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De: lore luc (Mensaje original) |
Enviado: 11/12/2011 11:28 |
11/12/2011 - LA NOSTRA STORIA ADDIO A UN SIMBOLO
L'ultima volta sul treno
che ha unito l'Italia
Gli
ultimi passeggeri del Palermo-Torino al loro arrivo a Porta Nuova: con
il nuovo orario in vigore da domani il collegamento diretto sparisce
A bordo del "diretto del sole" Palermo-Torino
che da oggi viene soppresso.
Negli scompartimenti le stesse storie di lacrime e speranza
di 50 anni fa
laura anello
palermo-torino
Presto, presto, scendete, sta partendo». Jessica,
19 anni, devono quasi buttarla giù dal treno, in un precipizio di
parole, baci e singhiozzi. Sharon, che di anni ne ha 4, scoppia a
piangere vedendo la nonna allontanarsi con la faccia incollata al
finestrino, le lacrime che rigano il vetro. «Mamma, mamma, non te ne
andare», grida la ragazza. «Nonna, nonna, resta qui», implora la
bambina, con la faccia avvampata come il vestitino fucsia a balze. «Vita
mia, sangue mio», risponde lei, 44 anni appena, mentre il treno alle
12,32 lascia la stazione centrale di Palermo. I nomi sono quelli delle
dive hollywoodiane, ma le lacrime sono le stesse di mezzo secolo fa,
quando su questi binari partivano e restavano Rosalie e Concette,
Carmele e Giuseppine.
«Vita mia, sangue mio», ripete per ore
abbracciata alla figlioletta Miriam, l’unica delle tre che porta con sé
verso una nuova vita a Torino, mentre l’ultimo Treno del Sole – il
convoglio che per 57 anni ha unito i due capi della Penisola –
sferraglia a strapiombo su un mare da cartolina siciliana, con le pale
di fichidindia che scorrono accanto ai binari e il sole estivo che
investe lo scompartimento.
Ultimo viaggio: da oggi niente più
collegamenti diretti tra Sud e Nord, per risalire lo Stivale bisognerà
fare almeno una tappa a Roma o, in direzione contraria, a Bologna.
Addio, proprio nell’anno centocinquantesimo dell’Italia unita, al Treno
del Sole, ma anche al Conca d’Oro (Palermo-Milano), al Freccia del Sud
(Catania-Milano), al Treno dell’Etna (Siracusa-Torino), alla Freccia
della Laguna, il Palermo-Venezia. Tutti vagoni protagonisti di una
seconda unificazione del Paese, con l’incontro-scontro tra dialetti e
culture, l’emigrazione di massa, la partecipazione degli operai
meridionali al boom economico nazionale.
Tempi lontani, ma
neanche tanto. «Mio marito fa il muratore – racconta Silvana, la giovane
nonna - a Palermo, se va bene, guadagna 60 euro al giorno in nero, e
adesso manco quelle, perché gli extracomunitari si accontentano di 20 o
30. Eravamo già andati a Torino l’anno scorso, ma le mie due figlie più
grandi non ce la facevano, sono volute tornare giù a tutti i costi. E
così ci abbiamo riprovato. Adesso però la crisi è nera, mio cognato ha
trovato un posto fisso in un cantiere a Torino e ripartiamo, ma ho il
cuore spezzato, le ragazze restano qui». Il marito, Luigi Spada,
annuisce e taglia corto: «Ora basta piangere, hai capito?».
è
giorno pieno, ma gli scompartimenti da quatto posti letto (due sopra e
due sotto) hanno già le cuccette abbassate per la notte. Sale il
capotreno, sindacalista, nostalgico dei Borboni, appassionato di
Pirandello. Pronto a una lezione spiccia di teatro dell’assurdo. «Le
vedete queste cuccette? Fate finta che non ci siano. Trenitalia ci
ordina di viaggiare “a giorno”, perché gli assistenti alla notte sono in
sciopero, con i tagli ne licenziano 800. Noi ve le apriamo per
cortesia, ma voi non le avete viste». Così i cuscini bisogna andarseli a
prendere di soppiatto in un armadio del corridoio lasciato aperto
apposta. Di lenzuola e coperte, invece, nessuna traccia. Scoppia la
rivolta. «Ma come dormiamo, come bestie?». «Vagoni comfort, si chiamano.
Ma quale comfort?». La signora Maria, 86 anni pieni di forza e di
agilità, salita a Barcellona Pozzo di Gotto, non fa una piega. «E vabbè,
pazienza, io su questo treno ci viaggiavo quando i sedili erano di
legno, che cosa me ne importa delle lenzuola? Dormo vestita». Va a
Pinerolo a trovare le sue figlie, anche loro emigrate: una infermiera,
l’altra insegnante.
«è l’ultima volta che parto da sola, come
faccio al ritorno a scendere e salire dai binari, a fare il viaggio
pezzo a pezzo? Mi dovrà accompagnare qualcuno». è ora di pranzo, sul
treno non c’è una carrozza ristorante e non passa nemmeno un venditore
di panini. Gli scompartimenti – due metri e mezzo per tre – si riempiono
di chiacchiere, confidenze, storie di vita. Si parla in dialetto. Via
le scarpe, tutti in pantofole come a casa. Domenico, pensionato, tira fuori sfilatini e cotoletta: «Favorisce?». Silvana
ha le pagnotte con la frittata, Santa ha i torroni «quelli fatti in
casa con il miele» e detta la ricetta. «Io l’aereo non lo voglio
prendere più, mi spavento. Una volta ci sono salita – racconta -
sfortunatamente la testa mi ha detto di guardare giù e lì è finita».
I
vagoni corrono veloci sulle rotaie, superano il buio delle gallerie, si
riaffacciano alla luce. Dai finestrini passano migliaia di case,
migliaia di vite: tinelli e giardinetti di condominio, bambini con il
grembiule all’uscita da scuola, donne che stendono i panni. Ci si
abbandona, dentro questo ventre sferragliante e familiare. Ci si affida.
Non nello spazio breve e vorticoso di un volo, ma su un cammino lungo,
accidentato, fatto di uomini e sudore.
«Il treno è una grande
metafora della vita», sentenzia Nino, ferroviere in pensione, innamorato
dell’odore del carbone e della ferraglia. Squillano poco i
telefonini, non c’è neanche una presa elettrica per ricaricarli, il
tempo è sospeso. Poco prima delle quattro del pomeriggio si arriva a
Messina, quasi un’ora di attesa prima dell’imbarco sulla nave. E
un’altra ora allo sbarco. Si ripartirà da Villa San Giovanni alle 18,53.
Tre ore di stop per soli venti minuti di traversata. «Siamo in
ritardo?», chiede qualcuno ai ferrovieri in stazione. «No, è l’orario
normale».
Tanto che salgono nuovi passeggeri. C’è una signora
distinta, aria professorale, zaino da viaggiatrice spiccia. Si chiama
Nicolina Malara, calabrese di nascita, ordinario di Matematica
all’Università di Modena e Reggio Emilia, figli poliglotti, cittadina
del mondo. «Sono arrivata ieri sera da Bologna – racconta – adesso
riparto per Torino. Se l’avessi dovuto fare in aereo, ci avrei messo due
giorni che non mi potevo permettere. Il treno non è un mezzo lento, fa
risparmiare tempo, perché parte dal centro città, non richiede
spostamenti intermedi, consente di produrre, di leggere, di lavorare a
bordo. L’aereo, oltretutto, ha consumi di carburante spaventosi, non è
affatto il mezzo del futuro».
Due uomini salgono a distribuire
volantini, c’è il disegno di una croce e di un treno: «L’11 dicembre
sarà l’ultimo giorno di lavoro per 800 lavoratori del settore notte».
Passa un altro capotreno: «Le vedete queste cuccette?». «Come se non le
avessimo viste», rispondono in coro i passeggeri ormai preparati. Arriva
di straforo qualche lenzuolo: «Questi non ve li abbiamo mai dati». Ci
si avventura così nella notte, senza assistenti, con gli scompartimenti
chiusi da dentro a doppia mandata, i bagni ormai quasi impraticabili, le
voci che diventano un sussurro, il treno inghiottito dal buio. Alle tre
del mattino ci si sveglia nei vagoni gelati: «Si è rotto l’impianto
dell’aria calda, un problema di energia alla locomotrice», dice un uomo
in divisa.
La piccola Miriam è congelata, mamma Silvana pretende le coperte. Ne arrivano un paio. Gli altri dormono con i cappotti addosso. Ci
si sveglia pensando di trovare la Toscana e invece ecco la stazione di
Bologna: «Addio alla Tirrenica, adesso la linea è questa»”. Nebbia che
non si vede a un metro, il sole siciliano è lontanissimo, ma a Torino
l’azzurro fa capolino tra le nuvole. «Vede, signora, il tempo è bello,
coraggio e buona fortuna», dice Nicolina la matematica a Silvana
l’emigrante. Ci si abbraccia, ci si scambiano numeri di telefono, «Mi
venga a trovare». «Ci si rivede su qualche altro treno». Su qualche
altro, forse. Mai più su questo.
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Saitta: "Anch'io sul Treno del Sole con le valigie di cartone"
L'ultimo arrivo del «Treno del Sole» Palermo-Torino
Il presidente della Provincia ricorda il suo arrivo a Torino, nell'autunno del 1960
ALESSANDRO MONDO
torino
Da ieri non c'è più il «Treno del Sole», il convoglio che univa senza scali Torino e la Sicilia, usato a partire dagli Anni Sessanta da migliaia di «nuovi torinesi» venuti al Nord in cerca di lavoro. Su quel treno c'era anche Antonio Saitta.
Di quel giorno conserva la memoria della nebbia a Porta Nuova, un velo lattiginoso che sfumava le sagome dei grandi tram colorati di verde. «Una nebbia spessa, si poteva tagliare con il coltello. E noi lì, straniti, in maglietta e calzoncini corti. Rivedo mia madre chinarsi e frugare nelle valige, quante valige, per tirare fuori le maglie pesanti».
Quel giorno del 1960, in pieno ottobre, Antonio Saitta il sole se l’era lasciato alle spalle: a Catania, dove aveva sostato a lungo sulla banchina della stazione in attesa che il treno, un serpentone di carrozze stracolme, si mettesse in viaggio alla volta di Torino. Da ieri anche quel collegamento è stato soppresso. «Ed è uno sbaglio - commenta il presidente della Provincia -. Al di là della nostalgia personale, è un servizio in meno. Si elimina una possibilità di sviluppo per territori che ne avrebbero ancora bisogno. Per me, e per tanti compaesani, Torino ha rappresentato quello che per altri è stato il sogno americano. Ma bisognava arrivarci, a Torino».
Aveva 10 anni quando mise il piede sul predellino con i genitori e i due fratelli più piccoli: 7 anni uno, 4 l’altro. Oggi, che di anni ne ha 61, si riconosce nelle foto d’archivio in bianco e nero, nei volti dell’umanità dolente e al tempo stesso speranzosa in cerca di un futuro migliore.
Non furono rose e fiori, almeno nei primi anni. «Al momento della partenza vivevamo ad Aidone, provincia di Enna - ricorda Saitta -: mio padre faceva il barbiere, mia madre la casalinga. Laggiù non c’era futuro. Ogni viaggio, una scelta obbligata. Si andava in Germania a lavorare per la Volkswagen o a Torino, la città della Fiat».
E della Juventus, già allora la sua squadra del cuore. A distanza di tanti anni, ricorda quel viaggio come fosse ieri: 25 ore su una tradotta dove il dialetto regnava sovrano e la gente srotolava gli strapuntini nei corridoi, l’aria inspessita dall’odore di cibo e di sudore. «Ma quali cuccette! - ride Saitta -. Autogestione allo stato puro, compreso il mangiare. Ognuno portava quel che aveva: i thermos con il caffè, l’acqua, il pane, la mortadella, il formaggio... Quando ci siamo messi in viaggio mio padre non aveva un lavoro ad aspettarlo». Addio alla casa, ai compagni di scuola, ai parenti. Un salto nel buio: curiosità, certo - «Torino sembrava un miraggio, chi tornava al paese diceva che c’erano i grattacieli» -, ma anche un fiume di nostalgia.
Ad attenderlo non trovò i grattacieli ma un muro di diffidenza: «Al principio fu dura. Rivoli, dove ci trasferimmo subito, sembrava una realtà ancora più remota». Non tutti i ricordi si tengono stretti, e di alcuni Saitta farebbe volentieri a meno: «Ci ospitarono i miei zii. Vivevano in una casa popolare, le “case Fanfani”. Esistono ancora. Loro erano in sette, noi in cinque». Così per un anno e mezzo, tutti insieme. Pochi soldi? «Anche. Ma il vero problema è che non si affittava ai meridionali».
C’era chi stava peggio: come i protagonisti della prima ondata migratoria dal Sud tra il ‘57 e il ‘58, e prima ancora i veneti fuggiti dall’alluvione del Polesine, che occupavano abusivamente il castello di Rivoli. «All’epoca era diroccato. Là dentro vivevano anche alcuni miei parenti, ogni tanto andavo a trovarli - racconta Saitta -. Stavano in quei cameroni spogli, con i cartoni e i fogli di nylon a proteggere i vani delle finestre in attesa di trovare una sistemazione». I marocchini oggi? Pausa: «Sì... la stessa cosa». E poi la chiusura verso i «napuli», appena temperata dalla familiarità con i nuovi arrivati: «Mi resta impressa quella frase... “Sono meridionali però sono bravi”». Pregiudizi duri a morire, attenuati dal mutuo soccorso tra compaesani e dalla solidarietà degli umili: «Il comun denominatore degli operai, meridionali e piemontesi, era la difficoltà di tirare avanti. Alla fine univa tutti, come la famosa “livella” di Totò. Anche la parrocchia fu un riferimento importante».
Tutto misurato in casa, dal cibo ai vestiti: la parsimonia come regola di vita. La differenza la faceva il lavoro, che allora non mancava per chi si rimboccava le maniche: «In tre-quattro mesi mio padre trovò un posto alla Venchi Unica, la mamma venne assunta a una cartotecnica di Rivoli. Io? Studiavo, lavoravo e badavo ai fratelli». Con un occhio alla nuova realtà e l’altro al paese lontano: «Ci tornavamo tutte le estati, in treno e poi con la Fiat Seicento guadagnata da mio padre dopo mille sacrifici. Che festa! Il primo abbraccio con la mia terra era il sapore degli arancini comprati sul traghetto».
Tre anni di avviamento professionale: la mattina sui libri, il pomeriggio passato a lavorare al tornio in una “boita” di Grugliasco. Poi il diploma da geometra e il primo impiego all’Anas, accompagnato dalla passione per la politica maturata nel corpaccione della Dc. L’inizio di un percorso che ha portato Saitta a scalare le posizioni: consigliere comunale, sindaco di Rivoli, consigliere in Regione, presidente della Provincia al secondo mandato. «Ma se non fossi salito su quel treno chissà dove sarei ora: quel viaggio mi ha cambiato la vita».
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1700 KM di ingegneri
FRANCESCO2011
Il Treno del Sole, il treno dei futuri ingegneri. Che lasciavano la Sicilia per il prestigioso Politecnico di Torino. Ragazzi con famiglie certamente non benestanti, che non potevano permettersi l'aereo, improponibile a quei tempi (adesso costa molto di più il treno - e chi ci va più in treno?). Però ci si organizzava per tempo e si viaggiava in cuccetta; negli ultimi tempi, quelle da quattro. Viaggi infiniti, da Siracusa a Torino. Viaggi noiosi o allegri a seconda della compagnia o degli imminenti esami. Viaggi pieni di speranza per un futuro migliore e che dopo tanti anni di sacrifici hanno trasportato anche i genitori per l'agognata laurea. Genitori gonfi di gioia per il figlio ingegnere, con sorrisi a 32 denti (anche se finti) davanti alle foto di rito. Addio treno della mia gioventu. Che tu possa riposare in pace.
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Non tutto é perduto,basta "spezzare" il percorso... |
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di norma si affronta un lungo viaggio per una non breve permanenza e quindi ci si porta dietro un consistente bagaglio che è difficile gestire se si devono affrontare cambi. Nello scompartimento cuccette del treno del sole si era in sei e si stava insieme per 24 ore ed anche più. Evidente che il costo del biglietto era politico e la trasformazione di FFSS in SpA lo rendeva inaccettabile. Che fare? Adeguarlo ai costi? Sarebbe scoppiata la rivolta dei sindacati. E quindi non restava che abolire il treno. C'è una lontana somiglianza con il licenziamento mascherato da non accettato trasferimento.
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E' un caso ma non é l'unico,per tutti gli altri é giusto aggirare gli ostacoli e non arrendersi. |
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De: clicy21 |
Enviado: 18/12/2011 09:07 |
Quel treno l'ho preso anche io e non una volta sola..... beh andavo a Messina a trovare la mia dolce ex meta'......che era a fare il militare a Messina.......Lor signori sopprimono tutto, questi esseri luridi che vogliono proiettarti in un futuro che non c'e'...troppe cose sporche stanno avvenendo ed alla gente non fanno sapere nulla! e comunque i TAV non avranno mai il piacere di conoscere il mio real posteriore..........per me moretti e company potranno affogare nella melma! Ely
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De: clicy21 |
Enviado: 18/12/2011 09:09 |
Principe buongiorno anche a lei.....per non arrendersi occorrerebbe essere in tanti ma tanti...da riuscire a metterli in ginocchio.........
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Nemmeno io salirò mai su quel maledetto inutile treno che serve solo a calpestare le persone ed arricchire i soliti con il plauso dei benpensanti con paraocchi, paraorecchie, para..tutto ma che non li scamperà dal sudare sangue per pagare.... |
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Buona settimana Donna Elisabetta...a me personalmente appare abbastanza chiara questa lenta e costante cancellazione di convogli,e non si tratta solo di lunghe percorrenze...é un subdolo spingere verso l'automezzo privato o l'aereo. |
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Principe, spingono verso automezzo privato per la benzina e il TAV perchè le tratte esistenti sono in netta perdita... ma hai visto quanto costa Torino-Roma? Ed in più bisogna cambiare a Milano!!!! Folliaaaaaaaaa, non lo prende nessuno se non nei periodi di offerte al ribasso che comunque non battono mai l'aereo. |
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...Ma il vecchio diretto Torino-Roma,protagonista dei miei pomeriggi assolati di bimbo che guardava i convogli passare,ora sicuramente intercity...non c'é più? |
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Guarda: orari, durata della percorrenza, cambi e tariffe!!! W il TAV Grrrrrrrrr e pensare che c'è chi è a favore. Unico favore ridurci sul lastrico obbligatoriamente!!!
Partenza |
Arrivo |
Durata |
Cambio |
Num. Treno |
Categoria |
Prezzo di Prima ** |
Prezzo di Seconda |
21:55 TO P.N. |
05:51 ROMA TE |
07:56 |
|
799 |
 |
44,50 € |
44,50 € |
|
04:50* TO P.N. TO P.S. |
10:05 ROMA TE RO TIB |
05:15 |
|
2001 |
 |
131,00 € |
101,00 € |
|
06:45 MI C.LE |
9607 FRECCIAROSSA |
 |
06:37* TO P.N. TO P.S. |
11:20 ROMA TE RO TIB |
04:43 |
|
9561 FRECCIAROSSA |
 |
122,00 € |
95,00 € |
07:35* TO P.N. TO P.S. |
12:05 RO TIB |
04:30 |
9563 FRECCIAROSSA |
 |
122,00 € |
95,00 € |
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07:40* TO P.N. TO P.S. |
11:59 ROMA TE |
04:19 |
9615 FRECCIAROSSA |
 |
122,00 € |
95,00 € |
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08:02* TO P.N. TO P.S. |
12:45 ROMA TE |
04:43 |
9517 FRECCIAROSSA |
 |
122,00 € |
95,00 € |
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08:37* TO P.N. TO P.S. |
13:20 ROMA TE RO TIB |
04:43 |
9565 FRECCIAROSSA |
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122,00 € |
95,00 € |
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11:05* TO P.N. TO LING |
18:18 ROMA TE RO OST |
07:13 |
511 |
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70,50 € |
51,50 € |
E se poi guardi, completamente senza senso le tariffe, la più cara, quella da €131 ci impiega più tempo che quella da €122 e richiede il cambio a Milano!!!! Ripeto... follia!!! Ma secondo alcuni va sostenuto!!!! |
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Chissà cosa direbbe il nostro caro Quinef che era il direttore della Wagon Lits
Dietro i licenziamenti per i treni notte la guerra dell’Alta velocità. E la malapolitica
I lavoratori di Wagon Lits licenziati accusano le ferrovie: "Per mesi hanno tolto la possibilità di prenotare i posti online per le cuccette, così da poter sbandierare dati sullo scarso utilizzo del servizio". Il responsabile trasporti di Legambiente parla di "strategia che condanna a costi elevati passeggeri e contribuenti, soprattutto i pendolari". Marco Ponti: "Moretti punta a fare profitti con un servizio che rende. Mentre per tutto il resto conta sui contributi statali"
I tre lavoratori della ex Wagon Lits che da due settimane occupano una torre al binario 21 della Stazione Centrale di Milano non demordono. L’impegno di Ferrovie dello Stato al ricollocamento non li convince: “Siamo stati boicottati”. Oltre al lavoro, chiedono il ripristino delle linee notturne sulle quali operavano. Ma nei piani dell’ad di Trenitalia Mauro Moretti le priorità sono altre. L’Alta Velocità drena gran parte delle risorse e i Frecciarossa invadono ogni tratta. Una strategia che frena la concorrenza e condanna a costi elevati passeggeri e contribuenti. E tra i colpevoli, ancora una volta, c’è la politica. “Ferrovie dello Stato assume fin d’ora l’impegno di garantire, entro i prossimi 24 mesi, la progressiva ricollocazione mediante appalto di attività”. E’ questa l’offerta di Ferrovie ai lavoratori della Servirail Italia ex Wagon Lits, che a Milano come a Roma protestano contro la dismissione del servizio notturno e il licenziamento di 800 lavoratori. Un’offerta che però non convince. “Perché non si dice nulla del ripristino dei treni notte, che il gruppo ha soppresso per intralciare Montezemolo e Della Valle sull’Alta velocità”, accusa Angelo Mazzeo, che a Milano presidia il binario 21 dove tre suoi colleghi occupano la torre faro. Secondo i licenziati della Servirail, molte delle tratte orarie cancellate vengono sostituite dai Frecciarossa, “così la Ntv di Montezemolo e soci non avrà spazi”. Trenitalia parla di razionalizzazione di un servizio dove la domanda era ormai in calo, ma al binario 21 vedono le cose diversamente. Denunciano manipolazioni nei database che gestiscono le prenotazioni, già dal 2008: “Era impossibile prenotare online, i posti risultavano tutti pieni. Ma sul treno il posto c’era eccome, e i controllori non applicavano maggiorazioni a chi voleva fare il biglietto a bordo perché sapevano bene come stavano le cose”. E c’è dell’altro: “La manutenzione era ai minimi, così da degradare la qualità del servizio e allontanare gli utenti”. Una strategia vincente? Pare di no. Gli ex dipendenti mostrano i dati di alcune linee notturne. E i numeri del 2010 sono addirittura in crescita rispetto a quelli del 2009. “Altrimenti i pullman che partono dalla Stazione Centrale per il Sud Italia non sarebbero così pieni”, fanno notare. Per le feste di Natale, infatti, i posti sono esauriti da settimane. “Le compagnie aeree low cost hanno reso i treni Nord-Sud meno strategici. Ma toglierli tutti è assurdo.” La pensa così Dario Balotta, responsabile trasporti per Legambiente in Lombardia, che ricorda come Ferrovie dello Stato sia responsabile anche del servizio universale, per il quale lo Stato versa ogni anno miliardi di euro a sussidio delle tratte che i ricavi dei biglietti non coprono del tutto. “Moretti non può puntare tutto sull’Alta velocità”, sostiene Balotta, “che copre appena 685 chilometri su una rete nazionale che ne conta più di sedicimila”. A confermare che la direzione intrapresa dall’ad di Trenitalia è sbagliata, ci sono i dati degli ultimi dieci anni. Balotta spiega che a fronte di una crescita del servizio Alta velocità del 111%, e della flessione del 16% nel servizio tradizionale, l’exploit dell’Italia è in rosso del 5% rispetto, ad esempio, a Francia e Spagna, dove la performance è positiva (+23% e +14%). “Dovremmo interessarci alle reti regionali”, avverte Balotta, “dove gli utenti sono cresciuti del 7,8% in soli due anni, rappresentando da soli oltre la metà della domanda nazionale”. I dati sono quelli del rapporto di Legambiente sul servizio ferroviario rivolto ai pendolari, dove per garantire almeno i treni in circolazione mancano ancora 400 milioni sui bilanci regionali del 2011 e 200 milioni per l’anno prossimo. “ Questo in un Paese dove l’83% dei passeggeri compie un percorso sotto i 50 chilometri”, aggiunge Ivan Cicconi, ingegnere esperto di infrastrutture e lavori pubblici e autore de “Il libro nero dell’Alta velocità”. “Sono dieci anni che parte dei fondi destinati al servizio universale passano all’Alta velocità”, sostiene Cicconi. Il fatto è che l’Alta velocità ha costi elevati. La linea dove passano i Frecciarossa ha infatti un costo di manutenzione fino a quindici volte superiore a quello della linea storica. Eppure Trenitalia e Ntv pagano solo 11 euro a chilometro per la concessione di transito, mentre in Francia il costo è addirittura doppio. “Nel frattempo”, continua Cicconi, “Moretti spende mezzo miliardo per fare il restyling delle carrozze”. L’annuncio è di due settimane fa: “A partire dalla fine dell’anno supereremo le tradizionali prima e seconda classe portando tutto a quattro livelli di servizio”, ha spiegato Moretti, “da quello per il trasporto ferroviario, senza particolari richieste, fino a un treno di lusso”. “Inoltre”, conclude Cicconi, “c’è la pubblicità, i club Frecciarossa, e le nuove stazioni fatte apposta per l’Alta velocità. Dove pensate che prenderanno i soldi?”
“Moretti agisce così perché la politica glielo permette”, attacca Marco Ponti, docente di Economia al Politecnico di Milano, già consulente della Banca Mondiale in materia di trasporti. “Moretti punta su un servizio – l’Alta velocità – che dei ricavi li concede”, premette Ponti, “per tutto il resto conta sullo Stato che spende troppo e male”. E allora? “Bisogna fare i bandi di gara”, risponde, “invece hanno appena prolungato di 12 anni la possibilità per le regioni di evitare le gare. “In Germania”, racconta Ponti, “hanno risparmiato fino al 25%”. In Italia ci sarebbe l’esempio del bando lanciato dall’ex presidente del Piemonte Mercedes Bresso. “Un buon esempio”, commenta Ponti, “peccato che il centrodestra l’abbia immediatamente cancellato, dopo che l’ex ministro Sacconi e lo stesso Moretti avevano fatto il diavolo a quattro”. Insomma, se Moretti e Trenitalia si comportano da monopolisti è grazie ai favori della politica. E i nuovi arrivati? “Il rischio è che Moretti tagli la gola alla società di Montezemolo”, dice Ponti. I licenziati della ex Wagon Lits non sono infatti gli unici a ritenere che la cancellazione di tratte a lunga percorrenza serva a liberare slot in favore dei pendolini, così da non lasciare spazi alla concorrenza di Ntv. Ma se così non fosse, “è facile che si mettano d’accordo”, conclude Ponti: “Se non altro perché Ntv deve pagare il servizio al suo concorrente”.
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E con questo terzo post consecutivo, disgustata, esco dall'argomento!!!
La carrozza è stracarica ma per salire si paga la multa
Il taglio dei treni per il Meridione crea disagi a raffica. I vagoni sono strapieni, e i biglietti esauriti. Ma - come è successo il 22 e il 23 alla stazione di Bologna - se proprio si vuole salire sul treno, basta pagare 50 euro di sovrattassa e stringersi come sardineDI ROSARIO DI RAIMONDO
Pagare 100 euro per un biglietto che ne costa 50. Ritenersi fortunati, perché in qualche modo si riesce a salire sul treno, pronti per un altro “viaggio della speranza”. Bologna, Stazione centrale. Sono le nove di venerdì sera e il "751" Bologna-Lecce è pieno come un uovo, fermo al binario 7. Valige, cappotti, freddo, una lunga notte davanti. L'unica carrozza che ha i posti a sedere – le altre sei sono destinate alle cuccette – è il miraggio dei viaggiatori. I più fortunati hanno prenotato una delle 72 poltrone disponibili. Gli altri si sono accaparrati uno dei 15 posti in piedi “tollerati” lungo il corridoio. In molti, invece, aspettano fuori, non hanno il biglietto ma cercano di partire. I controllori potrebbero dire che non c'è posto, che non c'è nulla da fare. Invece no, ecco l'escamotage: “Vuole salire? Allora, lei mi paga i 50 euro del biglietto più 50 euro di soprattassa e io la faccio entrare”, spiega un controllore. “Come se avessi preso una multa?”, chiede stizzito un signore. “Esatto. Ecco la ricevuta”.
Una multa prima di salire sul treno, a terra. Come condizione per viaggiare. Un rincaro del 100% sul costo iniziale del biglietto. Una pratica che va avanti da giorni: giovedì, a mezzanotte, Trenitalia ha dovuto chiamare ben due volte la Polizia ferroviaria. Famiglie, anziani e bambini chiedevano di salire sull'ultimo treno-notte per Lecce, il “757” delle 23.57. Un assalto alla diligenza, l'ultima possibilità
per partire. Qualcuno minacciava denunce, “non potete fare una cosa del genere, 100 euro per stare in piedi!”. Altri facevano collette per pagare i biglietti maggiorati. Ben sessanta passeggeri, solo a Bologna, sono saliti in questo modo, pagando 100 euro invece di 50 per un posto in piedi, magari vicino al bagno. Sessanta persone: quasi una carrozza in più. Otto ore di viaggio. Dormiranno per terra o sui portapacchi del corridoio, stipati e infreddoliti. Dopo aver dovuto accettare una “multa” sulla banchina. “In barba a tutte le norme di sicurezza ma anche alla civiltà”, dice sconsolato un operaio.
E la stessa cosa è successa venerdì. Prima, per salire sul treno-notte delle 21. Poi, ancora una volta a mezzanotte. Con gli agenti della Polfer costretti a intervenire di nuovo per calmare gli animi. Alle 23.57, però 30 persone restano a terra. Se fossero state 50, ci sarebbe stato un pullman in Autostazione ad aspettarli, per andare a Lecce. Ma erano in 30, il bus non si sarebbe riempito ed è stato annullato.
Secondo Trenitalia, “non è successo niente di particolare. Chi sale senza biglietto deve pagare una maggiorazione di 50 euro”. Si, ma a bordo, non a terra. “E perché? Più chiari e corretti di così”... I posti in piedi, di regola, non dovrebbero essere più di 15, “ma è il capotreno che giudica se una carrozza è pericolosa o meno”.
“Invece di potenziare i treni per le festività, in particolare quelli a lunga percorrenza, i convogli vengono ridotti. Si prevede un taglio del 60% sulle vetture. Dal 13 dicembre viviamo nel caos, ogni sera è la stessa storia, un incubo. Io non ci dormo la notte a vedere come sono costretti a viaggiare i passeggeri. E questo metodo mi ha ferito veramente”, ammette un dipendente di Trenitalia. I “Bologna-Lecce” ogni sera sono quattro (fino a qualche fa erano almeno il triplo, durante tutta la giornata), uno ogni ora dalle 21 a mezzanotte. Solo sette carrozze. Solo una per i posti a sedere. Non basta mai. |
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In Italia li tagliano, ma in Europa i treni della notte viaggiano ancora (e costano poco)
di Andrea MalanCronologia articolo6 gennaio 2012Commenti (4)
I treni notturni? Un relitto dei tempi andati, da eliminare al più presto. Questa la visione di Trenitalia che così annunciava, lo scorso 12 dicembre, il taglio dell'offerta di treni notturni fra nord e sud d'Italia e la sua riorganizzazione che impone ai viaggiatori di cambiare treno a Bologna o a Roma: «La nuova organizzazione della cosiddetta "offerta notte" ha consentito di evitare, con la realizzazione degli hub di Roma Termini e Bologna Centrale, il taglio di questi servizi, soppiantati in tutta Europa dai voli low cost, penalizzati da un crollo vertiginoso di viaggiatori e di ricavi e da costi di gestione insostenibili, in assenza di adeguati corrispettivi finanziari pubblici». Ma è proprio vero che i treni notturni sono stati soppiantati in tutta Europa dai voli low cost? La risposta sembra essere negativa, almeno a guardare quello che succede nel resto d'Europa. Non solo: in diversi Paesi europei i treni notte hanno prezzi del tutto comparabili a quelli che - dopo la grande riorganizzazione - ha la combinazione di notturno e treno AV proposta da Trenitalia.
Vediamo dove la specie dei notturni, data per vicina all'estinzione da Mauro Moretti, riesce a sopravvivere. Certo non in Lussemburgo, data la superficie del piccolo stato. Ma tutti i paesi europei di dimensioni (e con tempi di viaggio) comparabili a quelli italiani, offrono collegamenti notturni diretti. Qualche esempio? In Germania si può andare da Monaco ad Amburgo, in Gran Bretagna da Londra alla Scozia o alla Cornovaglia, in Francia la Sncf offre servizi Lunéa su 12 tratte notturne di cui 6 in partenza da Parigi. Già, ma quanto costeranno questi notturni stranieri? Per rendere il servizio profittevole, almeno il doppio o il triplo di quelli italiani... Anche qui, invece, il luogo comune va sfatato.
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