola il 52% dei tredicenni italiani e il 58% dei
figli di stranieri nati all’estero. E’ uno strumento «per migliorare le
proprie condizioni di vita» ma anche un’alternativa preferibile
«rispetto ad un ambiente domestico ritenuto meno stimolante».
Altri fattori a rischio nei ritardi scolastici sono
quelli relativi alla salute: chi consuma alcol almeno una volta al mese
ha il 50% di probabilità in più di essere in ritardo negli studi. Chi
fuma più o meno regolarmente ha una probabilità di 4 volte superiore.
Non esistono grandi differenze tra nord e sud nelle
bocciature e nei ritardi scolastici. Esiste però - sottolinea il
rapporto - «un’attenuazione della selettività nel corso della scuola
secondaria inferiore per alcune regioni meridionali», dalla campania
alla Calabria ma anche Puglia e Basilicata. A essere a rischio
soprattutto i maschi, che in prima media hanno una probabilità del 30%
superiore rispetto alle femmine di trovarsi in ritardo. Un valore che in
terza media arriva al 50%. Rispetto ad un figlio di laureati chi ha
genitori con al massimo la licenza media ha tre volte più probabilità di
essere in ritardo in prima media e quattro volte di più in terza media.
Le soluzioni? «Un supporto differenziato ma garantito a
tutti nelle ore pomeridiane», risponde il rapporto. E poi sostegno agli
studenti stranieri arrivati in Italia in età scolare con «classi di
benvenuto» e «specifici supporti pomeridiani».
------------------------------------------------------------------------
L’Italia? Sta crescendo una generazione di immigrati frustrati, un
errore che corre il rischio di pagare caro in futuro. E’ l’opinione di
Maurizio Ambrosini, docente dei processi migratori dell’università di
Milano e direttore della rivista Mondi Migranti.
I ragazzi stranieri
arrivati in Italia adolescenti hanno una probabilità 18 volte più alta
di avere problemi a scuola dei coetanei italiani. Perché tanto divario?
«Se gli stranieri sono
arrivati da piccoli a scuola vanno bene, se invece sono arrivati già
abbastanza grandi è tutto più difficile. E’ così negli Stati Uniti e in
Gran Bretagna dove comunque è più facile che chi arriva conosca la
lingua. In Italia esiste un ulteriore ostacolo creato proprio dalla
lingua: fatta eccezione per gli albanesi o per gli ecuadoriani che
parlano spagnolo, nessuno conosce o ha la minima dimestichezza con
l’italiano».
I problemi incontrati dai ragazzi sono di tipo familiare o scolastico?
«Entrambi. Il fenomeno
migratorio italiano è recente, molte famiglie sono in condizioni di
precarietà lavorativa ma spesso anche abitativa: si vive in case abitate
da più famiglie o sotto sfratto. Un ragazzo straniero in genere ha
maggiori problemi di spazio e difficilmente ha la tranquillità e la
serenità dei suoi coetanei italiani. E’ più raro anche che abbia
genitori in grado di aiutarlo nei compiti, non per mancanza di volontà
quanto per incapacità di comprendere appieno i testi da studiare o di
realizzare un tema.
Esiste però anche un
problema di integrazione a scuola. Il ministro Gelmini ha provato a
risolverlo stabilendo un tetto del 30% degli stranieri nelle classi.
Quello del ministro
Gelmini è stato un tentativo lodevole di affrontare il problema ma non
tiene conto di un aspetto rilevante: la necessità di effettuare
investimenti specifici, assegnando risorse e realizzando progetti
educativi finalizzati. Fino a una decina di anni fa in provincia di
Milano c’era un insegnante dedicato ogni 50 studenti, oggi ce ne sarà
uno ogni 600.
Nonostante le carenze
nelle politiche di integrazione agli studenti stranieri la scuola piace
più di quanto non piaccia agli italiani.
E’ un elemento molto
importante. Questi ragazzi desiderano integrarsi, vogliono inserirsi in
Italia, e quindi ne apprezzano le scuole e i professori. E’ un peccato
non capire questo desiderio di integrazione, stiamo crescendo una
generazione di frustrati senza capire che non si tratta di un loro
problema, ma di un nostro problema, integrarli significa occuparsi del
nostro futuro».
|