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De: enricorns (Mensaje original) |
Enviado: 09/09/2012 19:33 |
Il divorziato che non si risposa può fare la comunione?
A un recente incontro in parrocchia, alcune persone hanno affermato che chi è separato o divorziato non può mai fare la comunione. Alla fine, in moltri hanno convenuto che è proprio così, e che è una regola che può sembrare ingiusta ma che deriva dall’indissolubilità del sacramento del matrimonio. Io credo invece che chi è separato non per sua scelta, e rimane «fedele» al proprio vincolo matrimoniale anche dopo essere stato lasciato dal coniuge, accettando di non risposarsi o di non dar vita a una nuova convivenza, non abbia alcun tipo di limitazioni, anche se civilmente risulta separato o divorziato. È così?
Anita Serafini
Risponde padre Francesco Romano, docente di Diritto Canonico
La questione che ci sottopone la lettrice sembra d’interesse inesauribile per il riproporsi della domanda, ormai per la terza volta. L’argomento lo abbiamo sufficientemente affrontato nelle Rubriche del 7 febbraio 2007 («Chi sposa un divorziato può fare la comunione?») e del 24 aprile 2007 («La moglie abbandonata può fare la comunione?») ancora consultabili nell’archivio dell sito. Mi limito questa volta a fare alcune considerazioni di carattere generale, utili, soprattutto, per comprendere che per qualsiasi fedele che voglia accostarsi all’Eucaristia contano prima di tutto le sue disposizioni.
Il significato dell’Eucaristia per la vita della Chiesa e del singolo fedele lo troviamo condensato in poche righe nel can. 897 del Codice di Diritto Canonico, avendo come fonte vari documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II: «Augustissimo sacramento è la Santissima Eucaristia, nella quale lo stesso Cristo Signore è presente, viene offerto e assunto, e mediante la quale continuamente vive e cresce la Chiesa. Il Sacrificio eucaristico, memoriale della morte e della risurrezione del Signore, nel quale si perpetua nei secoli il Sacrificio della Croce, è culmine e fonte di tutto il culto e della vita cristiana, mediante il quale è significata e prodotta l’unità del popolo di Dio e si compie l’edificazione del Corpo di Cristo. Gli altri sacramenti, infatti, e tutte le opere ecclesiastiche di apostolato sono strettamente uniti alla santissima Eucaristia e a essa sono ordinati».
L’importanza dell’Eucaristia per la vita del fedele è nota a tutti anche soltanto attraverso il precetto dato dalla Chiesa di ricevere almeno una volta all’anno durante il tempo pasquale la sacra comunione. L’Eucaristia è segno di unità e di edificazione del popolo di Dio, azione efficace di crescita della Chiesa. Questo, pertanto, è il senso per cui il fedele ha il dovere di ricevere l’Eucaristia, non come partecipazione esteriore al Sacrificio, bensì come condivisione della sua stessa vita. Il fedele è realtà viva del Corpo di Cristo e partecipa con la propria esistenza alla sua edificazione. Con la sua vita il fedele diventa egli stesso segno di ciò che l’Eucaristia è. Con ciò, ci rendiamo conto della distanza infinita, e della presunzione dell’uomo se non fosse stato proprio il Signore a realizzare questa vicinanza rendendoci, Lui solo, idonei a ricevere questo dono significato nelle sue parole «rimanete in me e io in voi» (Gv 15, 4).
La partecipazione all’Eucaristia ha come termine la ricezione della sacra comunione, ma essa inizia con il dono della propria vita al Signore e ai fratelli nell’essere realmente segno visibile e concreto di que-sta permanenza in Lui che si realizza nel percorso sempre più autentico di un’esistenza cristiana che impegna tutta la durata della vita. La coscienza del peccato e di essere peccatore non può distoglierci né costituire un alibi, anzi deve convincerci ancor più della necessità di questo «Farmaco dell’immortalità», come definivano l’Eucaristia i Padri della Chiesa. L’Eucaristia è «la certezza di essere amati e aspettati da Dio, sempre», secondo le parole di Benedetto XVI.
Con questa premessa, il punto centrale della questione posta dalla lettrice è che alla comunione vi si accede portandoci ognuno il peso della propria storia fatta di peccato, di buoni propositi non realizzati, e, nel caso specifico, anche di matrimoni falliti. Al desiderio di ricevere la comunione deve corrispondere anche il desiderio e il fermo proposito di prendere le distanze dal peccato. La conversione consiste proprio nel cambiamento del cuore che da radice del peccato deve diventare esclusivamente «la sede della Carità, principio delle opere buone e pure che il peccato ferisce» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1853).
In questo contesto deve essere inquadrata e risolta la questione della comunione ai divorziati. Il divorzio è il segno di un progetto di Dio che la coppia non ha accolto. Non è il divorzio in sé, anche nel caso che ci sia stata una precisa responsabilità personale da parte di uno o di entrambi i coniugi, a precludere l’accesso alla comunione, bensì le loro eventuali scelte successive se vengono a collidere con la legge di Dio, mai dispensabile da qualsivoglia autorità umana, dell’indissolubilità del vincolo e della fedeltà. Inoltre, il coniuge, che oggettivamente o soggettivamente si ritiene responsabile del naufragio coniugale, è tenuto ad avere lo stesso atteggiamento di ogni fedele di fronte al peccato con il sincero pentimento, il proposito di non commetterlo più e la riparazione nella misura del possibile.
A questo proposito resta fondamentale la lettura dell’Esortazione Apostolica Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II, di cui ho fatto precisi riferimenti nelle risposte delle precedenti Rubriche. Riguardo ai «separati e divorziati non sposati», scrive il Papa al n. 83: «Analogo è il caso del coniuge che ha subito divorzio, ma che - ben conoscendo l’indissolubilità del vincolo matrimoniale valido - non si lascia coinvolgere in una nuova unione, impegnandosi invece unicamente nell’adempimento dei suoi doveri di famiglia e delle responsabilità della vita cristiana. In tal caso il suo esempio di fedeltà e di coerenza cristiana assume un particolare valore di testimonianza di fronte al mondo e alla Chiesa, rendendo ancor più necessaria, da parte di questa, un’azione continua di amore e di aiuto, senza che vi sia alcun ostacolo per l’ammissione ai sacramenti». A proposito dei divorziati risposati invece, riguardo riguardo alla non idoneità ad accostarsi alla comunione, il Papa precisa al n. 84: «sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la sua Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia». Nelle cosiddette unioni irregolari irreversibili, qualora non fosse possibile di decidersi per una scelta di continenza, il Papa nella stessa Esortazione Apostolica incoraggia comunque a partecipare alla vita della Chiesa con l’ascolto della Parola, la perseveranza nella preghiera, l’incremento delle opere di carità e di giustizia, l’educazione dei figli nella fede cristiana e le opere di penitenza. Infatti, l’impossibilità di acce-dere ai sacramenti non toglie valore al resto della vita cristiana.
In conclusione: va premesso per chiarezza che il divorziato non è uno scomunicato e che, ancor meno, deve essere considerato come tale. Per poter ricevere la sacra comunione, il divorziato - che continua comunque a rimanere fedele al patto coniugale, ancorché responsabile del tracollo coniugale - se non può riparare alla ferita inferta al matrimonio, è almeno indispensabile che si penta per il peccato commesso e abbia il fermo proposito di tenersi lontano da tutto ciò che possa comportare il rischio di profanare il sacro vincolo, fermo restando che esso continua a durare quanto la reciproca sopravvivenza dei coniugi, benché separati o divorziati. Il peccato è imperdonabile solo quando l’uomo non cerca il perdono di Dio ritenendo che Egli approvi i suoi peccati. |
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Grazie per la spiegazione più che esaudiente ,ho capito. Angelica
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prego mi fa piacere sapere che ti sia servita |
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Però come dice Haiku, ci sono le foto di Berlusconi che riceve la Comunione... personalmente per farla quando mia figlia ha ricevuto la S. Comunione, ho dovuto chiedere la dispensa al Vicario Episcopale...
Un'altra volta assistendo alla S.Messa, mi sono indignata con il predicatore che ha definito i figli dei divorziati, "la schiuma della società" in senso dispregiativo.
Ho atteso il termine della Messa e sono andata a discutere! |
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Certo che l'ha ricevuta, e la nota di Fisichella ne spiega i motivi, ma ribadisco il fatto che al di la delle norme vale la coscienza personale.
Non conosco il tuo caso e non è certo un vicario episcopale che può decidere se le tue condizioni sono adeguate o no, ma se lo ha fatto è perchè lo erano, non ci sono sconti o favoritismi, c'è da notare però che ogni decisione deve essere presa nella chiarezza e se possibile evitare scandalo o anche solamente scompiglio e turbamento rispetto alla situazione contingente.
Per quello che riguarda il tono dispregiativo e personale del predicatore deve lasciare il tempo che trova e quello di cui si deve tenere conto sono le indicazioni del magistero, cosa che purtroppo non tutti anche fra i responsabili e sacerdoti tengono conto, e non dimenticare mai che la MISRICORDIA di Dio è grande, ma occorre chiederla. |
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Scusate...ho letto tutto ciò che è stato scritto su questo argomento...ma avrei da chiedere qualcosina...e c'è qualcosa che non mi quadra
- Sono divorziata da ben 24 anni...lasciata dal mio ex-marito e ignorata da ciò che sono gli alimenti per tutti questi anni...Ho lavorato come una matta per andare avanti dignitosamente ed insegnare a mia figlia la vita,la buona educazione,senza ,peraltro, metterla mai contro suo padre...Mia figlia ha avuto una madre che le ha fatto anche da padre e di questo ne vado fierissima...Il mio ex marito,figuratevi,si è risposato svariate volte ed adesso ha un altro figlio che non sà neppure di avere una sorella...cavolo...qui mi arrabbio davvero !!!
"Pensate voi che,se mi fossi risposata,non avrei dunque meritato la Santa Comunione???"
-Arrivata all'età della Prima Comunione il prete della parrocchia non ha voluto comunicarla perchè figlia di divorziati...ne ho dovuta sceglierne un'altra se volevo che ricevesse la Santa Comunione...
"Pensate Voi che una creatura non fosse abbastanza pura per ricevere il suo sacramento???"
...Bè...e quì mi fermo...ma ci sarebbe ben altro da scrivere a questo proposito...
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De: haiku04 |
Enviado: 12/09/2012 14:03 |
Questa è la creazione della Comunione, e fra di loro vi era un traditore e uno che ha rinnegato tre volte...
Vale di più questo esempio, o quello di preti cretini, lontanissimi dai precetti di Cristo, che umiliano
bambini innocenti e persone sfortunate nel matrimonio che, magari, riescono a ricostruirsi una vita?
La Chiesa Cristiana si dovrebbe vergognare di definirsi tale!
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ne ho dovuta sceglierne un'altra se volevo che ricevesse la Santa Comunione...
"Pensate Voi che una creatura non fosse abbastanza pura per ricevere il suo sacramento???"
Non voglio giudicare nessuno ma purtroppo dobbiamo fare i conti con l'ignoranza delle persone, anche dei preti purtroppo, se non fosse stata degna non avrebbe potuto riceverla ne li e ne altrove, e comunque non sono i figli a dover pagare gli errori dei genitori. Comunque per quanto riguarda il tuo caso, da quanto ho capito non ti sei risposata ne hai avuto altra relazione di convivenza, ti ripropongo quello che dice la Familiaris Consortio:
d) Separati e divorziati non risposati
83. Motivi diversi, quali incomprensioni reciproche, incapacità di aprirsi a rapporti interpersonali, ecc. possono dolorosamente condurre il matrimonio valido a una frattura spesso irreparabile. Ovviamente la separazione deve essere considerata come estremo rimedio, dopo che ogni altro ragionevole tentativo si sia dimostrato vano.
La solitudine e altre difficoltà sono spesso retaggio del coniuge separato, specialmente se innocente. In tal caso la comunità ecclesiale deve più che mai sostenerlo; prodigargli stima, solidarietà, comprensione ed aiuto concreto in modo che gli sia possibile conservare la fedeltà anche nella difficile situazione in cui si trova; aiutarlo a coltivare l'esigenza del perdono propria dell'amore cristiano e la disponibilità all'eventuale ripresa della vita coniugale anteriore.
Analogo è il caso del coniuge che ha subito divorzio, ma che - ben conoscendo l'indissolubilità del vincolo matrimoniale valido - non si lascia coinvolgere in una nuova unione, impegnandosi invece unicamente nell'adempimento dei suoi doveri di famiglia e delle responsabilità della vita cristiana. In tal caso il suo esempio di fedeltà e di coerenza cristiana assume un particolare valore di testimonianza di fronte al mondo e alla Chiesa, rendendo ancor più necessaria, da parte di questa, un'azione continua di amore e di aiuto, senza che vi sia alcun ostacolo per l'ammissione ai sacramenti.
familiaris consortio 83
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In conclusione: va premesso per chiarezza che il divorziato non è uno scomunicato e che, ancor meno, deve essere considerato come tale. Per poter ricevere la sacra comunione, il divorziato - che continua comunque a rimanere fedele al patto coniugale, ancorché responsabile del tracollo coniugale - se non può riparare alla ferita inferta al matrimonio, è almeno indispensabile che si penta per il peccato commesso e abbia il fermo proposito di tenersi lontano da tutto ciò che possa comportare il rischio di profanare il sacro vincolo, fermo restando che esso continua a durare quanto la reciproca sopravvivenza dei coniugi, benché separati o divorziati. Il peccato è imperdonabile solo quando l’uomo non cerca il perdono di Dio ritenendo che Egli approvi i suoi peccati.
padre Francesco Romano, docente di Diritto Canonico
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DIRETTORIO DI PASTORALE FAMILIARE
DECRETO
La Conferenza Episcopale Italiana nella XXXVII Assemblea Generale ordinaria, svoltasi in Roma dal 10 al 14 maggio 1993, ha esaminato e approvato con la prescritta maggioranza il “Direttorio di pastorale familiare per la Chiesa in Italia”.
capitolo settimo
LA PASTORALE DELLE FAMIGLIE IN SITUAZIONE DIFFICILE O IRREGOLARE [189-234]
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La Chiesa Cristiana si dovrebbe vergognare di definirsi tale!
La questione non è sul fatto che la Chiesa Cristiano Cattolica debba vergognarsi di definirsi tale ma del fatto, ripreso in altro post, che purtroppo facciamo spesso e volentieri di tutta l'erba un fascio e applichiamo a tutti i criteri che devono essere invece valutati da caso a caso e sulla questione mi sembra di esere stato sufficientemente esauriente avvalendomi, non della mia opinioe, che come ho già detto se non supportata vale poco, ma dei documenti ufficiali, ai quali, da quanto ho capito anche chi dovrebbe ricorrevi non lo fa. |
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De: haiku04 |
Enviado: 12/09/2012 23:02 |
Sono una studiosa di Storia, non l'ultima sprovveduta, semplicemente questo tipo di documentazione, scusami, ma non mi interessa, cavillosa e farraginosa.... dò spazio a chi ha fede, e in nome di essa si vorrebbe accostare alla comunione (la parola stessa lo dice) in qualità di armonia spirituale tra la propria persona e Cristo, aldilà del proprio stato civile, tutto qui! |
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Se un medico sbaglia terapia nessuno si sogna di buttare alle ortiche tutta la medicina.
Mi sorella sposò nel 1963 un valdese e durante la predica domenicale il suo parroco l'additò come pubblica peccatrice. Negli anni '50 un mio zio non ebbe il funerale religioso perché era stato candidato alle elezioni comunali come socialista nella lista del Blocco del Popolo insieme ai comunisti. "Perdonali Padre; non sano quello che fanno".
Forse oggi c'è la tendenza al "fai da te". Si va dal medico e gli si chiede di prescriverci la terapia che abbiano deciso. Quando un passo del Vangelo mi resta oscuro non dico che è sbagliato ma che il mio spirito non è preparato a riceverlo. Quanto riportato da enricorns sulla comunione ai divorziati è chiarissimo ed è la posizione della Chiesa. L'atteggiamento di alcuni suoi rappresentanti non fanno testo. Se camminando vediamo cadere uno sconosciuto ci precipitiamo a rialzarlo ed invece se veniamo a conoscenza dell'errore di un sacerdote condanniamo tutta la Chiesa e quasi ci sentiamo autorizzati a trasgredire. In alcuni post sembra implicita l'accusa alla Chiesa di occuparsi più del peccato che del peccatore. Anch'io ho sofferto la solitudine, ma allontano da me la tentazione di giudicare.
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In conclusione: va premesso per chiarezza che il divorziato non è uno scomunicato e che, ancor meno, deve essere considerato come tale.
Certo che parliamo di stato di grazia, e questo vale per qualsiasi condizione di peccato, si sta parlando di divorziati, che erroneamente vanno associati ai divorziati risposati, che non potendo riparare, e riconoscono comunque undissolubile il loro matrimonio, non continuano sulla via del peccato, cosa che è chiaramente rilevabile in chi divorzia e si risposa o vive un'altra unione, perchè contravviene al sacramento da esso di cui esso stesso è ministro e la condizione stessa, anche se in parole uno una potrebbe dire io il mio matrimonio precedente lo ritengo valido, rompe e rifiuta i patto sacramentale fatto col precedente, ma qui andiamo troppo nei cavilli come dici tu, e non di "semplice" condizione di peccato che ti impedisce di accostarti alla comunione ma non alla vita della Chiesa.
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Grazie lore luc sono pienamente daccordo con le tue affermazioni. |
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semplicemente questo tipo di documentazione, scusami, ma non mi interessa, cavillosa e farraginosa....
Cara haiku04 non voglio convincer ne costringere nessuno ad ascoltarmi, questa cavillosa e farraginosa documentazione l'ho posta per chi interessa o porebbe interessare a supporto del topic dela discussione e del quesito fatto nel primo post.
Ma ripeto, e questo vorrei scriverlo GRANDE, per importanza di quello che affermo, e non per voler prevaricare, IO CREDO E SONO CONVITO, per quanto riguarda la mia persona, ed ognuno consideri la sua come crede, L'OPINIONE PERSONALE HA POCO VALORE O NON NE HA SE NON è SUPPORTATA..
Un abbraccio in Cristo
Enrico |
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quante parole...
ma... dimentichiamo sempre l'AMORE di Dio
e la sua... MISERICORDIA...
E questo amore ci guiderà sempre lungo il cammino.
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