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De: Enzo Claudio (Mensagem original) |
Enviado: 29/11/2009 08:44 |
Domenica 29 Novembre
San Francesco Antonio Fasani
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Lucera, 6 agosto 1681 - Lucera, 29 novembre 1742
Ancor giovane fu accolto tra i Minori Conventuali. Si distinse subito per la sua vita integerrima e fu esempio di austerità e zelo sacerdotale. Eletto Ministro Provinciale promosse le regolare disciplina in tutta la Provincia. Propagò la devozione alla Vergine Immacolata, e per circa 40 anni si rese famoso nelle Puglie per la sua ardente parola e per la grande carità verso i poveri, gli orfani e i carcerati. Fu canonizzato da Giovanni Paolo II il 13 aprile 1986.
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Altri Santi del giorno
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Mensagem 1543 de 1557 no assunto |
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Mercoledì 26 Dicembre 2012
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Mensagem 1544 de 1557 no assunto |
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Mercoledì 26 Dicembre 2012
Santo Stefano il Protomartire
(festa)
Dalla Catechesi di Papa Benedetto XVI
Cari fratelli e sorelle, [...]
tefano è il più rappresentativo di un gruppo di sette compagni. La tradizione vede in questo gruppo il germe del futuro ministero dei "diaconi", anche se bisogna rilevare che questa denominazione è assente nel Libro degli Atti. L’importanza di Stefano risulta in ogni caso dal fatto che Luca, in questo suo importante libro, gli dedica due interi capitoli.
Il racconto lucano parte dalla constatazione di una suddivisione invalsa all’interno della primitiva Chiesa di Gerusalemme: questa era, sì, interamente composta da cristiani di origine ebraica, ma di questi alcuni erano originari della terra d'Israele ed erano detti "ebrei", mentre altri di fede ebraica veterotestamentaria provenivano dalla diaspora di lingua greca ed erano detti "ellenisti". Ecco il problema che si stava profilando: i più bisognosi tra gli ellenisti, specialmente le vedove sprovviste di ogni appoggio sociale, correvano il rischio di essere trascurati nell'assistenza per il sostentamento quotidiano. Per ovviare a questa difficoltà gli Apostoli, riservando a se stessi la preghiera e il ministero della Parola come loro centrale compito decisero di incaricare « sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza » perché espletassero l'incarico dell’assistenza (At 6, 2-4), vale a dire del servizio sociale caritativo. A questo scopo, come scrive Luca, su invito degli Apostoli i discepoli elessero sette uomini. Ne abbiamo anche i nomi. Essi sono: « Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola. Li presentarono agli Apostoli, i quali, dopo aver pregato, imposero loro le mani » (At 6,5-6).
[...] La cosa più importante da notare è che, oltre ai servizi caritativi, Stefano svolge pure un compito di evangelizzazione nei confronti dei connazionali, dei cosiddetti "ellenisti", Luca infatti insiste sul fatto che egli, « pieno di grazia e di fortezza » (At 6,8), presenta nel nome di Gesù una nuova interpretazione di Mosè e della stessa Legge di Dio, rilegge l’Antico Testamento nella luce dell’annuncio della morte e della risurrezione di Gesù. Questa rilettura dell’Antico Testamento, rilettura cristologica, provoca le reazioni dei Giudei che percepiscono le sue parole come una bestemmia (cfr At 6,11-14). Per questa ragione egli viene condannato alla lapidazione. E S. Luca ci trasmette l'ultimo discorso del santo, una sintesi della sua predicazione. Come Gesù aveva mostrato ai discepoli di Emmaus che tutto l'Antico Testamento parla di lui, della sua croce e della sua risurrezione, così S. Stefano, seguendo l'insegnamento di Gesù, legge tutto l'Antico Testamento in chiave cristologica. Dimostra che il mistero della Croce sta al centro della storia della salvezza raccontata nell'Antico Testamento, mostra che realmente Gesù, il crocifisso e il risorto, è il punto di arrivo di tutta questa storia. E dimostra quindi anche che il culto del tempio è finito e che Gesù, il risorto, è il nuovo e vero "tempio". Proprio questo "no" al tempio e al suo culto provoca la condanna di S. Stefano, il quale, in questo momento - ci dice S. Luca - fissando gli occhi al cielo vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra. E vedendo il cielo, Dio e Gesù, S. Stefano disse: “Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio” (At 7,56). Segue il suo martirio, che di fatto è modellato sulla passione di Gesù stesso: « E così lapidavano Stefano mentre pregava e diceva: “Signore Gesù, accogli il mio spirito”. Poi piegò le ginocchia e gridò forte: “Signore, non imputar loro questo peccato”. Detto questo, morì ». (cfr At 7,59-60).
Il luogo del martirio di Stefano a Gerusalemme è tradizionalmente collocato poco fuori della Porta di Damasco, a nord, dove ora sorge appunto la chiesa di Saint-Étienne accanto alla nota École Biblique dei Domenicani. L'uccisione di Stefano, primo martire di Cristo, fu seguita da una persecuzione locale contro i discepoli di Gesù (cfr At 8,1), la prima verificatasi nella storia della Chiesa. Essa costituì l'occasione concreta che spinse il gruppo dei cristiani giudeo-ellenisti a fuggire da Gerusalemme e a disperdersi. Cacciati da Gerusalemme, essi si trasformarono in missionari itineranti: « Quelli che erano stati dispersi andavano per il paese e diffondevano la Parola di Dio » (At 8,4). La persecuzione e la conseguente dispersione diventano missione. Il Vangelo si propagò così nella Samaria, nella Fenicia e nella Siria fino alla grande città di Antiochia, dove secondo Luca esso fu annunciato per la prima volta anche ai pagani (cfr At 11,19-20) e dove pure risuonò per la prima volta il nome di "cristiani" (At 11,26). [....]
La storia di Stefano dice a noi molte cose. Per esempio, ci insegna che non bisogna mai disgiungere l'impegno sociale della carità dall'annuncio coraggioso della fede. Era uno dei sette incaricato soprattutto della carità. Ma non era possibile disgiungere carità e annuncio. Così, con la carità, annuncia Cristo crocifisso, fino al punto di accettare anche il martirio. Questa è la prima lezione che possiamo imparare dalla figura di santo Stefano: carità e annuncio vanno sempre insieme. Soprattutto, S. Stefano ci parla di Cristo, del Cristo crocifisso e risorto come centro della storia e della nostra vita. Possiamo comprendere che la Croce rimane sempre centrale nella vita della Chiesa e anche nella nostra vita personale. Nella storia della Chiesa non mancherà mai la passione, la persecuzione. E proprio la persecuzione diventa, secondo la celebre frase di Tertulliano, fonte di missione per i nuovi cristiani. Cito le sue parole: « Noi ci moltiplichiamo ogni volta che da voi siamo mietuti: è un seme il sangue dei cristiani » (Apologetico 50,13: Plures efficimur quoties metimur a vobis: semen est sanguis christianorum). Ma anche nella nostra vita la croce, che non mancherà mai, diventa benedizione. E accettando la croce, sapendo che essa diventa ed è benedizione, impariamo la gioia del cristiano anche nei momenti di difficoltà. Il valore della testimonianza è insostituibile, poiché ad essa conduce il Vangelo e di essa si nutre la Chiesa. Santo Stefano ci insegni a fare tesoro di queste lezioni, ci insegni ad amare la Croce, perché essa è la strada sulla quale Cristo arriva sempre di nuovo in mezzo a noi.
Significato del nome Stefano : "corona" segno di gloria (greco).
Per & la Catechesi completa è Stefano il Protomartire
Fonte principale: vatican.va (« RIV.»).
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Resposta |
Mensagem 1545 de 1557 no assunto |
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Mensagem 1546 de 1557 no assunto |
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San Giovanni
Apostolo ed Evangelista
(festa)
Catechesi di Papa Benedetto XVI (5 luglio 2006)
Cari fratelli e sorelle,
dedichiamo l'incontro di oggi al ricordo di un altro membro molto importante del collegio apostolico: Giovanni, figlio di Zebedeo e fratello di Giacomo. Il suo nome, tipicamente ebraico, significa “il Signore ha fatto grazia”. Stava riassettando le reti sulla sponda del lago di Tiberìade, quando Gesù lo chiamò insieme con il fratello (cfr Mt 4,21; Mc 1,19). Giovanni fa sempre parte del gruppo ristretto, che Gesù prende con sé in determinate occasioni. E’ insieme a Pietro e a Giacomo quando Gesù, a Cafarnao, entra in casa di Pietro per guarirgli la suocera (cfr Mc 1,29); con gli altri due segue il Maestro nella casa dell'archisinagògo Giàiro, la cui figlia sarà richiamata in vita (cfr Mc 5,37); lo segue quando sale sul monte per essere trasfigurato (cfr Mc 9,2); gli è accanto sul Monte degli Olivi quando davanti all’imponenza del Tempio di Gerusalemme pronuncia il discorso sulla fine della città e del mondo (cfr Mc 13,3); e, finalmente, gli è vicino quando nell'Orto del Getsémani si ritira in disparte per pregare il Padre prima della Passione (cfr Mc 14,33). Poco prima della Pasqua, quando Gesù sceglie due discepoli per mandarli a preparare la sala per la Cena, a lui ed a Pietro affida tale compito (cfr Lc 22,8).
Questa sua posizione di spicco nel gruppo dei Dodici rende in qualche modo comprensibile l’iniziativa presa un giorno dalla madre: ella si avvicinò a Gesù per chiedergli che i due figli, Giovanni appunto e Giacomo, potessero sedere uno alla sua destra e uno alla sua sinistra nel Regno (cfr Mt 20,20-21). Come sappiamo, Gesù rispose facendo a sua volta una domanda: chiese se essi fossero disposti a bere il calice che egli stesso stava per bere (cfr Mt 20,22). L’intenzione che stava dietro a quelle parole era di aprire gli occhi dei due discepoli, di introdurli alla conoscenza del mistero della sua persona e di adombrare loro la futura chiamata ad essergli testimoni fino alla prova suprema del sangue. Poco dopo infatti Gesù precisò di non essere venuto per essere servito ma per servire e dare la propria vita in riscatto per la moltitudine (cfr Mt 20,28). Nei giorni successivi alla risurrezione, ritroviamo “i figli di Zebedeo” impegnati con Pietro ed alcuni altri discepoli in una notte infruttuosa, a cui segue per intervento del Risorto la pesca miracolosa: sarà “il discepolo che Gesù amava” a riconoscere per primo “il Signore” e a indicarlo a Pietro (cfr Gv 21,1-13).
All'interno della Chiesa di Gerusalemme, Giovanni occupò un posto di rilievo nella conduzione del primo raggruppamento di cristiani. Paolo infatti lo annovera tra quelli che chiama le “colonne” di quella comunità (cfr Gal 2,9). In realtà, Luca negli Atti lo presenta insieme con Pietro mentre vanno a pregare nel Tempio (cfr At 3,1-4.11) o compaiono davanti al Sinedrio a testimoniare la propria fede in Gesù Cristo (cfr At 4,13.19). Insieme con Pietro viene inviato dalla Chiesa di Gerusalemme a confermare coloro che in Samaria hanno accolto il Vangelo, pregando su di loro perché ricevano lo Spirito Santo (cfr At 8,14-15). In particolare, va ricordato ciò che afferma, insieme con Pietro, davanti al Sinedrio che li sta processando: “Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato” (At 4,20). Proprio questa franchezza nel confessare la propria fede resta un esempio e un monito per tutti noi ad essere sempre pronti a dichiarare con decisione la nostra incrollabile adesione a Cristo, anteponendo la fede a ogni calcolo o umano interesse.
Secondo la tradizione, Giovanni è “il discepolo prediletto”, che nel Quarto Vangelo poggia il capo sul petto del Maestro durante l'Ultima Cena (cfr Gv 13,21), si trova ai piedi della Croce insieme alla Madre di Gesù (cfr Gv 19, 25) ed è infine testimone sia della Tomba vuota che della stessa presenza del Risorto (cfr Gv 20,2; 21,7). Sappiamo che questa identificazione è oggi discussa dagli studiosi, alcuni dei quali vedono in lui semplicemente il prototipo del discepolo di Gesù. Lasciando agli esegeti di dirimere la questione, ci contentiamo qui di raccogliere una lezione importante per la nostra vita: il Signore desidera fare di ciascuno di noi un discepolo che vive una personale amicizia con Lui. Per realizzare questo non basta seguirlo e ascoltarlo esteriormente; bisogna anche vivere con Lui e come Lui. Ciò è possibile soltanto nel contesto di un rapporto di grande familiarità, pervaso dal calore di una totale fiducia. È ciò che avviene tra amici; per questo Gesù ebbe a dire un giorno: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici ... Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,13.15).
Negli apocrifi Atti di Giovanni l'Apostolo viene presentato non come fondatore di Chiese e neppure alla guida di comunità già costituite, ma in continua itineranza come comunicatore della fede nell'incontro con “anime capaci di sperare e di essere salvate” (18,10; 23,8). Tutto è mosso dal paradossale intento di far vedere l'invisibile. E infatti dalla Chiesa orientale egli è chiamato semplicemente “il Teologo”, cioè colui che è capace di parlare in termini accessibili delle cose divine, svelando un arcano accesso a Dio mediante l'adesione a Gesù.
Il culto di Giovanni apostolo si affermò a partire dalla città di Efeso, dove, secondo un’antica tradizione, avrebbe a lungo operato, morendovi infine in età straordinariamente avanzata, sotto l'imperatore Traiano. Ad Efeso l'imperatore Giustiniano, nel secolo VI, fece costruire in suo onore una grande basilica, di cui restano tuttora imponenti rovine. Proprio in Oriente egli godette e gode tuttora di grande venerazione. Nell’iconografia bizantina viene spesso raffigurato molto anziano e in atto di intensa contemplazione, quasi nell’atteggiamento di chi invita al silenzio.
In effetti, senza adeguato raccoglimento non è possibile avvicinarsi al mistero supremo di Dio e alla sua rivelazione. Ciò spiega perché, anni fa, il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Atenagora, colui che il Papa Paolo VI abbracciò in un memorabile incontro, ebbe ad affermare: “Giovanni è all'origine della nostra più alta spiritualità. Come lui, i ‘silenziosi’ conoscono quel misterioso scambio dei cuori, invocano la presenza di Giovanni e il loro cuore si infiamma” (O. Clément, Dialoghi con Atenagora, Torino 1972, p. 159). Il Signore ci aiuti a metterci alla scuola di Giovanni per imparare la grande lezione dell’amore così da sentirci amati da Cristo “fino alla fine” (Gv 13,1) e spendere la nostra vita per Lui.
Scritti Canonici di Giovanni : Vangelo - Apocalisse - Lettere (3)
Significato del nome Giovanni : "il Signore è benefico, dono del Signore" (ebraico).
Per approfondimenti & le altre 2 catechesi di Papa Benedetto XVI
è 9 agosto 2006, Giovanni, il teologo
è23 agosto 2006, Giovanni, il veggente di Patmos Fonte principale : vatican.va (« RIV.»). |
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Mensagem 1547 de 1557 no assunto |
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Beato Francesco Spoto
Sacerdote S.d.P., martire
Il Martirologium Romanum pone la data di culto al 27 dicembre (dies natalis), mentre la Congregazione dei Servi dei Poveri lo celebra il 24 settembre, giorno del suo Battesimo.
rancesco Spoto nasce a Raffadali (AG) l'8 luglio 1924 da Vincenzo Spoto e Vincenza Marzullo; è battezzato il 24 settembre e riceve la cresima il 27 novembre 1932.
Frequenta le scuole elementari in paese e, all'età di 12 anni, rispondendo alla chiamata di Dio, entra nel seminario di Palermo della Congregazione dei "Missionari Servi dei poveri", nota anche come "Boccone dei Poveri" (da cui deriva l'appellativo di Bocconisti dei membri), per seguire la strada della “Carità senza limiti” tracciata dal fondatore, il Beato Giacomo Cusmano.
Sentì forte, da giovane, il desiderio di partire per le missioni, ma seppe accettare la volontà di Dio che aveva su di lui altri disegni. Dotato di intelligenza vivissima, si impegnò appassionatamente negli studi che compì con ottimi risultati presso il Seminario Arcivescovile di Palermo.
Il 22 luglio 1951, nel Santuario della Madonna dei Rimedi (PA), fu ordinato sacerdote dal Card. Ernesto Ruffini. Destinato dai superiori all'insegnamento, svolgeva intanto il ministero sacerdotale con zelo. Nel Capitolo generale del 1959, ad appena 35 anni, i confratelli lo elessero superiore generale.
Appena cinque giorni dopo la sua elezione, consegnò il crocifisso e benedisse il confratello che si recava a Biringi (Repubblica Democratica del Congo) per aprirvi la prima missione bocconista della quale, da Palermo, Padre Spoto seguì la nascita, lo sviluppo, il consolidamento.
Quando, nel 1964, la guerra civile tra i fedeli di Patrice Lumumba e quelli di Mobutu Sese Seko, giunse a toccare la missione dei Bocconisti, P. Francesco volle recarsi di persona a Biringi per incontrare, confortare e sostenere i confratelli provati dai terribili eventi della rivolta dei "Simba".
Il 3 dicembre è catturato insieme a quattro missionari. Riesce ad evadere e, a piedi nudi ed esausto per aver vagato tutto un giorno nella boscaglia, si inginocchia e prega: “Signore, ti offro la mia vita, ma salva i miei confratelli”. Così fu : i confratelli si salvarono ma egli morì il 27 dicembre 1964, a soli 40 anni, in seguito ai maltrattamenti subiti da parte dei guerriglieri.
Seppellito a Biringi, il 14 ottobre 1984 le sue spoglie mortali sono state riportate a Palermo dove, attualmente, sono sepolte nella Parrocchia "Cuore Eucaristico di Gesù".
Il 16 dicembre 1992 è stato aperto il processo di beatificazione; il 26 giugno 2006 Papa Benedetto XVI ha autorizzato, in udienza privata, il Card. José Saraiva Martìns, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, a promulgare il decreto di beatificazione a motivo del riconosciuto martirio.
Padre Francesco Spoto è stato elevato agli onori dell'altare sabato 21 aprile 2007. La cerimonia di beatificazione si è tenuta nella Basilica-Cattedrale di Palermo, Presieduta dall'inviato speciale di Papa Benedetto XVI, l'Arcivescovo di Palermo il Card. Salvatore De Giorgi .
Per approfondimenti & è Beato Francesco Spoto
Significato del nome Francesco : "uomo libero" (antico tedesco). |
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Resposta |
Mensagem 1548 de 1557 no assunto |
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Resposta |
Mensagem 1549 de 1557 no assunto |
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Santi Innocenti
Martiri (festa)
I calendari liturgici orientali e occidentali hanno tutti questa festa. Nell’anno liturgico, che si snoda secondo la narrazione cronologica dei fatti evangelici, il racconto della strage degli innocenti ha trovato la sua logica collocazione accanto al mistero del Natale. La festa e il culto dei santi Innocenti che « confessarono Cristo non con la parola, ma con la loro morte », ci ricorda che il martirio prima di essere un omaggio dell’uomo al suo Dio, è una grazia, un dono gratuito del Signore.
Veramente, la festa degli Innocenti dovrebbe essere celebrata dopo l’Epifania, perché fu provocata, involontariamente, proprio dai Magi, venuti dall’Oriente per adorare il Bambino nato nella stalla di Betlemme.
La Chiesa onora come martiri questo coro di fanciulli ("infantes" o "innocentes"), vittime ignare del sospettoso e sanguinario re Erode, strappati dalle braccia materne in tenerissima età per scrivere col loro sangue la prima pagina dell'albo d'oro dei martiri cristiani e meritare la gloria eterna secondo la promessa di Gesù: «... chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà ». (Mt 10,39)
Per essi la liturgia ripete oggi le parole del poeta Prudenzio: “Salute, o fiori dei martiri, che sulle soglie del mattino siete stati diverti dal persecutore di Gesù, come un turbine furioso tronca le rose appena sbocciate. Voi foste le prime vittime, il tenero gregge immolato, e sullo stesso altare avete ricevuto la palma e la corona”.
L'episodio è narrato, con la consueta essenzialità espressiva, soltanto nel Vangelo secondo Matteo, che si indirizzava principalmente a lettori ebrei e pertanto intendeva dimostrare la messianicità di Gesù, nel quale si erano avverate le antiche profezie: « Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s'infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi. Allora si adempì quel che era stato detto per mezzo del profeta Geremia: Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più.» (Mt 2,16-18)
Gesù scampò alla strage in quanto un angelo avvisò in sogno Giuseppe, ordinandogli di fuggire in Egitto: la Sacra Famiglia ritornò in Giudea solo dopo la morte di Erode.
L'origine di questa festa è molto antica. Compare già nel calendario cartaginese del IV secolo e cent'anni più tardi a Roma nel Sacramentario Leoniano. Oggi, con la nuova riforma liturgica, la celebrazione ha un carattere gioioso e non più di lutto com'era agli inizi, e ciò in sintonia con le simpatiche consuetudini medioevali che celebravano in questa ricorrenza la festa dei "pueri" di coro e di servizio all'altare.
Tra le curiose manifestazioni ricordiamo quella di far scendere i canonici dai loro stalli al canto del versetto « Deposuit potentes de sede et exaltavit humiles ». Da questo momento i fanciulli, rivestiti delle insegne dei canonici, dirigevano tutto l'ufficio del giorno.
La nuova liturgia, pur non volendo accentuare il carattere folcloristico che questo giorno ha avuto nel corso della storia, ha voluto mantenere questa celebrazione, elevata al grado di festa da S. Pio V (Antonio Michele Ghislieri, 1566-1572), vicinissima alla festività natalizia, collocando le innocenti vittime tra i "comites Christi", per circondare la culla di Gesù Bambino dello stuolo grazioso di piccoli fanciulli, rivestiti delle candide vesti dell'innocenza, piccola avanguardia dell'esercito di martiri che testimonieranno col sangue la loro appartenenza a Cristo. Fonti principali: santiebeati.it; maranatha.it (« RIV.»). |
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Resposta |
Mensagem 1550 de 1557 no assunto |
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San Gaspare del Bufalo Sacerdote e fondatore :
Missionari del Preziosissimo Sangue
La sua data di culto per la Chiesa Universale è il 28 dicembre, mentre la sua Congregazione lo ricorda in data 21 ottobre.
aspare del Bufalo nacque a Roma il 6 gennaio 1786 da Antonio, che era cuoco dei Principi Altieri, e da Annunziata Quartieroni. Fin dai primi anni si fece notare per una vita dedita alla preghiera ed alla penitenza e per segni, non dubbi, della chiamata alla vita religiosa. Completati gli studi presso il Collegio Romano che in quei tempi, data la soppressione della Compagnia di Gesù, era diretto dal clero secolare, nel 1798 indossò l'abito talare e si diede ad organizzare opere di assistenza spirituale e materiale a favore dei bisognosi. Si deve a lui la rinascita dell'Opera di S. Galla, della quale fu eletto direttore nel 1806.
Ordinato sacerdote il 31 luglio 1808, intensificò l'apostolato fra le classi popolari fondando il primo oratorio in S. Maria in Pincis e specializzandosi nell'evangelizzazione dei “barozzari”, carrettieri e contadini della campagna romana, che avevano i loro depositi di fieno nel Foro Romano, chiamato allora Campo Vaccino.
Fra il 1809 ed 1810, dopo che Napoleone Bonaparte aveva occupato Roma, Gaspare, fedele a Pp Pio VII (Barnaba Chiaramonti, 1800-1823) e alla Chiesa romana, rifiutò di prestare giuramento di fedeltà all'Imperatore (“Non debbo, non posso, non voglio” disse laconicamente). Seguì, quindi, la sorte del suo pontefice e fu costretto all'esilio dapprima a Piacenza e poi, imprigionato a Bologna, Imola e Lugo.
Tornato a Roma nei primi mesi del 1814, dopo la caduta di Napoleone, mise le sue forze e la sua vita al servizio del papa.
Pio VII gli diede l'ordine di dedicarsi alle missioni popolari per la restaurazione religiosa e morale dell'Italia e Gaspare abbandonò la città, la famiglia ed ogni altro suo progetto per dedicarsi totalmente al ministero assegnatogli, al quale attese per tutto il resto della sua vita, con zelo instancabile. Quale mezzo efficacissimo per promuovere la conversione dei peccatori, per debellare lo spirito di empietà e di irreligione, scelse la devozione al Sangue Preziosissimo di Gesú e ne divenne ardentissimo apostolo.
Per meglio raggiungere il suo nobile intento, il 15 agosto 1815 fondò la “Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue”, a cui si iscrissero uomini di grande santità, come il servo di Dio Giovanni Merlini, Giovanni Mastai Ferretti (il futuro Pio IX), Biagio Valentini, Vincenzo Tani ed altri ancora, morti in concetto di santità.
Nel 1834, inoltre, diede inizio all'Istituto delle “Suore Adoratrici del Preziosissimo Sangue”, coadiuvato da suor Maria De Mattias (canonizzata il 18 maggio 2003), che egli stesso aveva chiamato a tale missione. Le due famiglie religiose trovarono il terreno fecondatore nella “Pia Unione del Preziosissimo Sangue”, oggi “Unio Sanguis Christi”, che, insieme con Francesco Albertini, Gaspare aveva istituito fin dal 1808, a vantaggio di tutti i fedeli, e che si era propagata in Italia e all'estero.
L'apostolato di Gaspare, segnato da fatiche e sofferenze non comuni, benedetto da Dio con frequenti manifestazioni soprannaturali, fu di enorme efficacia. Al suo passaggio fiorivano la fede e la pietà cristiana, cessavano gli odi e il malcostume, si verificavano strepitose conversioni. Sostenne con straordinario coraggio la lotta accanita che gli mossero le società segrete, in particolare la massoneria. Ma nonostante le loro minacce e gli attentati alla sua stessa vita, non cessò mai di predicare apertamente contro tali sette, fucine di rabbioso laicismo ateo; convertì intere logge massoniche e non si stancò di mettere in guardia il popolo contro la loro propaganda satanica. Per questo era chiamato col titolo glorioso di “martello dei settari”. Chiamato dai fedeli Angelo della pace, Terremoto spirituale, Vittima della carità, Gaspare ispirò la sua azione a quella di S. Francesco Saverio. È ricordato anche come il predicatore dei briganti, ovvero dei malavitosi che andò ad evangelizzare e a convertire nei rifugi sui monti posti fra il Lazio e la Campania.
Morí a Roma il 28 dicembre 1837, in una stanza del palazzo Orsini sopra il Teatro Marcello.
S. Vincenzo Pallotti vide la sua anima salire al cielo in forma di stella luminosa e Gesù venirle incontro.
Fu beatificato da S. Pio X (Giuseppe Sarto, 1903-1914) il 18 dicembre 1904 e canonizzato dal Venerabile Pio XII (Eugenio Pacelli, 1939-1958) il 12 giugno 1954.
Il Beato Giovanni XXIII (Angelo Giuseppe Roncalli, 1958-1963), nel discorso tenuto in S. Pietro il 31 gennaio 1960 per la chiusura del sinodo romano, definì S. Gaspare: “Gloria tutta splendente del clero romano, che fu il vero e più grande apostolo della devozione al Preziosissimo Sangue di Gesù nel mondo”.
A lui è intitolata una parrocchia romana nel quartiere Tuscolano e numerose scuole e ospedali sparsi nel mondo grazie alla grande affabilità dei Missionari da lui fondati.
Significato del nome Gaspare: “amabile maestro” (persiano).
Per approfondimenti & è San Gaspare del Bufalo Fonti principali : wikipendia.org; santiebeati.it; enrosadira.it («RIV.»). |
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Mensagem 1551 de 1557 no assunto |
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Santa Caterina Volpicelli
Vergine, fondatrice :
“Ancelle del Sacro Cuore”
aterina Volpicelli, nasce a Napoli (Port'Alba) il 21 gennaio 1839 da Pietro e Teresa de Micheroux. Ebbe nella sua famiglia, appartenente all’alta borghesia, una solida formazione umana e religiosa. Nel Reale Educandato di S. Marcellino, sotto la guida sapiente di Margherita Salatino (futura fondatrice, con P. Ludovico da Casoria O.F.M., delle Suore Francescane Elisabettiane Bigie), apprese le lettere, le lingue e la musica, cosa non frequente per una donna del suo tempo.
Guidata poi dallo Spirito del Signore, che le rivelava il progetto di Dio attraverso la voce di sapienti e santi Direttori spirituali, Caterina, che intanto si accaniva a rivaleggiare con la sorella e a brillare nella società, frequentando teatri e spettacoli di danze, rinunciò con prontezza agli effimeri valori di una vita elegante e spensierata, per aderire con generosa decisione ad una vocazione di perfezione e di santità.
L’incontro occasionale con P. Ludovico da Casoria (al secolo Arcangelo Palmentieri, beatificato il 18/04/1993), il 19 settembre 1854, a « La Palma » in Napoli, fu, come affermò la stessa Beata, « un tratto singolare di grazia preveniente, di carità e di predilezione del Sacro Cuore innamorato delle miserie della sua Serva ». Il Beato l’associò all’Ordine Francescano Secolare e le indicò, come unico scopo della sua vita, il culto del Sacro Cuore di Gesù, invitandola a restare in mezzo alla società, nella quale doveva essere « pescatrice di anime ».
Guidata poi dal suo confessore, il barnabita P. Leonardo Matera, il 28/05/1859 Caterina entrò tra le Adoratrici perpetue di Gesù Sacramentato, uscendone però ben presto, per gravi motivi di salute.
Altro era il disegno di Dio su Caterina. Lo aveva ben intuito il Beato Ludovico che spesso le ripeteva: « Il Cuore di Gesù, o Caterina, questa è l’opera tua! ».
Su indicazione del suo confessore, la Volpicelli, conosce il foglio mensile dell’Apostolato della Preghiera in Francia, ricevendo da lui notizie dettagliate della nascente Associazione, con il diploma di Zelatrice, il primo giunto a Napoli. Nel luglio del 1867, P. Ramiére visita il palazzo di Largo Petrone alla Salute, in Napoli, dove Caterina sta meditando di stabilire la sede delle sue attività apostoliche « per far rinascere nei cuori, nelle famiglie e nella società l’amore per Gesù Cristo ».
L’Apostolato della Preghiera sarà il cardine dell’intero edificio spirituale di Caterina, che le consentirà di coltivare il suo ardente amore per l’Eucaristia e diventerà lo strumento di un’azione pastorale avente le dimensioni del Cuore di Cristo e perciò aperta ad ogni uomo, sempre a servizio della Chiesa, degli ultimi e dei sofferenti.
Con le prime zelatrici, il 1° luglio 1874 Caterina fonda, con l'aiuto del suo confessore, P. Leonardo Matera, il nuovo Istituto delle “Ancelle del Sacro Cuore”, approvato in primo tempo dal Cardinale Arcivescovo di Napoli, il Servo di Dio Sisto Riario Sforza e, in seguito, il 13 giugno 1890, da Papa Leone XIII (Vincenzo Gioacchino Pecci, 1878-1903), che accorda alla nuova Famiglia religiosa il « Decreto di lode ».
Premurosa delle sorti della gioventù, aprì poi l’orfanatrofio delle « Margherite », fondò una biblioteca circolante e istituì l’Associazione delle Figlie di Maria, con la saggia guida della Venerabile Maria Rosa Carafa di Traetto (†1890).
In breve tempo aprì altre case: a Napoli nel Palazzo Sansevero e poi presso la Chiesa della Sapienza, a Ponticelli, dove le Ancelle si distinsero nell’assistenza alle vittime del colera del 1884, a Minturno, a Meta di Sorrento e a Roma.
Il 14 maggio 1884 il nuovo Arcivescovo di Napoli, Cardinale Guglielmo Sanfelice, O.S.B., consacrò il Santuario dedicato al Sacro Cuore di Gesù, che la Volpicelli aveva fatto erigere accanto alla Casa Madre, destinandolo particolarmente all’adorazione riparatrice chiesta dal Papa per il sostegno della Chiesa, in un’epoca difficile per la libertà religiosa e per l’annunzio del Vangelo.
La partecipazione di Caterina al Primo Congresso Eucaristico Nazionale celebratosi a Napoli nel 1891 (19-22 novembre), fu l’atto culminante dell’apostolato della fondatrice delle Ancelle del Sacro Cuore; in quell’occasione allestì una ricca esposizione di arredi sacri, destinati alle chiese povere, organizzò l’adorazione Eucaristica nella cattedrale e fu l’animatrice di quel gran movimento di anime che sfociò nell’impressionante « Confessione e Comunione generale ».
Caterina Volpicelli si spense a Napoli il 28 dicembre 1894 offrendo la sua vita per la Chiesa e per il Santo Padre.
La causa di Beatificazione e Canonizzazione dell’insigne testimone della carità del Cuore di Cristo, dopo l’istruzione del Processo Ordinario negli anni 1896-1902 nella Curia ecclesiastica di Napoli, fu ufficialmente introdotta presso l’allora S. Congregazione dei Riti l’11 gennaio 1911.
Il 25 marzo 1945 Papa Pio XII (Eugenio Pacelli, 1939-1958) ne dichiarava l’eroicità delle virtù, attribuendole il titolo di Venerabile.
Il 29 aprile 2001 il Beato Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła, 1978-2005) la innalzava agli onori dell'altare.
Il 26 aprile 2009 Papa Benedetto XVI canonizzava Caterina Volpicelli sul sagrato della Basilica Vaticana.
Significato del nome Caterina : "donna pura" (greco).
Per approfondimenti & è Ancelle del Sacro Cuore Santa Caterina Volpicelli Fonti principali : vatican.va; wikipendia.org (« RIV.»). |
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Resposta |
Mensagem 1552 de 1557 no assunto |
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Santo(i) del giorno S. TOMMASO BECKET, Vescovo e martireS. Trofimo di Arles (Fr), Vescovo († sec. III) S. Liboso, Vescovo e martire a Cartagine († dopo il 258)S. Martiniano di Milano, Vescovo († dopo il 431) S. Marcello l'Acemeta, Abate († cc 480) B. Gerardo Cagnoli di Palermo (1267-1342), Religioso O.F.M.B. Guglielmo Howard (1614-1680), Visconte di Stafford e martireSS. Benedetta Hyon Kyong-nyon e 6 compagne, Martiri in Corea († 1839)B. Josè Aparicio Sanz (1893-1936), Presbitero e martire in SpagnaBB. Enrico Giovanni Requena e Giuseppe Perpiña Nacher, Martiri († 1936)B. Giovanni Battista Ferreres Boluda (1861-1936), Presbitero S.J. e martire |
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Resposta |
Mensagem 1553 de 1557 no assunto |
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San Tommaso Becket
Vescovo e martire
ommaso, al secolo Thomas, Becket nacque a Londra il 21 dicembre 1118 da una famiglia di mercanti di origine normanna, stabilitasi in Inghilterra sotto Guglielmo il Conquistatore.
Sin dall’infanzia venne avviato alla carriera ecclesiastica. Dopo la prima formazione ricevuta presso l’abbazia di Merton, approfondì gli studi a Parigi e, tornato in patria, entrò a servizio dell’arcivescovo di Canterbury Teobaldo di Bec.
Teobaldo, riconosciutene le capacità, ne fece uno dei suoi più stretti collaboratori: lo inviò ad approfondire lo studio del diritto canonico a Bologna e ad Auxerre. Tommaso accompagnò l'arcivescovo al concilio tenutosi a Reims nel 1148 e, nel 1154, venne ordinato diacono e nominato prevosto di Beverley e Arcidiacono della Cattedrale.
L'arcivescovo Teobaldo morì nel 1161 ed Enrico II, grazie al privilegio accordatogli dal papa, poté scegliere Tommaso come successore alla sede primaziale di Canterbury. Nessuno, e tanto meno il re, prevedeva che si trasformasse subito in uno strenuo difensore dei diritti della Chiesa e in uno zelante pastore d'anime. Tommaso, pertanto, aveva avvertito il suo re: “Sire, se Dio permette che io diventi arcivescovo di Canterbury, perderò l'amicizia di Vostra Maestà”.
Ordinato sacerdote il 3 giugno 1162 e consacrato vescovo il giorno dopo, Tommaso Becket non tardò a mettersi in urto col sovrano. Le “Costituzioni di Clarendon” del 1164 avevano ripristinato certi abusivi diritti regi decaduti. Tommaso Becket rifiutò, perciò, di riconoscere le nuove leggi e si sottrasse alle ire del re fuggendo in Francia, dove soggiornò dapprima nel monastero cistercense di Pontigny, in Borgogna, poi nell'abbazia benedettina di Sens.
Anche dal suo esilio Tommaso Becket continuò a contrastare i tentativi di Enrico II di trovare un accordo con Pp Alessandro III (Rolando Bandinelli, 1159-1181) sui privilegi del clero: la sua opposizione alle “Costituzioni di Clarendon” impedì la conclusione degli accordi.
Dovettero trascorrere alcuni anni prima che vi fossero segni di distensione tra il primate ed il re. Il 6 gennaio 1169 Enrico venne in Francia per un incontro con Luigi VII: Tommaso lo incontrò a Montmirail ma né riuscì ad avere garanzie sulla sua incolumità in caso di rientro in patria, né diede segno di voler sottomettersi alle decisioni del re.
Nel 1170 si giunse ad una sorta di riconciliazione tra il primate ed il re (la risoluzione delle questioni dibattute venne rimessa alle decisioni di un futuro concilio).
Tommaso poté far ritorno a Canterbury, dove fu accolto trionfalmente dai fedeli, che egli salutò con queste parole: “Sono tornato per morire in mezzo a voi”. Come primo atto sconfessò i vescovi che erano scesi a patti col re, accettando le “Costituzioni”, ma il re questa volta perse la pazienza e invitò gli inglesi a difendere il suo onore.
Quattro cavalieri armati partirono alla volta di Canterbury. L'arcivescovo venne avvertito, ma restò al suo posto, dicendo: “La paura della morte non deve farci perdere di vista la giustizia”. Il 29 dicembre 1170 accolse i sicari del re nella cattedrale, vestito dei paramenti sacri; si lasciò pugnalare senza opporre resistenza, mormorando: “Accetto la morte per il nome di Gesù e per la Chiesa”.
L'emozione suscitata dall'evento, fece sì che intorno alla sua figura si sviluppasse rapidamente un culto, tanto che Pp Alessandro III fu indotto a canonizzarlo il 21 febbraio 1173, nella chiesa di S. Pietro a Segni (comune della provincia di Roma), a poco più di due anni dalla morte.
La cattedrale di Canterbury divenne meta di numerosi pellegrinaggi (descritti anche nei Racconti di Canterbury di Geoffrey Chaucer) che spinsero Enrico II a sottoporsi ad una pubblica penitenza il 12 luglio 1174.
Significato del nome Tommaso : “gemello” (ebraico). Fonti principali: wikipendia.org; santiebeati.it (« RIV.»). |
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Resposta |
Mensagem 1554 de 1557 no assunto |
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30 Dicembre
2012
S. FELICE I, Papa
San Felice I
Papa
elice, secondo i pochi cenni biografici, riportati nel “Liber Pontificalis”, era romano, figlio di un certo Costantino. Ascese al soglio di Pietro il 5 gennaio 269.
Durante il suo pontificato decretò che si celebrasse una messa annuale sulle tombe dei martiri (“Hic constituit supra memorias martyrum missas celebrare”).
L'autore
di questa notizia, evidentemente, alludeva al costume di celebrare
privatamente l'Eucarestia, presso le tombe dei martiri nelle cripte
delle catacombe (“missa ad corpus”),
mentre la celebrazione solenne, che aveva sempre luogo nelle basiliche
costruite sulle catacombe, risale al IV secolo, epoca in cui furono
edificate le grandi basiliche cimiteriali romane.
Sotto
Aureliano, il 30 dicembre 274, Pp Felice I fu martirizzato e sepolto al
secondo miglio della Via Aurelia, in una basilica da lui voluta (“Hic fecit basilicam in via Aurelia, ubi sepultus est”).
Tuttavia,
con molta probabilità, molte di queste notizie sono false. Non risulta
che Felice patì il martirio, infatti, il suo nome, nel IV secolo, non fu
iscritto nel “Depositio martyrum” (elenco dei martiri), ma nel “Depositio episcoporum” (elenco dei vescovi di Roma).
Altra incongruenza che ricorre è quella del suo “dies natalis” (giorno di nascita al cielo, ovvero giorno della morte), sia il “Liber Pontificalis” che il Martirologio Romano [« 30
maggio - San Felice primo, Papa e Martire, il cui giorno natalizio è
ricordato il 30 dicembre, il quale, governò la Chiesa al tempo del
Principe Aureliano. »] riportano il 30 maggio invece del 30 dicembre.
Probabilmente il compilatore del “Liber Pontificalis”, nel copiare la data dal “Depositio” lesse “III Kal.iun.” (terzo giorno prima delle calende di giugno) anziché “III Kal.ian.” (terzo giorno prima delle calende di gennaio).
Per quanto riguarda la basilica, non ci sono certezze che Felice ne fosse l'artefice. Inoltre, come riportava il “Depositio”,
non fu sepolto sulla via Aurelia, ma nel cimitero di Callisto sulla Via
Appia. Probabilmente il papa fu confuso con un martire Felice sepolto
sulla via Aurelia stessa. Anche del decreto liturgico attribuitogli dal “Liber Pontificalis”
non si può provare l'autenticità; probabilmente l'autore attribuì a
Felice la sua paternità perché questo papa preservò l'usanza delle
celebrazioni per i martiri. Si deduce, quindi, che le uniche notizie
certe su Felice I sono quelle riportate nel “Depositio episcoporum”, ossia il luogo di sepoltura e gli anni del suo pontificato.
Quando
Felice successe a S. Dionisio, pervenne a Roma il rapporto del sinodo
di Antiochia, che l'anno precedente aveva deposto il vescovo locale,
Paolo di Samosata, per i suoi convincimenti eretici riguardo alla
dottrina della Trinità. Probabilmente Felice si occupò della questione;
in ogni caso, fu sotto il suo pontificato che l'imperatore Aureliano
decise di assegnare i beni immobili della chiesa di Antiochia a coloro
che erano in comunione con la chiesa di Roma.
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Resposta |
Mensagem 1555 de 1557 no assunto |
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31 Dicembre
S. SILVESTRO I, Papa (314-335)
San Silvestro I, Papa
ilvestro, la cui data di nascita è ignota, secondo il “Liber Pontificalis”, era figlio di un certo Rufino, romano, mentre, secondo la leggendaria “Vita beati Sylvestri”, di una certa Giusta.
è importante sottolineare che nel 313, durante il pontificato del papa africano Milziade, gli imperatori Costantino e Flavio Galerio Valerio Liciniano (alias Licinio) diedero piena libertà di culto ai cristiani per cui la posizione pubblica della Chiesa affrontò un cambiamento epocale: il passaggio dalla Roma pagana alla Roma cristiana.
Dopo
la morte di Milziade, nel 314, Silvestro fu consacrato vescovo di Roma
ed occupò tale posizione per ventuno anni, ossia fino al 335. Secondo
le antiche leggende, ebbe strette relazioni con Costantino, ma ciò che
riportano è in contrasto con gli avvenimenti storici. Queste leggende
furono tramandate attraverso la “Vita beati Sylvestri”, comparsa in seguito presso le Chiese orientali e tramandata in greco, siriaco e latino attraverso il “Constitutum Sylvestri” (un resoconto apocrifo, di un supposto sinodo romano, comparso tra il 501 ed il 508), ed attraverso la “Donatio Constantini”.
I
racconti riportati in tutti questi scritti, riguardo a Silvestro, la
conversione e il battesimo di Costantino, la donazione dell'imperatore
al papa, i diritti garantitigli, ed il concilio di 275 vescovi a Roma,
sono completamente leggendari.
La
storia, secondo la quale avrebbe battezzato Costantino, è pura leggenda
poiché prove dell'epoca mostrano che l'imperatore ricevette il
sacramento nei pressi di Nicomedia per opera di Eusebio, vescovo di
quella città.
La
leggendaria relazione di Silvestro con Costantino fu importante nel
Medioevo per dimostrare le basi storiche del potere temporale della
Chiesa. Costantino,
nel 325, indice il primo Concilio ecumenico a Nicea, dove si approva il
Credo che contro le dottrine di Ario riafferma la divinità di Gesù
Cristo (« Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre »).
Silvestro I inviò
i suoi legati, ma ancora non è certo se Costantino avesse concordato in
anticipo con il papa la convocazione del concilio, né se, oltre alle
firme dei suoi legati in calce ai documenti conciliari, ci fosse una
espressa conferma papale alle deliberazioni.
Silvestro I promosse anche la costruzione delle grandi basiliche costantiniane di Roma. Secondo il “Liber Pontificalis”,
su suggerimento del papa, Costantino fondò la prima basilica di S.
Pietro sul Colle Vaticano, sopra un preesistente tempio dedicato ad
Apollo, tumulandovi, in un sarcofago di bronzo, il corpo dell'apostolo
Pietro. Sempre grazie al connubio tra Silvestro e Costantino sorsero la
Basilica ed il battistero del Laterano vicino all'ex Palazzo imperiale
dove ora viveva il papa, la basilica del Palazzo Sessoriano (basilica di
Santa Croce in Gerusalemme), la Basilica di S. Paolo fuori le mura
sulla Via Ostiense, e molte chiese cimiteriali sulle tombe di martiri.
Senza
dubbio il papa contribuì anche allo sviluppo della liturgia. Durante il
suo regno, probabilmente, fu scritto il primo martirologio romano. Il
nome di Silvestro è legato anche alla creazione della "Schola cantorum".
Fece costruire, inoltre, sulla Via Salaria, presso le catacombe di
Priscilla, una chiesa cimiteriale le cui rovine sono tornate alla luce
verso la fine dell'800.
Papa Silvestro I, secondo il “Depositio episcoporum”,
l'elenco dei giorni della sepoltura dei vescovi romani, che fu
compilato appena un anno dopo la sua morte, fu sepolto il 31 dicembre
355 nella chiesa da lui voluta presso le catacombe di Priscilla. La sua
sepoltura è espressamente menzionata negli itinerari dei fedeli del VII
secolo.
Il
2 giugno 761, secondo un'antica tradizione, Pp Paolo I lo fece traslare
nell'oratorio della chiesa di S. Silvestro in Capite ed il 17 luglio
dello stesso anno lo fece portare all'interno della chiesa, dove fu
ritrovato durante i restauri del 1596. Pp Clemente VIII (Ippolito
Aldobrandini, 1592-1605) lo fece porre sotto l'altare maggiore.
Se
molte sono le leggende intorno a Silvestro I, tuttavia questi deve aver
colpito i suoi contemporanei: infatti, appena morto, viene subito
onorato pubblicamente come “Confessore”. Anzi,
è tra i primi a ricevere questo titolo, attribuito, dal IV secolo in
poi, a chi, pur senza martirio, ha trascorso una vita sacrificata a
Cristo.
Un anno dopo la sua morte, a Pp Silvestro I era già dedicata una festa al 31 dicembre.
La chiesa cristiana ortodossa e le chiese cattoliche che seguono i riti orientali lo celebrano il 2 gennaio.
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Resposta |
Mensagem 1556 de 1557 no assunto |
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1° Gennaio
S. GIUSEPPE MARIA TOMASI, Cardinale
San Giuseppe Maria Tomasi Cardinale, dell'Ordine dei Clerici Regolari Teatini
iuseppe Maria Tomasi nacque
a Licata, in Sicilia, diocesi di Agrigento, il 12 Settembre 1649,
figlio primogenito di Giulio Tomasi e di Rosalia Traina, Principi di
Lampedusa e Duchi di Palma di Montechiaro.
La
sua vita fu orientata verso Dio fin dai primi anni. Formato ed educato
nella nobile casa paterna, dove non mancavano ricchezze, né virtù, diede
prova di uno spirito molto aperto allo studio e alla pietà. Per questo,
dai suoi genitori fu molto curata la sua formazione cristiana e la sua
istruzione nelle lingue classiche e moderne, specialmente nella lingua
spagnola, perché già destinato dalla famiglia alla corte di Madrid,
dovendo ereditare da suo padre, per i titoli nobiliari, la qualifica di "Grande de España".
Ma
il suo spirito aspirava, fin da fanciullo, a essere piccolo nel Regno
di Dio, e a servire non i re della terra ma il Re del cielo. Coltivò
questo pio desiderio nel suo cuore finché ottenne il consenso di suo
padre per seguire la vocazione alla vita religiosa.
Dopo
aver rinunciato, mediante documento notarile, al principato, che gli
apparteneva per eredità, e al ricchissimo patrimonio, fu ammesso
nell'Ordine dei Chierici Regolari Teatini, fondato da S. Gaetano da
Thiene nel 1524. Fece la sua professione religiosa nella casa teatina di
S. Giuseppe di Palermo, il 25 marzo 1666.
Nel
nuovo stato di vita, che aveva abbracciato per seguire la chiamata di
Cristo, si poté dedicare meglio alla pietà e allo studio. La sacra
liturgia era stata la sua attrazione fin da bambino. Già allora avrebbe
voluto indossare ogni giorno il vestito del colore liturgico del giorno.
Il canto gregoriano era fiorito ben presto sulle sue labbra, che
esultavano di gioia cantando i salmi liturgici. Le lingue sacre del
latino e del greco furono, quasi per innata disposizione, conosciute ed
apprezzate fin dalla sua adolescenza.
Compì
gli studi filosofici in Messina, Ferrara, Bologna e Modena; costretto a
questi trasferimenti per ragione di salute. Studiò Teologia in Roma,
nella Casa di S. Andrea della Valle.
A
Roma, dopo aver ricevuto il suddiaconato e il diaconato, nel sabato
delle tempora di Avvento, il 23 Dicembre 1673, egli veniva ordinato
sacerdote nella Basilica Lateranense, per le mani di Mons. Giacomo De
Angelis, arcivescovo di Urbino, Vicegerente del Cardinale Vicario
Gaspare Carpegna. Due giorni dopo, nella notte di Natale, celebrava la
sua prima Messa, nella chiesa di S. Silvestro al Quirinale, sede allora
della Casa Generalizia dei Padri Teatini.
L'unzione
sacerdotale parve incardinare il P. Tomasi a Roma e dargli la
cittadinanza romana. Qui, dalla sua ordinazione sacerdotale e nella
stessa casa di S. Silvestro al Quirinale, per quasi quarant'anni, si
dedicherà, con intensa fecondità, alla pietà, all'esercizio umile e
perseverante delle virtù, e agli studi assidui. Alla sua conoscenza,
acquisita fin dall'adolescenza, del latino e del greco, aggiunse quella
delle lingue ebraica, siriaca, caldaica e araba.
Si
impegnò, con spirito di fede, alla pubblicazione di rari libri
liturgici e di antichi testi della sacra Liturgia, facendo così vedere
la luce a molti tesori che fino allora erano stati nascosti nelle
biblioteche.
Editò molti volumi di argomenti biblici, patristici e principalmente liturgici. Tra questi basti menzionare: Codices Sacramentorum nongentis annis vetustiores (editi
nel 1680); l'edizione critica del Salterio nella sua doppia versione
romana e gallicana; gli Antifonari e Responsoriali della Chiesa Romana
già in uso al tempo di S. Gregorio Magno (editi nel 1686); l'edizione
critica dei titoli e argomenti della Sacra Bibbia secondo i codici dal
secolo V al secolo XI (pubblicata nel 1688).
Per
la sua vasta erudizione e per le sue eccellenti e ben note virtù, il P.
Giuseppe M. Tomasi era oggetto di tanta fama e stima, che molti si
onoravano della sua conoscenza e della sua amicizia. La Regina di
Svezia, Cristina Alessandra, lo volle tra i membri di cui si ornava il
suo circolo di dotti; l'Accademia Romana dell'Arcadia lo annoverò tra i
suoi soci più illustri; il dotto rabbino della Sinagoga di Roma, Mosè
Cave, che fu convertito al cattolicesimo dal P. Tomasi, suo allievo
nella lingua ebraica, lo considerava suo amico e padre nella fede.
Ma
quanto più grandi erano le lodi che gli tributavano i personaggi del
suo tempo, tanto più procurava rimanere nascosto, fino al punto di
pubblicare, per umiltà, alcune delle sue opere sotto uno pseudonimo.
Pur
essendo in rapporto con persone importanti ed erudite della sua stessa
levatura, egli si dedicò non meno alla formazione dei semplici fedeli.
Per essi compose: Vera norma di glorificare Iddio e di far Orazione secondo la dottrina delle divine Scritture e dei Santi Padri,
e anche una Breve istruzione del modo di assistere fruttuosamente al
Santo Sacrificio della Messa, inoltre una versione ristretta dei Salmi
scelti e disposti per agevolare la preghiera del cristiano.
Nominato
dai suoi confratelli Consultore Generale del suo Ordine, per umiltà
presto rinunciò a tale carica, adducendo le molte altre occupazioni per
gli incarichi che già aveva nella Curia Romana, tra i quali quello di
Consultore delle Sacre Congregazioni dei Riti e delle Indulgenze, e di
Qualificatore del Sant'Uffizio.
Le
sue molte pubblicazioni di argomento liturgico, nelle quali la pietà va
unita all'erudizione, motivarono il titolo che gli davano alcuni suoi
contemporanei di "Principe dei Liturgisti Romani" e di "Doctor Liturgicus".
In
verità, non poche norme che, sancite dall'autorità dei Romani Pontefici
e dai documenti del Concilio Vaticano II, sono oggi lodevolmente in uso
nella Chiesa, furono già proposte e vivamente desiderate dal P. Tomasi.
Fra queste basti ricordare:
ø la forma attuale della Liturgia delle Ore per la preghiera dell'Ufficio Divino;
ø la distinzione e l'uso del Messale e del Lezionario nella celebrazione Eucaristica;
ø varie norme contenute nel Pontificale e nel Rituale Romano;
ø l'uso della lingua volgare, che lui stesso raccomandava nelle devozioni private e nelle preghiere fatte in comune dai fedeli;
ø tutto
poi inteso a promuovere una più intima e personale partecipazione del
Popolo di Dio alla celebrazione della Sacra Liturgia.
Tutte
le sue fatiche e sollecitudini, nelle ricerche e negli studi, non
poterono minimamente allontanare il P. Tomasi dal tendere, costantemente
e con tutte le sue forze, al conseguimento di quella perfezione
evangelica a cui Dio lo aveva chiamato fin dall'infanzia.
A
tutti era di esempio per la profonda umiltà, lo spirito di
mortificazione e di sacrificio, la fedele osservanza religiosa, la
mansuetudine, la povertà, la pietà, la filiale devozione alla Beata
Vergine Maria. Aiutava i poveri, dava sollievo ai malati, sia in casa
che nell'ospedale di S. Giovanni in Laterano. In questo modo si univano e
si armonizzavano in lui la sapienza e la carità.
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Resposta |
Mensagem 1557 de 1557 no assunto |
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San Luciano di Antiochia Martire
7 gennaio
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sec. III
Prete dotto e discusso, morì martire a
Nicomedia il 7 gennaio 312, durante la persecuzione di Massimino.
Esplicò in tutto l'Oriente, con fulcro ad Antiochia, la sua opera
esegetica rivelando in ciò una estrema e tormentata esigenza di
precisione per i testi della tradizione. La sua «Recensione lucianica»
dell'Antico e del Nuovo Testamento era diventata dalla fine del IV
secolo in avanti il testo usuale di un gran numero di Chiese. Nel 330
l'imperatore Costantino, per ossequiare la madre Elena, fondò Elenopoli.
Qui vi si onorava e continuò a onorarsi nel tempo il corpo del martire
San Luciano. Fantasia vuole che per il trasferimento delle reliquie di
Luciano da Nicomedia a Elenopoli, la provvidenza si sia servita, via
mare, di un delfino miracoloso. Quello che è più certo è che Costantino,
poco prima di morire, fu battezzato nel 337 dal vescovo Eusebio nei
pressi della tomba di Luciano. Questo Santo, testimone sofferente nella
ricerca di Dio, attestò con la presenza della memoria la «conversione»
di un impero: soltanto a vicenda terrena pressoché conclusa,
l'imperatore Costantino suggellò la nuova fede venerando la madre Elena e
assumendo per testimone san Luciano. (Avvenire)
Etimologia: Luciano = di Lucio, nato nella luce, dal latino
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A
Nicomedia in Bitinia, nell’odierna Turchia, passione di san Luciano,
sacerdote della Chiesa di Antiochia e martire, che, rinomato per
dottrina ed eloquenza, condotto davanti al tribunale, agli ostinati
interrogatori accompagnati dalle torture rispondeva intrepido
confessando di essere cristiano.
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San Luciano, prete dotto e discusso, morì martire a Nicomedia il 7
gennaio 312, durante la persecuzione di Massimino. Esplicò in tutto
l'Oriente, con fulcro ad Antiochia, la sua opera esegetica rivelando in
ciò una estrema e tormentata esigenza di precisione per i Testi della
tradizione. La sua "Recensione lucianica" dell'Antico e del Nuovo
Testamento era diventata dalla fine del IV secolo in avanti il testo
usuale di un gran numero di Chiese. L'opera che rimane fondamentale a
tutt'oggi per la conoscenza di Luciano e del suo influsso dottrinale è
il saggio di G. Bardy: "Recherches sur Saint Lucien d'Antioche et son
école", pubblicato a Parigi nel 1936. Nel 330 l'imperatore
Costantino, per ossequiare la madre Elena, fondò Elenopoli. Qui vi si
onorava e continuò a onorarsi nel tempo il corpo del martire San
Luciano. Fantasia vuole che per il trasferimento delle reliquie di
Luciano da Nicomedia a Elenopoli, la provvidenza si sia servita, via
mare, di un delfino miracoloso. Quello che è più certo è che
Costantino, poco prima di morire, fu battezzato nel 337 dal vescovo
Eusebio nei pressi della tomba di Luciano. Tali scarne, frammentarie,
tramandate notizie su Luciano sono importanti. Questo Santo, testimone
sofferente nella ricerca di Dio, attestò con la presenza della memoria
il passaggio, la Pasqua di un impero. Qualche imperatore nei secoli
successivi ascoltò (e ancora oggi qualcun altro ascolta) messe per un
prezzo politico. Soltanto a vicenda terrena pressoché conclusa,
l'imperatore Costantino suggellò la nuova fede venerando la madre Elena e
assumendo per testimone San Luciano.
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Primeira
Anterior
1543 a 1557 de 1557
Seguinte
Última
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