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De: lore luc (Mensaje original) |
Enviado: 11/12/2011 11:28 |
11/12/2011 - LA NOSTRA STORIA ADDIO A UN SIMBOLO
L'ultima volta sul treno
che ha unito l'Italia
Gli
ultimi passeggeri del Palermo-Torino al loro arrivo a Porta Nuova: con
il nuovo orario in vigore da domani il collegamento diretto sparisce
A bordo del "diretto del sole" Palermo-Torino
che da oggi viene soppresso.
Negli scompartimenti le stesse storie di lacrime e speranza
di 50 anni fa
laura anello
palermo-torino
Presto, presto, scendete, sta partendo». Jessica,
19 anni, devono quasi buttarla giù dal treno, in un precipizio di
parole, baci e singhiozzi. Sharon, che di anni ne ha 4, scoppia a
piangere vedendo la nonna allontanarsi con la faccia incollata al
finestrino, le lacrime che rigano il vetro. «Mamma, mamma, non te ne
andare», grida la ragazza. «Nonna, nonna, resta qui», implora la
bambina, con la faccia avvampata come il vestitino fucsia a balze. «Vita
mia, sangue mio», risponde lei, 44 anni appena, mentre il treno alle
12,32 lascia la stazione centrale di Palermo. I nomi sono quelli delle
dive hollywoodiane, ma le lacrime sono le stesse di mezzo secolo fa,
quando su questi binari partivano e restavano Rosalie e Concette,
Carmele e Giuseppine.
«Vita mia, sangue mio», ripete per ore
abbracciata alla figlioletta Miriam, l’unica delle tre che porta con sé
verso una nuova vita a Torino, mentre l’ultimo Treno del Sole – il
convoglio che per 57 anni ha unito i due capi della Penisola –
sferraglia a strapiombo su un mare da cartolina siciliana, con le pale
di fichidindia che scorrono accanto ai binari e il sole estivo che
investe lo scompartimento.
Ultimo viaggio: da oggi niente più
collegamenti diretti tra Sud e Nord, per risalire lo Stivale bisognerà
fare almeno una tappa a Roma o, in direzione contraria, a Bologna.
Addio, proprio nell’anno centocinquantesimo dell’Italia unita, al Treno
del Sole, ma anche al Conca d’Oro (Palermo-Milano), al Freccia del Sud
(Catania-Milano), al Treno dell’Etna (Siracusa-Torino), alla Freccia
della Laguna, il Palermo-Venezia. Tutti vagoni protagonisti di una
seconda unificazione del Paese, con l’incontro-scontro tra dialetti e
culture, l’emigrazione di massa, la partecipazione degli operai
meridionali al boom economico nazionale.
Tempi lontani, ma
neanche tanto. «Mio marito fa il muratore – racconta Silvana, la giovane
nonna - a Palermo, se va bene, guadagna 60 euro al giorno in nero, e
adesso manco quelle, perché gli extracomunitari si accontentano di 20 o
30. Eravamo già andati a Torino l’anno scorso, ma le mie due figlie più
grandi non ce la facevano, sono volute tornare giù a tutti i costi. E
così ci abbiamo riprovato. Adesso però la crisi è nera, mio cognato ha
trovato un posto fisso in un cantiere a Torino e ripartiamo, ma ho il
cuore spezzato, le ragazze restano qui». Il marito, Luigi Spada,
annuisce e taglia corto: «Ora basta piangere, hai capito?».
è
giorno pieno, ma gli scompartimenti da quatto posti letto (due sopra e
due sotto) hanno già le cuccette abbassate per la notte. Sale il
capotreno, sindacalista, nostalgico dei Borboni, appassionato di
Pirandello. Pronto a una lezione spiccia di teatro dell’assurdo. «Le
vedete queste cuccette? Fate finta che non ci siano. Trenitalia ci
ordina di viaggiare “a giorno”, perché gli assistenti alla notte sono in
sciopero, con i tagli ne licenziano 800. Noi ve le apriamo per
cortesia, ma voi non le avete viste». Così i cuscini bisogna andarseli a
prendere di soppiatto in un armadio del corridoio lasciato aperto
apposta. Di lenzuola e coperte, invece, nessuna traccia. Scoppia la
rivolta. «Ma come dormiamo, come bestie?». «Vagoni comfort, si chiamano.
Ma quale comfort?». La signora Maria, 86 anni pieni di forza e di
agilità, salita a Barcellona Pozzo di Gotto, non fa una piega. «E vabbè,
pazienza, io su questo treno ci viaggiavo quando i sedili erano di
legno, che cosa me ne importa delle lenzuola? Dormo vestita». Va a
Pinerolo a trovare le sue figlie, anche loro emigrate: una infermiera,
l’altra insegnante.
«è l’ultima volta che parto da sola, come
faccio al ritorno a scendere e salire dai binari, a fare il viaggio
pezzo a pezzo? Mi dovrà accompagnare qualcuno». è ora di pranzo, sul
treno non c’è una carrozza ristorante e non passa nemmeno un venditore
di panini. Gli scompartimenti – due metri e mezzo per tre – si riempiono
di chiacchiere, confidenze, storie di vita. Si parla in dialetto. Via
le scarpe, tutti in pantofole come a casa. Domenico, pensionato, tira fuori sfilatini e cotoletta: «Favorisce?». Silvana
ha le pagnotte con la frittata, Santa ha i torroni «quelli fatti in
casa con il miele» e detta la ricetta. «Io l’aereo non lo voglio
prendere più, mi spavento. Una volta ci sono salita – racconta -
sfortunatamente la testa mi ha detto di guardare giù e lì è finita».
I
vagoni corrono veloci sulle rotaie, superano il buio delle gallerie, si
riaffacciano alla luce. Dai finestrini passano migliaia di case,
migliaia di vite: tinelli e giardinetti di condominio, bambini con il
grembiule all’uscita da scuola, donne che stendono i panni. Ci si
abbandona, dentro questo ventre sferragliante e familiare. Ci si affida.
Non nello spazio breve e vorticoso di un volo, ma su un cammino lungo,
accidentato, fatto di uomini e sudore.
«Il treno è una grande
metafora della vita», sentenzia Nino, ferroviere in pensione, innamorato
dell’odore del carbone e della ferraglia. Squillano poco i
telefonini, non c’è neanche una presa elettrica per ricaricarli, il
tempo è sospeso. Poco prima delle quattro del pomeriggio si arriva a
Messina, quasi un’ora di attesa prima dell’imbarco sulla nave. E
un’altra ora allo sbarco. Si ripartirà da Villa San Giovanni alle 18,53.
Tre ore di stop per soli venti minuti di traversata. «Siamo in
ritardo?», chiede qualcuno ai ferrovieri in stazione. «No, è l’orario
normale».
Tanto che salgono nuovi passeggeri. C’è una signora
distinta, aria professorale, zaino da viaggiatrice spiccia. Si chiama
Nicolina Malara, calabrese di nascita, ordinario di Matematica
all’Università di Modena e Reggio Emilia, figli poliglotti, cittadina
del mondo. «Sono arrivata ieri sera da Bologna – racconta – adesso
riparto per Torino. Se l’avessi dovuto fare in aereo, ci avrei messo due
giorni che non mi potevo permettere. Il treno non è un mezzo lento, fa
risparmiare tempo, perché parte dal centro città, non richiede
spostamenti intermedi, consente di produrre, di leggere, di lavorare a
bordo. L’aereo, oltretutto, ha consumi di carburante spaventosi, non è
affatto il mezzo del futuro».
Due uomini salgono a distribuire
volantini, c’è il disegno di una croce e di un treno: «L’11 dicembre
sarà l’ultimo giorno di lavoro per 800 lavoratori del settore notte».
Passa un altro capotreno: «Le vedete queste cuccette?». «Come se non le
avessimo viste», rispondono in coro i passeggeri ormai preparati. Arriva
di straforo qualche lenzuolo: «Questi non ve li abbiamo mai dati». Ci
si avventura così nella notte, senza assistenti, con gli scompartimenti
chiusi da dentro a doppia mandata, i bagni ormai quasi impraticabili, le
voci che diventano un sussurro, il treno inghiottito dal buio. Alle tre
del mattino ci si sveglia nei vagoni gelati: «Si è rotto l’impianto
dell’aria calda, un problema di energia alla locomotrice», dice un uomo
in divisa.
La piccola Miriam è congelata, mamma Silvana pretende le coperte. Ne arrivano un paio. Gli altri dormono con i cappotti addosso. Ci
si sveglia pensando di trovare la Toscana e invece ecco la stazione di
Bologna: «Addio alla Tirrenica, adesso la linea è questa»”. Nebbia che
non si vede a un metro, il sole siciliano è lontanissimo, ma a Torino
l’azzurro fa capolino tra le nuvole. «Vede, signora, il tempo è bello,
coraggio e buona fortuna», dice Nicolina la matematica a Silvana
l’emigrante. Ci si abbraccia, ci si scambiano numeri di telefono, «Mi
venga a trovare». «Ci si rivede su qualche altro treno». Su qualche
altro, forse. Mai più su questo.
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Che struggimento questo arco di vita che termina. Ho preso alcune volte questo treno. Ricordo nel 1969, 31 ore!!! da Locri a Torino, i bagni e i corridoi pieni di valige e la gente che si sentiva male, ma era ancora un bel Paese e c'era ancora solidarietà. Adesso perchè nessuno usa il TAV che in effetti dati alla mano costa più dell'aereo, hanno trovato il modo di obbligarci a prenderlo.
Ciao treno del Sole, ciao Italia pulita e senza mafia!
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impossibile sostenere la concorrenza dell'aereo; oggi mia sorella m'ha detto che un nostro cugino è andato a trovare un figlio a Milano comprando un biglietto aereo per 14€: faccio fatica a crederlo possibile. I tempi cambiano. Una volta partivano da Napoli i bastimenti per l'America ed era l'avventura di una vita per pochi eletti, oggi siamo rimasti in pochi a non avere mai trasvolato l'Atlantico. Presi il treno dell'Etna per la prima volta il 31 ottobre 1962 e non so per quante altre volte ancora. Tutte le volte un'avventura. Dopo una delle tante scrissi una protesta al direttore generale di FFSS mandandone copia per conoscenza ad Oreste del Buono che me la pubblicò sulla sua rubrica de "La Stampa". Il Treno del Sole lascia la cronaca e passa alla storia e noi ci sentiamo invecchiati. Spero che motivazioni ecologiche ridiano fortuna al treno.
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