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✿MARINA✿: PERSONAGGI - G. Carducci e Annie Vivanti
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Respuesta  Mensaje 1 de 5 en el tema 
De: haiku04  (Mensaje original) Enviado: 10/04/2012 11:55

 

                                                                                                                                                                                                           

 

 

 

 

 
 
 
 
 

                                                                                                                     

 
  
 
Batto a la chiusa imposta con un ramicello di fiori
glauchi ed azzurri, come i tuoi occhi, o Annie.

Vedi: il sole co 'l riso d'un tremulo raggio ha baciato
la nube, e ha detto – Nuvola bianca, t'apri –

Senti: il vento de l'alpe con fresco susurro saluta
la vela, e dice – Candida vela, vai –

Mira: l'augel discende da l'umido cielo su 'l pèsco
in fiore, e trilla – Vermiglia pianta, odora -

Scende da' miei pensieri l'eterna dea poesia
su 'l cuore, e grida – O vecchio cuore, batti –

E docile il cuore ne' tuoi grandi occhi di fata
s'affisa, e chiama – Dolce fanciulla, canta –


Giosue Carducci, 30 marzo 1890

 

 
 
                                                                                                                               
 
 
 
 
 
                                                                                                 
                                                                                                                                                                                                                               

 

 
 
 
Annie a Giosuè
 
[Spezia] Sera 25/IV 1890

Vi rivedo dunque. Grazie. Siete bello, siete superbamente bello ed io Vi adoro.
Come avete la bocca ostinata, che stuona colla ispirata serenità dello sguardo!
Gli occhi guardano l’altezza conquistata, e la bocca dice: Ancora. Non basta, Giosuè Carducci?
Perché dice ancora: Voglio la vostra bocca? Ed agli altri non volete lasciar nulla che l’ira di non poterVi seguire?
O dite, Voi felice arrivato, o v’è posto anche per altri lassù, vicino alla Gloria?
Non sono più triste, non sono più cattiva, ed è aperto a Voi il mio cuore, e Vi ama, Vi ama!
EccoVi la mia bocca da baciare. Annie

(Lettera da La Spezia a Roma. Sulla busta: “A Giosue Carducci | Roma | via Farini - 40 -)
 
 
 
 
 
 

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Respuesta  Mensaje 2 de 5 en el tema 
De: lore luc Enviado: 10/04/2012 12:27
Giosuè Carducci
 
 
A SATANA


A te, de l'essere
Principio immenso,
Materia e spirito,
Ragione e senso;

Mentre ne' calici
Il vin scintilla
Sì come l'anima
Ne la pupilla;

Mentre sorridono
La terra e il sole
E si ricambiano
D'amor parole,

E corre un fremito
D'imene arcano
Da' monti e palpita
Fecondo il piano;

A te disfrenasi
Il verso ardito,
Te invoco, o Satana,
Re del convito.

Via l'aspersorio,
Prete, e il tuo metro!
No, prete, Satana
Non torna in dietro!

Vedi: la ruggine
Rode a Michele
Il brando mistico,
Ed il fedele

Spennato arcangelo
Cade nel vano.
Ghiacciato è il fulmine
A Geova in mano.

Meteore pallide,
Pianeti spenti,
Piovono gli angeli
Da i firmamenti.

Ne la materia
Che mai non dorme,
Re dei i fenomeni,
Re de le forme,

Sol vive Satana.
Ei tien l'impero
Nel lampo tremulo
D'un occhio nero,

O ver che languido
Sfugga e resista,
Od acre ed umido
Pròvochi, insista.

Brilla de' grappoli
Nel lieto sangue,
Per cui la rapida
Gioia non langue,

Che la fuggevole
Vita ristora,
Che il dolor proroga,
Che amor ne incora.

Tu spiri, o Satana,
Nel verso mio,
Se dal sen rompemi
Sfidando il dio

De' rei pontefici,
De' re cruenti;
E come fulmine
Scuoti le menti.

A te, Agramainio,
Adone, Astarte,
E marmi vissero
E tele e carte,

Quando le ioniche
Aure serene
Beò la Venere
Anadiomene.

A te del Libano
Fremean le piante,
De l'alma Cipride
Risorto amante:

A te ferveano
Le danze e i cori,
A te i virginei
Candidi amori,

Tra le odorifere
Palme d'Idume,
Dove biancheggiano
Le ciprie spume.

Che val se barbaro
Il nazareno
Furor de l'agapi
Dal rito osceno

Con sacra fiaccola
I templi t'arse
E i segni argolici
A terra sparse?

Te accolse profugo
Tra gli dèi lari
La plebe memore
Ne i casolari.

Quindi un femineo
Sen palpitante
Empiendo, fervido
Nume ed amante,

La strega pallida
D'eterna cura
Volgi a soccorrere
L'egra natura.

Tu a l'occhio immobile
De l'alchimista,
Tu de l'indocile
Mago a la vista,

Del chiostro torpido
Oltre i cancelli,
Riveli i fulgidi
Cieli novelli.

A la Tebaide
Te ne le cose
Fuggendo, il monaco
Triste s'ascose.

O dal tuo tramite
Alma divisa,
Benigno è Satana;
Ecco Eloisa.

In van ti maceri
Ne l'aspro sacco:
Il verso ei mormora
Di Maro e Flacco

Tra la davidica
Nenia ed il pianto;
E, forme delfiche,
A te da canto,

Rosee ne l'orrida
Compagnia nera,
Mena Licoride,
Mena Glicera.

Ma d'altre imagini
D'età più bella
Talor si popola
L'insonne cella.

Ei, da le pagine
Di Livio, ardenti
Tribuni, consoli,
Turbe frementi

Sveglia; e fantastico
D'italo orgoglio
Te spinge, o monaco,
Su 'l Campidoglio.

E voi, che il rabido
Rogo non strusse,
Voci fatidiche,
Wicleff ed Husse,

A l'aura il vigile
Grido mandate:
S'innova il secolo,
Piena è l'etate.

E già già tremano
Mitre e corone:
Dal chiostro brontola
La ribellione,

E pugna e prèdica
Sotto la stola
Di fra' Girolamo
Savonarola.

Gittò la tonaca
Martin Lutero;
Gitta i tuoi vincoli,
Uman pensiero,

E splendi e folgora
Di fiamme cinto;
Materia, inalzati;
Satana ha vinto.

Un bello e orribile
Mostro si sferra,
Corre gli oceani,
Corre la terra:

Corusco e fumido
Come i vulcani,
I monti supera,
Divora i piani;

Sorvola i baratri;
Poi si nasconde
Per antri incogniti,
Per vie profonde;

Ed esce; e indomito
Di lido in lido
Come di turbine
Manda il suo grido,

Come di turbine
L'alito spande:
Ei passa, o popoli,
Satana il grande.

Passa benefico
Di loco in loco
Su l'infrenabile
Carro del foco.

Salute, o Satana,
O ribellione,
O forza vindice
De la ragione!

Sacri a te salgano
Gl'incensi e i voti!
Hai vinto il Geova
De i sacerdoti.

Settembre 1863



Respuesta  Mensaje 3 de 5 en el tema 
De: lore luc Enviado: 10/04/2012 12:30

Inno a Satana

Giosuè Carducci

Introduzione

Giosuè Carducci nasce nel 1835 in Versilia, da famiglia medio borghese e trascorre l’infanzia in Maremma. Studia alla Normale Superiore di Pisa e si laurea in lettere nel 1856. Sin da giovane si rivela un grande sostenitore della Rivoluzione francese, e di idee accesamente democratiche e repubblicane. Seguì con fervore soprattutto le vicende che portarono l’Italia all’unificazione, senza però parteciparvi direttamente, ma fu poi deluso da come queste vicende trovarono la loro soluzione in un compromesso tra re e Destra storica.

Così assunse una posizione di forte critica e contrasto nei confronti del nuovo governo, arrivando addirittura ad essere sospeso dal suo insegnamento alla cattedra di eloquenza, dell’università di Bologna, che aveva ottenuto dopo una laurea in lettere nel 1860. Nonostante questa, continuò nella sua critica soprattutto al comportamento “vile” degli italiani, un comportamento che non rispondeva più a quegli ideali risorgimentali a cui egli era tanto legato. Attaccò duramente la politica che si dimostrava piuttosto rinunciataria verso la conquista di Roma, la quale doveva essere una parte della nuova nazione italiana. Così, mentre sottolineava la mediocrità politica e la mancanza di eroismo di quel tempo, si fece però sostenitore del popolo, visto come la vera forza motrice della storia, in grado di trasformare il mondo. Altro oggetto della sua opposizione fu poi la chiesa: il suo anticlericalismo lo scagliò contro di essa, che egli vedeva come un baluardo della tirannide: la chiesa per Carducci era il simbolo dell’oscurantismo. La sua visione divina passava attraverso la liberazione da ogni ascetismo, che mortifica il godimento della vita e dell’azione, ascetismo tipicamente religioso, ma che, come ogni altra forma di oscurantismo medievale, stava per essere soppresso dalla forza della ragione, della scienza e del progresso, di cui egli fa una vera e propria esaltazione.

Successivamente, col passare degli anni e grazie alla stabilizzazione politica italiana, dovuta anche alla presa di Roma, Carducci venne a moderare le sue posizioni, avvicinandosi gradualmente alla monarchia. Così, il suo acceso patriottismo si trasformò in nazionalismo, arrivando addirittura alla formazione di un circolo monarchico. Ora per lui il popolo poteva essere lo strumento per accrescere il valore nazionale, attraverso guerre imperialistiche. Un’altra trasformazione, parallelamente a questa ideologica, si ebbe nella sua poetica: egli si orienta infatti verso orizzonti più aperti. Ma forte rimase la sua matrice giovanile, soprattutto nel campo letterario: nelle sue opere troviamo infatti un discorso poetico “ alto “, e aulico, e nel suo pensiero uno sdegno verso le forme più popolari, con critiche quindi ai romanzi, e a Manzoni. In giovinezza la sua poesia è sdegnosa del romanticismo sia manzoniano sia di quello sentimentale e popolare del Prati e dell’Aleardi. Egli si definisce l’ultimo scudiero dei classici, sceglie di esprimersi in forme alte e auliche. Poi però il suo spirito battagliero espressosi in forme classicheggianti si stempera lasciando spazio a momenti di sconforto, di tedio esistenziale, angoscia per la morte e nostalgia della gioventù.

Carducci proprio per queste sue tendenze stilistiche è stato definito da Croce “l’ultimo dei classici”, come il poeta che seppe resistere alla “malattia” romantica, a differenza di tanti scrittori della sua età. Altrettanto però si oppone con la sua visione della vita severa e forte alla tormentata poesia del ‘900, “all’uomo di pezza” di Ungaretti, o al “male di vivere” del Montale. Al contrario, critici più recenti come Mario Praz, considerano questo poeta come un tardo romantico, che si aggrappa alla classicità per esorcizzare le angosce che lo assillano, e che quindi assume il mondo antico come un’evasione esotizzante dalla realtà squallida e mediocre della società borghese.

Inno a Satana

Documento importante del sistema di idee del Carducci e di una tendenza della cultura e mentalità contemporanea è l’Inno a Satana, che compone nel 1863 e pubblica due anni dopo.

Satana per i reazionari era simbolo della modernità da condannare in tutte le sue forme. Al contrario Carducci in questa sua lirica celebra la figura di Satana e la rovescia in positivo; esso diventa quindi simbolo degli aspetti più positivi della vita. Nelle prime cinque strofe del componimento Satana rappresenta le gioie terrene: il banchetto, il vino, l’amore, princìpi della pienezza vitale. A questo proposito significativi sono i versi 19-20 nei quali il poeta con un apostrofo invoca Satana chiamandolo “Re del convito”. Nelle strofe seguenti Satana viene identificato con le bellezze naturali ed artistiche; infatti Carducci lo rappresenta con Agramainio, che nella mitologia iranica è il principio del male e della ribellione, con Adone, che nella mitologia greca è il bellissimo ragazzo di cui si innamorò Venere, allegoria della primavera e della natura e della natura fiorita, e infine Astarte, dea fenicia del piacere. Le bellezze naturali vennero fissate sulla tela o sulla carta o scolpite nei marmi dai Greci (cfr. verso 91 “i segni argolici”). Contro queste bellezze artistiche si scagliarono però con la loro ottusità ed il loro oscurantismo i primi cristiani, che non compresero il valore intrinseco di queste opere, e le considerarono solo idoli pagani. Ma il paganesimo, benchè bandito dal cristianesimo, sopravvisse nella plebe (vv 93-96).

L’inno continua poi mettendo in campo due figure: quella dell’alchimista e del mago del medioevo, entrambi insoddisfatti del loro sapere. Essi sono esempi dell’oscurantismo medievale e della superstizione che la ragione e la scienza, incarnate da Satana, dovrebbero trasformare in vero sapere (vv 105-108). Nella strofa seguente (vv 113-116) Carducci descrive i primi monaci cristiani che praticarono l’ascetismo nel deserto; il monaco è definito triste proprio perché fugge dalla natura, si nasconde da essa perché vede in questa una manifestazione di Satana. Ma certamente i più degni simboli dell’oscurantismo medievale, in quanto ne furono vittime, sono Abelardo ed Eloisa (vv 117-120).

Abelardo fu un celebre filosofo vissuto nel XII secolo, propugnatore del libero pensiero, si innamorò della sua allieva Eloisa e venne punito dallo zio di lei con l’evirazione.

Poi polemicamente il poeta descrive la vita nel chiuso del convento dove i monaci sono attratti in maniera peccaminosa dalla cultura classica, leggendo Virgilio, Orazio e gli elegiaci. Qui è Satana ad essere simbolo di questa cultura, in quanto espressione di valori come la bellezza, l’amore e i piaceri della vita.

Con il passare dei secoli, soprattutto a partire dal 1300 Carducci mostra però come l’ascesi, la rinuncia, il dogmatismo non abbiano vinto del tutto: lo provano i roghi di Wicleff e di Huss, di Arnaldo da Brescia e di Savonarola, tutti monaci riformatori bruciati come eretici. A queste figure si associa quella di Lutero, l’iniziatore della riforma protestante, poi scomunicato dalla Chiesa di Roma.

Nel finale dell’inno, Satana viene identificato con il progresso della scienza, forza “vindice” della ragione e del progresso che anche nel presente ha vinto ogni forma di oscurantismo e di dogmatismo del cristianesimo. L’immagine più evidente del progresso è la macchina a vapore, la locomotiva, “un bello e orribile mostro” (vv 169-170).

Le idee che il Carducci esprime nell’inno, così rivoluzionarie, e forti, erano comuni a buona parte dell’opinione pubblica del tempo, decisamente anticlericale, laica e vicina all’ottimismo della filosofia positivista.

è altrettanto significativo come Carducci sviluppi una materia così nuova e rivoluzionaria in forme però classicheggianti: tutta la poesia è ricca di termini aulici, di riferimenti dotti, di latinismi.

A mio giudizio la sezione della poesia più ricca di preziosità e di erudizione è quella in cui Carducci fa sfoggio delle sue conoscenze mitologiche, cioè i versi dal 65 all’84, dove racconta il mito dell’amore tra Venere e Adone ed i luoghi dove le divinità venivano venerate.

Per quanto riguarda invece i latinismi possiamo portare come esempio il “brando”, ovvero la spada, al verso 27, “l’alma Cipride”, verso 75, che ci ricorda l’Alma Venus del proemio del De Rerum Natura di Lucrezio, cioè la Venere datrice di vita, oppure anche la natura “egra” del verso 104.

Egra deriva dall’aggettivo latino aeger, che significa malato, debole. Troviamo anche pugna (v 157), vindice (vendicatrice, da “vindix”).

Conclusioni

Una valutazione del Carducci anticlericale, sostenitore della modernità e democratico, compare in un giudizio di Natalino Sapegno in “Ritratto di Manzoni e altri saggi”. Egli sostiene che con la raccolta Giambi ed Epodi e in particolare con l’Inno a Satana esplode l’autentica “scapigliatura carducciana”; il poeta, servendosi del linguaggio della satira, per tradizione genere minore e meno obbligato ad uno stile rigoroso ed ad una lingua illustre, dà voce ai valori della libertà, della giustizia, della solidarietà umana, in una parola agli ideali giacobini, che aveva fatto propri dopo la lettura di autori d’oltralpe come Michelet, Proudhon e Hugo.

Secondo Sapegno le novità di questa raccolta sono due: da un lato “la maggior concretezza, il rilievo, la compattezza nuova della sua poesia”, cioè il fatto che rappresenti in maniera plastica ed oggettiva il reale ed il quotidiano, dall’altro “la novità del linguaggio, che a tutta prima salta agli occhi: la sua energia scattante, le sue impennate prepotenti, quel suo modo di confessarsi nei momenti lirici di ripiegamento e di rimpianti, il verso andare che schiaffeggia gli idoli di un mondo falso”.

Proprio queste due novità nella sua produzione lirica portano il critico a concludere che Carducci senza ombra di dubbio debba essere annoverato fra gli esponenti della letteratura post-romantica, infatti dice Sapegno che questi “erano gli anni in cui anch’egli imprecava contro il gusto borghese, contro i pregiudizi e le paure dei moderati, e guardava con terrore al pericolo di diventare il poeta laureato dell’opinione pubblica”.

Sapegno conclude che nonostante questa sia la stagione lirica del Carducci più attiva e vitale, essa presenti però dei limiti: quegli ideali rivoluzionari e giacobini che era andato esprimendo restavano ideali astratti, un po’ vuoti, immagini eloquenti e retoriche espressi in un linguaggio aulico e solenne fino a sfiorare il ridicolo. La causa di questi limiti è da ricercare in concreto nella sua formazione culturale esclusivamente letteraria e accademica, sprovvista di salde basi dottrinali.

Nonostante il giudizio del Sapegno sul fatto che le idee di modernità del Carducci poggino solo su basi libresche, quello che colpisce in questo poeta è il fatto che seppe cogliere l’importanza che la macchina “avrebbe di lì a poco ricoperto nelle trasformazioni rapidissime della società e del costume”.

La macchina in Carducci incarna la modernità, in maniera plastica, oggettiva e concreta com’è caratteristica della sua poesia. è significativo che negli stessi anni in cui Carducci canta la modernità della Chiesa con Pio IX, nel 1864 con “Il Sillabo”, un elenco degli “errori del secolo” liberali ed illuministici, condanni le generazioni della civiltà moderna.

Andrea Pirovano


Respuesta  Mensaje 4 de 5 en el tema 
De: haiku04 Enviado: 13/04/2012 12:28

 

 
Pianto Antico
 

 
 
 
 

Respuesta  Mensaje 5 de 5 en el tema 
De: Butterfy Enviado: 13/04/2012 21:23


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