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Religione: sulla sola scriptura
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De: enricorns  (Mensaje original) Enviado: 13/09/2012 12:16

mercoledì 12 settembre 2012

Sulla Sola Scriptura

 

 
Quello della Sola Scriptura è uno dei pochi elementi che accomuna tutte le migliaia di denominazioni protestanti sparse per il mondo, pentecostali compresi. Ma questo metodo ha una base apostolica? Deriva dalle origini del Cristianesimo? E, soprattutto, funziona o è causa di infinite divisioni dottrinali?
 

L’origine storica

 
Per quanto alcuni cerchino di negarlo, l’origine di questo concetto è molto tarda. Senza dubbio, il primo a formularlo sistematicamente e a farne un pilastro è stato Martin Lutero. Quindi parliamo del XVI secolo, ben quindici secoli dopo la venuta di Cristo e la predicazione degli apostoli. In certi siti, come al solito, si cerca di manipolare gli scritti dei Padri della Chiesa per fargli affermare una dottrina quanto mai lontana dal loro pensiero. Ma abbiamo già visto come chi vuole farsi un’idea scientifica in materia di patristica, deve tenersi il più lontano possibile dai siti evangelici. Ed essendo questi tentativi particolarmente insignificanti, almeno per ora li sorvoliamo senza troppi scrupoli.


Sola Scriptura, ma cos’è la Scrittura?

 
Può sembrare strano, ma chi afferma questa dottrina lo può fare solo se non ha presente la natura della Scrittura. In vari articoli, abbiamo già visto quanto sia sbagliato contrapporre la Tradizione della Chiesa alla Scrittura, essendo la seconda parte integrante della prima. La Chiesa che ha stabilito il canone, lo ha fatto usando la sua autorità. Quindi è chiaro che non intendeva fare del Nuovo Testamento l’unica autorità, né c’è qualcosa che ci possa anche far solo sospettare una simile enormità. Perché il Nuovo Testamento non è un trattato né un dizionario teologico, è composto da pochi libri e dalle lettere che gli apostoli hanno scritto durante il loro ministero. Si tratta, quindi, di lettere scritte per motivi pastorali; indirizzate alle comunità del tempo, ai loro problemi e non ai dubbi di protestanti vissuti un millennio dopo. Le lettere apostoliche sono un richiamo alla fede che essi avevano trasmesso di persona, sono parte del ministero apostolico.
 
Ad un cristiano del tempo non sarebbe mai venuto in mente di ridurre il ministero di san Paolo alle lettere di san Paolo. Perché avevano a che fare con una persona reale, mentre per alcuni evangelici sembra quasi che l’apostolo abbia avuto solo un’esistenza “cartacea”. È come chi vuole conoscere un parente vissuto qualche generazione prima, senza trova un valido aiuto in eventuali lettere o diari. Ma sarebbe irragionevole rifiutare a prescindere i ricordi familiari trasmessi da chi con quella persona ha vissuto. Per questo il ragionamento del “non è scritto” in molti casi è infondato. Soltanto perché un apostolo non ha raccontato di essere stato in una città o di aver fatto una determinata cosa, non vuol dire che non sia vero (se ci sono elementi che lo fanno pensare). Così come un apostolo può semplicemente accennare a dei fatti o a delle idee, dando per scontato che fossero noti ai destinatari (ma che non lo sono più per noi). Per cui dobbiamo – per forza di cose – affidarci ai “ricordi di famiglia”, in questo caso la ben più autorevole Tradizione della Chiesa. Chi nega questa realtà, dimostra di non capire la natura della Scrittura. E quindi di quest’ultima è destinato a capire ben poco, e molto a fraintendere.
 
Anche perché nel Cristianesimo la Rivelazione non è avvenuta per iscritto ma tramite annuncio orale. All’ombra di questo Annuncio sono stati scritti i libri e le lettere che oggi formano il canone biblico. Scritti che la Chiesaha riconosciuto come suoi e che quindi non possono avere significati diversi da quella predicazione. Perché la Scrittura è un tesoro di inestimabile valore nato nella Chiesa e per la Chiesa.
 
 
Un comando apostolico?

 
Molti evangelici sono imbarazzati dal fatto che un principio fondamentale come quello che dovrebbe essere la Sola Scriptura non sia affatto insegnato dalla Scrittura stessa. Anzi, a dire la verità, il Nuovo Testamento racconta di come è nata e si è sviluppata la Chiesa. Non è per nulla autoreferenziale, né si presenta come un’autorità a se stante. Eppure diversi evangelici credono che quello della Sola Scriptura sia un principio implicito e sottointeso, un postulato che in quanto tale può essere creduto facendo eccezione alla legge “del non sta scritto, quindi non è vero”. Però i postulati, per definizione, sono verità indimostrabili quanto essenziali. In altre parole, la loro utilità li rende indispensabili. Ma, come abbiamo visto, il Cristianesimo ne ha fatto a meno per più di un millennio e neanche la Chiesa dei tempi eroici conosceva questo principio. Non soltanto perché non scritto, ma semplicemente perché non faceva parte della Tradizione apostolica (che per nessun motivo avrebbe mai desiderato di essere mutilata). Visto che, inoltre, i postulati vanno posti all’inizio e non in corso d’opera. Quello della Sola Scriptura, quindi, è un principio non necessario e non posto dai“fondatori” ma da altri in epoca tarda. Pertanto non può essere un postulato, vista anche la sua incompatibilità con la natura profonda del Cristianesimo e con la sua peculiarità storica che molti evangelici dimostrano di aver perso. Come se il Cristianesimo fosse un’ideologia e non l’irruzione di Dio nella storia dell’uomo che crea una nuova vicenda, con delle origini che bisogna avere come costante riferimento.
 
Altri evangelici, più in cattiva fede, cercano di dimostrare che la Bibbiainvece si presenti come unica autorità. E lo fanno, come al solito, manipolando dei passi. Potrebbero citarvi il Deuteronomio (4, 2) che però si riferisce semplicemente ai “comandi del Signore”, il Libro dei Proverbi (30, 5-6) o l’Apocalisse che riporto essendo quello citato più spesso:
 
Dichiaro a chiunque ascolta le parole profetiche di questo libro: a chi vi aggiungerà qualche cosa, Dio gli farà cadere addosso i flagelli descritti in questo libro; e chi toglierà qualche parola di questo libro profetico, Dio lo priverà dell'albero della vita e della città santa, descritti in questo libro.
(Ap 22, 18-19)
 
Anche gli altri passi sono dello stesso tenore, e tutti come questo si riferiscono semplicemente a chi osa manipolare i testi della Sacra Scrittura. Aggiungere o togliere significa modificare il testo a proprio piacimento, eliminare e/o aggiungere determinati passi o interi capitoli. Non vi si ordina affatto il “suicidio del pensiero” che gli evangelici pretendono.
 
Poi ci sono i passi del libro di Giosuè (1, 7-8) e qualcosa nelle lettere paoline (2 Tm 14-16). Entrambi parlano semplicemente dell’importanza della Scrittura, ma nulla di più. Anzi, riguardo la lettera di Timoteo gli evangelici vi citeranno il passo dal versetto 15, perché quello precedente dice “ Tu però rimani saldo in quello che hai imparato e di cui sei convinto, sapendo da chi l'hai appreso…”. Non solo la Scrittura quindi, è importante anche da chi si apprende.
 
 
Un ministero di persone e non di carta

 
Quindi, come al solito, nulla di consistente o di probante. La Sola Scriptura è nata per il semplice venire meno della fiducia nella Chiesa e il disprezzo dell’autorità di matrice moderna. Pretendere di trovare un’ideologia così moderna nella Scrittura è semplicemente anacronistico. Inoltre, ci sono anche passi che –senza volerlo, poiché allora non esisteva – ne minano le basi:
 
Perciò, fratelli, state saldi e mantenete le tradizioni che avete apprese così dalla nostra parola come dalla nostra lettera (2 Tessalonicesi 2,15)E le cose che hai udito da me in presenza di molti testimoni, trasmettile a persone fidate, le quali siano in grado di ammaestrare a loro volta anche altri (2 Timoteo 2,2)

Prendi come modello le sane parole che hai udito da me, con la fede e la carità che sono in Cristo Gesù. Custodisci il buon deposito con l'aiuto dello Spirito Santo che abita in noi (2 Timoteo 13-14)

Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà (Giovanni 16,12-14)
 
 
Di per sè, almeno i primi tre passi, non sono particolarmente importanti ma lo diventano proprio per la loro banalità. Infatti, i tessalonicesi non erano tenuti ad obbedire a nulla di scritto ma principalmente agli apostoli (che si servivano anche di scritti). E, distinguendo tra la parola e la lettere, san Paolo sta ammettendo implicitamente di non aver messo tutto nero su bianco. Così come le comunità affidate a Tito (1, 5; 13; 2, 15) non si sarebbero mai sognate di chiedergli“ma questo che stai dicendo, in quale lettera di Paolo sta scritto?”. Perché, almeno come la pongono i protestanti, è una domanda assolutamente priva di senso. Ora qualcuno potrebbe obiettare che questa era la situazione nel periodo in cui gli apostoli erano ancora in vita, e che con la loro morte il tutto si sia ridotto a quello che hanno lasciato scritto. Cosa che ovviamente non solo non è mai successa, ma probabilmente – essendo un’idea particolarmente bislacca– non è mai nemmeno venuta in mente ad alcuno. Di sicuro non ai vescovi e ai discepoli degli apostoli che hanno governato la Chiesa subito dopo di essi. E poi c’è un ostacolo insormontabile: perché questo gli apostoli non lo hanno detto? San Paolo avrebbe potuto benissimo dire: “Cari amici, per adesso state a sentire Tito e Timoteo. Ma quando sarò morto, basatevi solo e soltanto sulle mie lettere e interpretatele come volete”. Siccome questo però “non sta scritto” gli evangelici non lo possono credere, o almeno non potrebbero (se sono coerenti).
 
 
Gli apostoli e la Scrittura


Per gli apostoli la Scrittura è molto importante, tanto che la citano continuamente. Ma come la leggono? Si attengono sempre e soltanto a quello che“sta scritto”? Proviamo a vedere nei dettagli, perché può essere molto istruttivo.


Se, infatti, la parola trasmessa per mezzo degli angeli si è dimostrata salda, e ogni trasgressione e disobbedienza ha ricevuto giusta punizione …(Ebrei 2,2)

‎"Egli è quel Mosè che disse ai figli d'Israele: Dio vi farà sorgere un profeta tra i vostri fratelli, al pari di me. Egli è colui che, mentre erano radunati nel deserto, fu mediatore tra l'angelo che gli parlava sul monte Sinai e i nostri padri; egli ricevette parole di vita da trasmettere a noi" (Atti 7, 37-38)

In questi due passi, san Paolo e Stefano dicono che la Legge (e forse anche il resto della Bibbia, ma non importa) è stata data per mezzo degli angeli. Si tratta di una convinzione tradizionale dei Giudei, quasi per nulla supportata dalle Scritture. Infatti, andando a leggere i passi relativi (Es 19, 10-25; Es 24, 12-17; Es 34, 1-9) ci si rende conto che non si accenna nemmeno alla presenza di angeli. Alcuni pensano di cavarsela mettendo in gioco l’Angelo del Signore, una figura complessa che pare essere una vera a propria manifestazione di Dio più che un angelo in senso stretto (cioè una creatura). Ma questo escamotage non risolve il problema. Per due ragioni: prima di tutto non sta scritto che sul Monte Sinai ci fosse l’Angelo del Signore, è comunque un’aggiunta della tradizione; secondo, san Paolo parla di angeli al plurale, quindi fa senza dubbio riferimento agli angeli veri e propri. La verità è chiara, anche se scandalosa: qui la Scrittura stessa sta commettendo il peccato mortale di lesa maestà che i protestanti imputano alla Chiesa. L’aggiungere e togliere che secondo loro attira la maledizione divina. Ma non è finita qui.

Nella lettera di Giuda si fa esplicito riferimento a testi apocrifi, riportando fatti assenti nella Scrittura ma dedotti dalla tradizione. Il più eclatante è forse quello dell’Assunzione di Mosè, cioè la contesa tra l’arcangelo Michele e il diavolo sul corpo del patriarca (v. 9). Episodio che cerchereste invano nella Scrittura, la quale parla solo della sua morte (Dt 34, 5-11). Così come l’autore della lettera riporta una profezia di Enoch “settimo dopo Adamo” (vv. 14-15) desunta probabilmente dal Libro di Enoch. E la caduta degli angeli in seguito alla ribellione di Satana (v. 6), accennata anche dalla seconda lettera di Pietro (2, 4), non è narrata nella Scrittura.
 
 
Ancora altri esempi ce li fornisce san Paolo, il quale prende da una tradizione orale i nomi dei maghi del faraone (2 Tm 3, 8) quando questi erano stati omessi dal racconto biblico (Es 7, 22; 8, 15). Sempre Paolo, a riguardo della fede esemplare degli antenati, parla di martiri “segati” facendo forse riferimento alla sorte del profeta Isaia secondo alcuni apocrifi. Così come l’apostolo crede alla tradizione rabbinica secondo cui “la rupe di Nm 20, 8 seguiva Israele nel deserto” (nota della Bibbia di Gerusalemme, 1 Cor 10,4).
 
Nel Vangelo di Matteo, infine, viene riportata la profezia “Sarà chiamato Nazareno” (2, 23) che però non è una citazione testuale della Scrittura ma una rielaborazione degli antichi oracoli (alcuni la chiamerebbero“aggiunta”).


Sta scritto o non sta scritto?


Queste due espressioni, soprattutto la seconda, stanno sempre sulla bocca degli evangelici. Eppure, paradossalmente, solo la prima è "biblica" e compare in un grande numero di passi. Nelle contese, infatti, Gesù e gli apostoli non pensano mai di cavarsela dicendo "questo non sta scritto". Segno di una concezione diversa della verità, per cui non necessariamente una cosa non scritta è falsa. Forse l'unico esempio nel Vangelo di una mentalità simile a quella dei protestanti è l'episodio dei sadducei (Mt 22, 23-32) sulla Risurrezione che non trovavano nella Scrittura. E in effetti non era deducibile senza un ragionamento teologico che andasse al cuore della lettera.

 
Conclusioni


Come abbiamo visto, quasi nessuno degli autori del Nuovo Testamento si salva dalla scure della Sola Scriptura. Un po’ tutti hanno avvalorato cose “non scritte”, e la spiegazione è semplice. Gli apostoli erano degli ebrei e non potevano nemmeno conoscere questa ideologia moderna. Ed evidentemente non interpretavano così male le parole di Gesù sulla tradizione, che non ha mai voluto creare un’equazione così semplicistica tra il falso e il non scritto. Messi di fronte all’evidenza che gli apostoli non hanno mai insegnato né praticato la Sola Scriptura, alcuni evangelici provano – neanche a dirlo – ad usare l’argomento “eccezione”. Ovvero gli apostoli, come depositari della Rivelazione, non sarebbero tenuti a restare al puro testo come tutti gli altri. Solo che, ovviamente, anche questo “non sta scritto” e le maledizioni su chi aggiunge e toglie non sembrano concepire eccezioni di sorta. Inoltre, quando si parla dei libri deuterocanonici, gli evangelici affermano strenuamente che la Chiesa non ha l’autorità per inserire nel canone libri non compresi nella raccolta ebraica. Seguendo questo ragionamento, si dovrebbe concludere che gli apostoli allora non dovevano avere nemmeno da aggiungere fatti riguardanti l’Antico Testamento ormai concluso. La verità è che queste convinzioni non sono frutto della Rivelazione ma della tradizione giudaica che evidentemente gli apostoli consideravano ben distinta dalle“favole” (Tt 1, 14).

Alla luce di tutto questo, ci si rende facilmente conto quanto sia vano anche il tentativo di vedere la Sola Scriptura in passi, per giunta piuttosto oscuri, come quelli della prima lettera ai Corinzi (4, 6) in cui Paolo parla di cose di cui lui stesso ha dato esempio: di sicuro non della Sola Scriptura. Ideologia che, da quando esiste, non ha fatto che creare divisioni. Tanto che oggi si contano ben 43.000 denominazioni protestanti in concorrenza tra di loro, e si tratta di un numero per giunta in continuo aumento. Perché al concetto di Sola Scriptura si accompagna quello della “libera interpretazione”, ovvero dell’interpretazione personale che mette da parte la verità (in tutti sensi) a favore dell’arbitrio. Principio che, ovviamente, non è contenuto nelle Scritture che – anzi – insegnano l’esatto contrario (2 Pt1, 20; 2Pietro 3,16).

 

La Sola Scriptura, quindi, è un‘ideologia moderna estranea al Cristianesimo. E, un po’ come il relativismo, più che un paradigma di pensiero è un’arma contro gli altri. Si relativizzano sempre le idee degli altri, allo stesso modo sono sempre gli altri a dover fornire le prove scritturali di quello che sostengono. Un esempio su come dal "non scritto" si possono ricavare assurdi divieti? Gli evangelici credono di avere un rapporto privilegiato con lo Spirito Santo, eppure secondo alcuni (pentecostali anch'essi) sarebbe sbagliato l'invocarlo. Il perchè? E' presto detto: nella Scrittura nessuno lo prega direttamente nè si ordina di farlo. Ecco una cosa non biblica che, ovviamente, gli evangelici però praticano senza scrupoli.

Il Cristianesimo non è fondato sulla disputa, su questa marea di “non sta scritto” ma sulla Tradizione vivente della Chiesa alla quale è stata affidata la Rivelazione. Laquale si sostanzia della predicazione apostolica che non ci ha lasciato solo il Nuovo Testamento, ma anche le corrette interpretazioni e la chiave di accesso per la “verità tutta intera” (Gv 16, 13).

 
da ettorebarrablogspot


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Respuesta  Mensaje 2 de 2 en el tema 
De: enricorns Enviado: 13/09/2012 12:28

Il protestantesimo: un'introduzione

protestantesimo

Sotto il nome di “protestantesimo” sono rubricate un gran numero di denominazioni e comunità. Già nel 1991 lo storico americano Martin Marty scriveva che nel mondo si contavano 21.104 diverse denominazioni che potevano essere considerate “protestanti” e che il numero si accresceva in ragione di cinque alla settimana; e in effetti, secondo l’autorevole report annuale del Center for the Study of Global Christianity (cfr. Todd M. Johnson, David B. Barrett [1927-2011] e Peter F. Crossing, “Status of Global Mission, 2012, in the Context of AD 1800-2025”, International Bulletin of Missionary Research, vol. 36, n. 1, gennaio 2012, pp. 28-29), attualmente le denominazioni sono giunte alla cifra di 43.000 (erano 34.100 nel 2000). Dal punto di vista numerico, secondo gli autori del report citato, noti per essere i maggiori esperti di statistiche relative al mondo cristiano, nel 2012 i “protestanti” – nozione in cui essi fanno rientrare non solo i protestanti cosiddetti storici, ma anche gli avventisti e la prima ondata pentecostale – nel mondo sono 432.896.000. A questa cifra – cui vanno in parte affiancati i “cristiani indipendenti”, non tutti però “protestanti” e in gran parte membri di denominazioni pentecostali di ondate successive alla prima, che secondo gli stessi autori sono 358.611.000 – si possono aggiungere gli 89.716.000 membri della Comunione anglicana, le cui articolazioni possono essere fatte rientrare, anche se non senza problemi, in una nozione ampia di “protestantesimo”. Si può quindi stimare il totale dei protestanti in senso lato – assumendo che tre quarti degli “indipendenti” siano o pentecostali ovvero di ispirazione luterana, battista e metodista – a circa 791.570.250, quasi un terzo dei cristiani presenti nel mondo, stimati in 2.325.507.000 persone, ossia il 33% della popolazione mondiale. È peraltro evidente che si può giungere a stime molto diverse, a seconda che si prendano in considerazione i soli membri “attivi” ovvero anche quelli “nominali”.

Di fronte al gran numero e alla grande varietà di denominazioni e credenze alcuni negano che sia possibile dare una definizione precisa del protestantesimo. Alcuni ritengono, da un punto di vista storico, che sia possibile definire "protestanti" le denominazioni che hanno nel loro albero genealogico un riferimento almeno remoto alla Riforma protestante "storica", cioè a Lutero, Calvino, Zwingli e, per chi considera gli anglicani come protestanti, le personalità che si situano alle origini della Chiesa d'Inghilterra. Non a caso le definizioni "storiche" del protestantesimo hanno corso soprattutto in Europa, dove la percentuale di eredi diretti della Riforma "storica" sul totale dei "protestanti" è più importante, mentre negli Stati Uniti e in America Latina la prevalenza numerica di altre tradizioni (battisti, pentecostali) per cui la ricostruzione di un albero genealogico è comunque più problematica rischia di mettere in crisi le definizioni che fanno riferimento alla storia. Altri autori - fra cui, in particolare, il sociologo francese Jean-Paul Willaime - non ritengono impossibile enucleare alcune caratteristiche insieme sociologiche e dottrinali del protestantesimo come categoria generale. Willaime richiama l'attenzione sul fatto che il protestantesimo nasce e si definisce - anche al di là di una indagine sulle intenzioni soggettive dei suoi primi fondatori - in opposizione al cattolicesimo. Estrapolando dai lavori di Willaime e di altri possiamo reperire - in questa chiave - tre caratteristiche fondamentali del protestantesimo:

a) il modo di elaborazione della verità religiosa (in altre parole il principio epistemologico del protestantesimo) è diverso da quello cattolico, in quanto insiste sulla sola Scriptura, "sulla Bibbia come sola autorità in materia di fede e di vita ecclesiale". Questa opzione epistemologica originaria è peraltro aperta a sviluppi molto diversi: a causa del principio sola Scriptura "il protestantesimo è un fondamentalismo, ma nello stesso tempo, per la sua insistenza sul libero esame e il rifiuto di ogni magistero ecclesiastico, è un liberalismo" (Jean-Paul Willaime, La Précarité protestante. Sociologie du protestantisme contemporain, Labor et Fides, Ginevra 1992, p. 78);

b) dal punto di vista dell'esperienza religiosa (cioè del principio antropologico) il protestantesimo - sulla base, del resto, del suo principio epistemologico - privilegia l'esperienza individuale del credente rispetto all'inserimento in una comunità strutturata e gerarchica. Anche questo elemento - nei termini di Willaime - è "precario" perché può condurre alternativamente (e qualche volta insieme) all'"emozionalismo" e all'"intellettualismo";

c) infine, dal punto di vista del modo di costruzione dell'autorità (cioè del suo principio sociologico), il luogo della verità non è più nell'istituzione in quanto tale, ma nel messaggio proclamato da questa istituzione. Per giudicare se il messaggio è proclamato "correttamente", è costruita socialmente la figura del "pastore" come specialista della Bibbia, persona che conosce meglio la Bibbia di quanto non la conoscano i singoli fedeli, o in virtù dei suoi studi e della sua erudizione ovvero in virtù della sua esperienza di fede particolarmente intensa e del suo carisma. Anche qui sono possibili sviluppi in direzioni molto diverse: se il principio epistemologico può portare al liberalismo o al fondamentalismo, le comunità "liberali" finiranno per essere dominate dai teologi e quelle "fondamentaliste" da predicatori di tipo carismatico. Anche se alcune Chiese hanno istituito il ministero dei vescovi, in ogni caso l'autorità non è istituzionale ma personale; non deriva dal munus gerarchico ma dalla competenza (teologica o carismatica).

Che si debba parlare di protestantesimi, al plurale, è chiaro da molti anni a quanti studiano il mosaico protestante. Alcune distinzioni antiche - che peraltro sono mantenute in diversi ambienti - sono tuttavia troppo semplici, di fronte all'estrema varietà di denominazioni e movimenti. Così è per la distinzione fra un protestantesimo sacramentale o liturgico e un protestantesimo non sacramentale e anti-liturgico. La prima categoria comprenderebbe infatti soltanto la Comunione anglicana (e neppure tutte le sue componenti) e alcune denominazioni luterane. Insufficiente è anche la distinzione tra un protestantesimo calvinista - legato a una rigorosa interpretazione della dottrina della predestinazione - e un protestantesimo arminiano, che - attraverso le teorie del teologo olandese Jacob Arminius (1560-1609) - sfugge al rigorismo in tema di predestinazione, affermando - contro il calvinismo classico - che Gesù Cristo è morto per tutti (non solo per i predestinati), che Dio - prima della predestinazione - prevede chi accetterà la grazia salvifica di Gesù Cristo e chi la respingerà, che alla grazia di Dio si può resistere e, dopo averla accettata, la si può rifiutare di nuovo e cadere. Per quanto la distinzione sia utile e importante, la problematica della predestinazione non è al centro di tutto il protestantesimo ma soltanto di un suo segmento, per quanto ampio. Insufficiente, infine, è la distinzione - dominante nella letteratura di lingua tedesca - fra Chiese istituzionali (cioè legate allo Stato, come sono in genere quelle della prima generazione della Riforma storica) e Chiese libere (Freikirchen). Il legame con lo Stato è certamente meno costitutivo oggi di un certo tipo di protestantesimo di quanto lo sia stato in passato, anche se in numerose regioni europee rimane importante e se l'origine come Chiesa istituzionale o come Chiesa libera segna ancora in modo profondo numerose comunità protestanti.

Meno rilevante di quanto spesso si creda è anche l'adesione o meno a organismi di collaborazione inter-protestantica come il World Council of Churches (WCC) o Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC) o, in Italia, la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI). Questi organismi sono certamente molto importanti, ma la decisione di aderirvi o meno deriva spesso da ragioni "politiche" o strategiche, che poco hanno a che fare con caratteristiche dottrinali o teologiche. Solo una vulgata caricaturale potrebbe considerare "Chiese" le denominazioni che aderiscono al WCC o alla FCEI e "sette" quelle che ne rimangono fuori (se si adottasse questo criterio il kimbanguismo dello Zaire, che presenta elementi di notevole originalità, sarebbe stato - finché è rimasto membro a pieno titolo del WCC - una "Chiesa" mentre la denominazione di maggioranza relativa nel protestantesimo statunitense, quella dei Battisti del Sud, costituirebbe una "setta").

Tra i sociologi che tengono ancora conto delle categorie di Max Weber (1864-1920) è corrente la tripartizione del protestantesimo in tre categorie: protestantesimo tradizionale, ascetico e romantico. Il protestantesimo tradizionale - i cui rapporti con la modernità non andrebbero esagerati - comprenderebbe il mondo anglicano, le comunità luterane e la prima generazione calvinista. Il protestantesimo ascetico - quello che, secondo Weber, mostrerebbe in modo così evidente le sue "affinità elettive" con lo "spirito del capitalismo" - comprenderebbe i movimenti calvinisti di seconda generazione (soprattutto anglo-americani), i pietisti, i metodisti e i battisti. A queste due categorie di Weber i neo-weberiani - sulla scia del sociologo Colin Campbell - aggiungono una terza categoria, il protestantesimo "romantico" che sarebbe tipico della società dei consumi novecentesca e che troverebbe la sua espressione più caratteristica nel pentecostalismo. Questa tripartizione, certamente suggestiva, presuppone l'accettazione del principio weberiano di una importanza centrale dell'atteggiamento etico rispetto alla vocazione e al lavoro per classificare le denominazioni protestanti. Poiché da questo punto di vista la tesi di Weber è ancora oggi al centro di un vasto dibattito, e non può essere data per scontata, preferiamo servirci di una tipologia leggermente diversa.

Una premessa di carattere sociologico, che fa da sfondo alla tipologia di cui ci serviremo, è illustrata nello studio di Finke e Stark The Churching of America, del 1992. Questo studio parte dall'elemento di "protesta" - insieme religiosa, politica e sociale - da cui deriva la parola stessa "protestantesimo". Tutte le comunità protestanti nella storia nascono come movimenti di protesta, alla periferia della scena religiosa, ma - non appena si dotano di un'organizzazione stabile - iniziano un processo di istituzionalizzazione. Talora abbandonano alcune dottrine e pratiche controverse; quasi sempre perdono i tratti utopistici (e spesso anche millenaristici) che avevano caratterizzato la prima generazione, consolidano i rapporti con la politica e gli Stati (o li instaurano dove in precedenza non esistevano), migliorano il livello sociale medio dei loro aderenti: in una parola si muovono "dalla periferia verso il centro". Il loro movimento non significa che sia venuta meno - sulla scena religiosa nella società - la presenza di formazioni sociali disponibili ad aderire a un gruppo "protestante" nel senso etimologico del termine, cioè di protesta.

Mentre la prima generazione di "protestanti" ha raggiunto il centro della scena religiosa, la mainline, alla periferia - lasciata libera dalla prima generazione che si è spostata - nascono nuovi movimenti di protesta, i quali proclamano il loro desiderio di rimanere "fuori da Babilonia" e di ritornare alla "purezza" originaria. Il modello di Finke e Stark prevede che questi "buoni propositi" non dureranno a lungo: a poco a poco anche la seconda generazione sarà coinvolta in un processo di istituzionalizzazione, diventerà "rispettabile" e si muoverà dalla periferia verso il centro. La periferia, nuovamente abbandonata, vedrà così nascere una terza generazione di movimenti di protesta, che nel giro di qualche decennio inizieranno a marciare verso il centro, e così via.

Il modello di Finke e Stark è stato criticato per la sua insistenza su fattori di carattere sociale e anche economico, e per il paragone - suggestivo, ma di cui a prima vista qualcuno potrebbe abusare - fra una "economia religiosa" in cui si confrontano migliaia di denominazioni e comunità diverse, e il mercato dei beni e dei servizi in cui competono migliaia di produttori. In realtà lo schema di Finke e Stark va riempito utilizzando elementi di carattere dottrinale e teologico. Possiamo così distinguere, schematicamente, fra tre protestantesimi, cui si aggiungono il protestantesimo pentecostale, il filone che deriva dalla Riforma radicale e il filone avventista; una posizione particolare occupa la cosiddetta "corrente metafisica".

Il primo protestantesimo ("storico") è costituito dalle comunità nate direttamente dalla Riforma storica - anche se in seguito frammentate da numerosi scismi -: luterani e calvinisti (presbiteriani), cui si possono per molti versi avvicinare le comunità della Comunione anglicana (chiamate "episcopaliane" negli Stati Uniti), anche se non mancano storici che considerano il mondo anglicano irriducibile al protestantesimo e preferirebbero farne un tertium genus intermedio fra il mondo cattolico e quello protestante. Nel primo protestantesimo rientrano, con caratteristiche proprie, anche i valdesi, eredi di una tradizione protestante pre-riformata passata attraverso diverse trasformazioni.

Il secondo protestantesimo (chiamato originariamente "evangelico" - aggettivo che ha peraltro diversi significati - e in seguito "di risveglio") è costituito dai movimenti di risveglio o revival che protestano contro la mancanza di fervore (in particolare fervore missionario) - non di rado attribuita al legame troppo stretto con gli Stati europei del protestantesimo storico, insistendo sull'incontro con Gesù Cristo come esperienza personale che spinge alla missione. La protesta nel mondo luterano produce il pietismo; nel mondo anglicano, il metodismo; e nel mondo presbiteriano, il battismo. La storiografia più recente insiste sulla derivazione dei battisti principalmente dal calvinismo, ripudiando le tesi più antiche secondo cui il movimento battista deriverebbe invece anzitutto dalla Riforma radicale e dall'anabattismo (anche se un'influenza anabattista rimane evidente su certi aspetti di tutto il mondo battista). Il tentativo di unificare i risvegli - e le comunità protestanti in genere - produce le denominazioni che derivano dal movimento detto Movimento di Restaurazione o "campbellita" (Discepoli di Cristo, Chiese di Cristo, "Chiese cristiane"), che hanno tuttavia caratteristiche così originali da meritare una trattazione a parte.

Il terzo protestantesimo è costituito dai movimenti che considerano ormai troppo "istituzionalizzate" e fredde le stesse comunità nate dai risvegli del secondo protestantesimo. Rientrano in questa terza ondata protestante vari tipi di "Chiese libere", i movimenti "di santità", le correnti perfezioniste, e anche il fondamentalismo (che è per altri versi una tendenza che attraversa tutte le comunità protestanti, più antiche o più recenti) quando non rimane all'interno delle denominazioni già esistenti ma si organizza in denominazioni autonome che protestano contro il "liberalismo" insieme teologico e morale delle comunità protestanti di origine più antica.

La corrente pentecostale-carismatica nasce nel XX secolo. Diversi storici - legati in particolare al primo e al secondo protestantesimo - la considerano come una semplice variante del movimento holiness e quindi come parte del terzo protestantesimo. Anche molti esponenti del mondo pentecostale si considerano parte del terzo protestantesimo. La questione è complessa. Peraltro, il terzo protestantesimo - in molte delle sue denominazioni più importanti e dei suoi predicatori più prestigiosi - non ha accettato la corrente pentecostale-carismatica come sua parte. Anche dal punto di vista sociologico il mondo pentecostale-carismatico e il mondo delle denominazioni holiness - dopo una fase confusa in cui alcune di queste ultime si sono trasformate in denominazioni pentecostali (mentre altre hanno lottato duramente contro il pentecostalismo) - si presentano come piuttosto distinti. Ci sarebbero pertanto ragioni per considerare il mondo pentecostale-carismatico come un protestantesimo sui generis, o un quarto protestantesimo distinto dal terzo, anche se la questione rimane in qualche modo aperta.

Mentre una linea storica di sviluppo del protestantesimo - forse principale, ma non unica - muove dalla cosiddetta "Riforma storica" e va dal primo protestantesimo alla corrente pentecostale, una seconda linea muove dalla Riforma radicale, che si afferma in conflitto e in contestazione con i padri storici della prima Riforma. Questo protestantesimo radicale è in genere considerato parte integrante e imprescindibile dell'eredità protestante, ma presenta caratteristiche peculiari.

Il protestantesimo avventista nasce nel XIX secolo dall'interesse per le speculazioni sulla fine del mondo, trasversale ai primi due protestantesimi, che genera però una serie di denominazioni separate dopo la crisi seguita alla diffusa attesa di avvenimenti apocalittici dell'anno 1844. Nate con caratteristiche talora simili a certi movimenti profetici di origine cristiana, le principali denominazioni avventiste si sono gradualmente riavvicinate al mondo protestante "evangelico", di cui oggi possono essere considerate parte. Al mondo protestante classico, con varie iniziative di dialogo, si sono avvicinate anche denominazioni nate dalla "corrente metafisica" come la Christian Science, così che si può parlare di protestantesimo metafisico con riferimento a realtà che una parte della ricerca sociologica inquadra anche nella categoria più generale delle "religioni di guarigione".

Distinte dalle Chiese, comunità e denominazioni sono le parachiese, strutture di servizio (missionario, evangelistico o caritativo) che si pongono al servizio di una pluralità di realtà protestanti diverse e che operano per l'animazione cristiano-evangelica della società senza cercare di avviare chi entra in contatto con loro a una denominazione particolare.

Nel distinguere fra diversi protestantesimi abbiamo finora sottolineato soprattutto il movimento dalla periferia verso il centro che caratterizza ogni nuova generazione protestante, una caratteristica di tipo sociologico. La distinzione fra vari protestantesimi ha tuttavia un rilievo anche teologico e culturale, che sembra confermarne l'opportunità. Dal punto di vista teologico - considerata la rilevanza che il protestantesimo in genere dà alla nozione di esperienza - i diversi protestantesimi sono caratterizzati ciascuno dalla insistenza su un tipo particolare di esperienza (che non sopprime le esperienze già emerse nelle correnti precedenti, ma le reinterpreta e le integra).

Così nel primo protestantesimo l'esperienza centrale - a partire dalla vita stessa di Martin Lutero - è quella della giustificazione per sola fede. Nel secondo protestantesimo l'esperienza fondamentale - che si aggiunge a quella della giustificazione - è costituita dall'incontro personale con Gesù Cristo, che nel movimento metodista diventa la "santificazione". Per il fondatore del metodismo, John Wesley, la santificazione è piuttosto un processo, che si completa soltanto alla fine della vita. Ma, già qualche anno dopo la morte di Wesley, nel movimento metodista diventerà popolare l'idea della santificazione come "secondo lavoro della grazia" - seconda esperienza successiva e parallela rispetto alla giustificazione - che può essere sperimentato in un momento preciso della vita del fedele. Elaborando ulteriormente la tesi della santificazione istantanea il terzo protestantesimo introdurrà un nuovo concetto, quello di "perfezione" come esperienza radicale che costituisce il fedele, già giustificato per fede e santificato, in uno stato di libertà dal peccato che non potrà più essere perduto. Nel protestantesimo pentecostale l'esperienza della perfezione - ribattezzata "battesimo nello Spirito" (un'espressione che aveva già avuto corso nel terzo protestantesimo) - è collegata al dono delle lingue che ne costituisce la "prova". Giustificazione per fede, santificazione, perfezione e dono delle lingue diventano così - a grandi linee - le esperienze centrali intorno alle quali ruotano queste quattro forme di protestantesimo, mentre proprio il diverso modo di auto-costruzione dell'esperienza religiosa giustifica una classificazione separata per il protestantesimo radicale, avventista e metafisico.

Dal punto di vista culturale, limitandoci qui alle prime quattro forme di protestantesimo elencate, non si può non rilevarne il nesso con avvenimenti e tendenze della storia culturale dell'Occidente. Così come il primo protestantesimo denuncia la penetrazione nella Chiesa di Roma dell'umanesimo, ma insieme introduce nel cristianesimo un principio epistemologico che da certi aspetti dell'umanesimo non è lontano, il secondo e il terzo protestantesimo, e il mondo pentecostale, rappresentano insieme reazioni contro l'illuminismo e la modernità e movimenti che di questi fenomeni subiscono, loro malgrado, l'influenza.

Così il secondo protestantesimo da una parte denuncia i pericoli dell'illuminismo e lo attacca - talora in termini molto virulenti - come ideologia destinata a condurre l'Occidente alla scristianizzazione e all'ateismo. Dall'altra - come è stato rilevato - "malgrado la sua costante opposizione alla mentalità del Secolo dei Lumi (...) il protestantesimo evangelico [cioè il protestantesimo "di risveglio", il secondo protestantesimo] è stato ben più influenzato da quest'ultima di quanto non abbia mai voluto ammettere" (così Peter Hocken, Le Réveil de l'Esprit. Les Églises pentecôtistes et charismatiques, Fides, Montréal 1994, pp. 65-66); "la sua emergenza era di per se stessa l'espressione dell'Età della Ragione" (David W. Bebbington, Evangelicalism in Modern Britain. A History from the 1730s to the 1980s, Unwin Hyman, Londra 1989, p. 53).

Il terzo protestantesimo critica vivacemente le ideologie dell'Ottocento e del Novecento e la loro penetrazione all'interno del mondo protestante (che spesso passa per l'accettazione dell'evoluzionismo biologico di marca darwiniana), ma al tempo stesso è caratterizzato dal perfezionismo, cioè dalla ricerca di una perfezione da conseguire qui in Terra (nella santità individuale nel movimento holiness; nell'interpretazione della Bibbia in modo assolutamente esatto e incontrovertibile nelle denominazioni fondamentaliste autonome; nell'organizzazione sociale nei gruppi perfezionisti che decidono di vivere in comunità) che riflette a suo modo i sogni delle ideologie moderne. Anche a proposito di questa corrente - e in particolare del fondamentalismo autonomo - si è potuto osservare un rapporto inconsapevole - ma non per questo meno forte - con il positivismo e con le ideologie moderne: per esempio, come il positivismo ritiene possibile una conoscenza esatta e fotografica della natura, che non lasci margini alle incertezze dell'interpretazione, così il fondamentalismo ritiene possibile un'interpretazione altrettanto esatta e fotografica della Bibbia.

Il protestantesimo pentecostale, dal canto suo, con la sua avversione alle denominazioni organizzate e strutturate (il che, per il processo che abbiamo già descritto, non gli ha impedito di costituirne) e con il suo desiderio di costituire semplici network di comunità locali indipendenti, si inserisce nel clima culturale di estrema frammentazione culturale, sociale e morale che annuncia la crisi della modernità e il successivo passaggio al cosiddetto postmoderno. Mentre da una parte il pentecostalismo reagisce vivacemente contro questa frammentazione (riaffermando con vigore il carattere non negoziabile dei principi cristiani fondamentali, soprattutto in campo morale), dall'altra è influenzato da un clima culturale che avversa le realtà socialmente strutturate, e per questo si mantiene fedele per quanto gli è possibile all'ideale del network.

La nostra proposta tipologica postula che sia possibile distinguere nel mondo protestante diverse categorie di denominazioni. Recentemente questa possibilità è stata criticata in radice da parte di una serie di sociologi i quali ritengono che le differenze tra le denominazioni siano oggi molto meno importanti delle differenze all'interno di ciascuna denominazione. Secondo questi autori non si dovrebbero distinguere diversi protestantesimi raggruppandoli per denominazioni, ma distinguere le identità protestanti che percorrono in modo trasversale tutte o quasi le denominazioni dividendole al loro interno. In genere la distinzione trasversale proposta comprende tre gruppi: protestanti liberali (o "ecumenici"), evangelical e fondamentalisti. La distinzione ha, certamente, un grande significato. Per apprezzarlo occorre, anzitutto, non farsi fuorviare dall'appartenenza di una denominazione alle organizzazioni di cooperazione interprotestantica che raggruppano alcune delle denominazioni che si schierano nell'uno o nell'altro campo. Grosso modo si può dire che le denominazioni "liberali" facciano parte negli Stati Uniti del National (un tempo Federal) Council of Churches e su scala internazionale del World Council of Churches (Consiglio Mondiale - o Ecumenico - delle Chiese: WCC); le denominazioni evangeliche della National Association of Evangelicals (NAE) e di quella che fino al 2001 si chiamava World Evangelical Fellowship (Alleanza Evangelica Mondiale: WEF) e ora World Evangelical Alliance (WEA); e le denominazioni fondamentaliste dell'American Council of Christian Churches (ACCC), cui corrisponde a livello internazionale l'International Council of Christian Churches (ICCC). In realtà tuttavia non mancano eccezioni, e del resto i tre organismi raccolgono negli Stati Uniti solo una minoranza delle denominazioni (la maggioranza non aderisce a nessuno dei tre). Soprattutto, gli autori che sottolineano l'importanza della distinzione fra liberali, evangelical e fondamentalisti insistono sul fatto che non si tratta di un nuovo sistema per distinguere fra loro le denominazioni ma di spaccature che percorrono all'interno molte denominazioni.

Al riguardo, dopo avere chiarito a proposito delle denominazioni "liberali" (schierate su posizioni culturali e teologiche "progressiste") che l'aggettivo "ecumenico" non significa che siano le uniche impegnate nell'ecumenismo ma che fanno parte del Consiglio Mondiale delle Chiese, chiamato anche - come abbiamo visto - Consiglio Ecumenico delle Chiese, sembra opportuno interrogarsi sui diversi significati della parole "evangelico" (ci interrogheremo su un'altra parola ambigua, "fondamentalista", nel capitolo sul terzo protestantesimo). Per quanto riguarda l'espressione "evangelico" possiamo distinguere fra quattro diversi significati:

I. in un primo significato, "evangelico" è semplicemente sinonimo di protestante (contrapposto a "cattolico", in quanto il protestante farebbe riferimento al solo Vangelo, alla sola Scriptura): questo uso del termine "evangelico" è diffuso soprattutto nei paesi a maggioranza cattolica e in quelli di lingua tedesca, e non sorprende pertanto di vedere in Europa anche Chiese valdesi o luterane presentarsi al pubblico semplicemente come "Chiese evangeliche";

II. in un secondo significato - popolare negli Stati Uniti fra la fine del Settecento e la metà dell'Ottocento, ma ormai largamente abbandonato - le denominazioni "evangeliche" (nel senso, piuttosto, di più vicine all'entusiasmo nei tempi evangelici) erano quelle, più "popolari" del secondo protestantesimo, che reagivano contro la freddezza delle denominazioni più antiche;

III. nel XX secolo si è affermata nella lingua inglese l'uso di evangelical (talora tradotto in italiano "evangelicale" e che noi preferiamo lasciare spesso in inglese) come sinonimo di "conservatore", contrapposto a liberal o, appunto, a "ecumenico" (con riferimento alla polemica dei conservatori contro il Consiglio Ecumenico delle Chiese); in questo senso a lungo "evangelico" è stato usato come sinonimo di "fondamentalista"; ma - soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale - almeno negli Stati Uniti è diventata scontata la distinzione all'interno del protestantesimo conservatore fra un campo "evangelico" (o "neo-evangelico"), più moderato, e uno "fondamentalista", più estremista;

IV. infine - mentre fino ad anni recenti i protestanti "evangelici" nel terzo significato del termine erano critici nei confronti dei pentecostali - oggi le associazioni e le parachiese che promuovono la collaborazione interevangelica accolgono alcune delle denominazioni pentecostali (per esempio la Chiesa di Dio con sede a Cleveland, nel Tennessee, una delle grandi denominazioni pentecostali, fa parte della NAE) e, particolarmente in America Latina, "evangelico" è usato anche come sinonimo di "pentecostale".

In un paese come l'Italia quando ci si trova di fronte a un edificio denominato "chiesa evangelica" ci si deve sempre chiedere in quale senso l'aggettivo è usato: può trattarsi di qualunque forma del protestantesimo, dalla Chiesa valdese - la più antica fra le comunità protestanti - fino ai più recenti movimenti del filone pentecostale. Nella sociologia del protestantesimo, "evangelico", in ogni caso, significa "conservatore moderato", contrapposto da una parte a "liberale" (o "ecumenico", nel senso precisato), dall'altra a "fondamentalista"; e in questo senso si è cercato di usare "evangelico" e (più spesso) evangelical (rinunciando a neologismi che pure si vanno diffondendo, come "evangelicale") in questa sede. Ma l'uso della parola rimane, come si è visto, ambiguo.

B.: Sulle definizioni, le tipologie e le periodizzazioni cfr., in particolare, Giorgio Bouchard, Chiese e movimenti evangelici del nostro tempo, Claudiana, Torino 20032; Jean-Paul Willaime, La Précarité protestante. Sociologie du protestantisme contemporain, Labor et Fides, Ginevra 1992; Colin Campbell, The Romantic Ethic and the Spirit of Consumerism, Basil Blackwell, Oxford 1987; Roger Finke - Rodney Stark, The Churching of America, 1776-1990. Winners and Losers in Our Religious Economy, Rutgers University Press, New Brunswick (New Jersey) 1992; M. Introvigne, I protestanti, Elledici, Torino 1998. Molto utile dal punto di vista storico è la collezione Protestantesimo nei secoli. Fonti e documenti, curata da Emidio Campi, di cui sono usciti finora i volumi dedicati al Cinquecento e Seicento (Claudiana, Torino 1991), e al Settecento (Claudiana, Torino 1997). Fondamentale per le origini del primo protestantesimo - anche se oggi contestata su alcune conclusioni - è l'opera di Joseph Lortz, La riforma in Germania, trad. it. 2 voll., Jaca Book, Milano 1979-1981; sullo stesso tema cfr. Giorgio Tourn, I Protestanti: una rivoluzione. 1. Dalle origini a Calvino (1517-1564), Claudiana, Torino 1993. Per gli aspetti dottrinali si consulterà utilmente anche Alister E. McGrath, Il pensiero della Riforma. Una introduzione, 3a ed. accresciuta e aggiornata, trad. it., Claudiana, Torino 1999. Un utile strumento di consultazione è la Encyclopédie du Protestantisme, Cerf, Parigi e Labor et Fides, Ginevra, 1995.

da cesnur



 
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