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De: enricorns (Mensaje original) |
Enviado: 09/09/2012 19:33 |
Il divorziato che non si risposa può fare la comunione?
A un recente incontro in parrocchia, alcune persone hanno affermato che chi è separato o divorziato non può mai fare la comunione. Alla fine, in moltri hanno convenuto che è proprio così, e che è una regola che può sembrare ingiusta ma che deriva dall’indissolubilità del sacramento del matrimonio. Io credo invece che chi è separato non per sua scelta, e rimane «fedele» al proprio vincolo matrimoniale anche dopo essere stato lasciato dal coniuge, accettando di non risposarsi o di non dar vita a una nuova convivenza, non abbia alcun tipo di limitazioni, anche se civilmente risulta separato o divorziato. È così?
Anita Serafini
Risponde padre Francesco Romano, docente di Diritto Canonico
La questione che ci sottopone la lettrice sembra d’interesse inesauribile per il riproporsi della domanda, ormai per la terza volta. L’argomento lo abbiamo sufficientemente affrontato nelle Rubriche del 7 febbraio 2007 («Chi sposa un divorziato può fare la comunione?») e del 24 aprile 2007 («La moglie abbandonata può fare la comunione?») ancora consultabili nell’archivio dell sito. Mi limito questa volta a fare alcune considerazioni di carattere generale, utili, soprattutto, per comprendere che per qualsiasi fedele che voglia accostarsi all’Eucaristia contano prima di tutto le sue disposizioni.
Il significato dell’Eucaristia per la vita della Chiesa e del singolo fedele lo troviamo condensato in poche righe nel can. 897 del Codice di Diritto Canonico, avendo come fonte vari documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II: «Augustissimo sacramento è la Santissima Eucaristia, nella quale lo stesso Cristo Signore è presente, viene offerto e assunto, e mediante la quale continuamente vive e cresce la Chiesa. Il Sacrificio eucaristico, memoriale della morte e della risurrezione del Signore, nel quale si perpetua nei secoli il Sacrificio della Croce, è culmine e fonte di tutto il culto e della vita cristiana, mediante il quale è significata e prodotta l’unità del popolo di Dio e si compie l’edificazione del Corpo di Cristo. Gli altri sacramenti, infatti, e tutte le opere ecclesiastiche di apostolato sono strettamente uniti alla santissima Eucaristia e a essa sono ordinati».
L’importanza dell’Eucaristia per la vita del fedele è nota a tutti anche soltanto attraverso il precetto dato dalla Chiesa di ricevere almeno una volta all’anno durante il tempo pasquale la sacra comunione. L’Eucaristia è segno di unità e di edificazione del popolo di Dio, azione efficace di crescita della Chiesa. Questo, pertanto, è il senso per cui il fedele ha il dovere di ricevere l’Eucaristia, non come partecipazione esteriore al Sacrificio, bensì come condivisione della sua stessa vita. Il fedele è realtà viva del Corpo di Cristo e partecipa con la propria esistenza alla sua edificazione. Con la sua vita il fedele diventa egli stesso segno di ciò che l’Eucaristia è. Con ciò, ci rendiamo conto della distanza infinita, e della presunzione dell’uomo se non fosse stato proprio il Signore a realizzare questa vicinanza rendendoci, Lui solo, idonei a ricevere questo dono significato nelle sue parole «rimanete in me e io in voi» (Gv 15, 4).
La partecipazione all’Eucaristia ha come termine la ricezione della sacra comunione, ma essa inizia con il dono della propria vita al Signore e ai fratelli nell’essere realmente segno visibile e concreto di que-sta permanenza in Lui che si realizza nel percorso sempre più autentico di un’esistenza cristiana che impegna tutta la durata della vita. La coscienza del peccato e di essere peccatore non può distoglierci né costituire un alibi, anzi deve convincerci ancor più della necessità di questo «Farmaco dell’immortalità», come definivano l’Eucaristia i Padri della Chiesa. L’Eucaristia è «la certezza di essere amati e aspettati da Dio, sempre», secondo le parole di Benedetto XVI.
Con questa premessa, il punto centrale della questione posta dalla lettrice è che alla comunione vi si accede portandoci ognuno il peso della propria storia fatta di peccato, di buoni propositi non realizzati, e, nel caso specifico, anche di matrimoni falliti. Al desiderio di ricevere la comunione deve corrispondere anche il desiderio e il fermo proposito di prendere le distanze dal peccato. La conversione consiste proprio nel cambiamento del cuore che da radice del peccato deve diventare esclusivamente «la sede della Carità, principio delle opere buone e pure che il peccato ferisce» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1853).
In questo contesto deve essere inquadrata e risolta la questione della comunione ai divorziati. Il divorzio è il segno di un progetto di Dio che la coppia non ha accolto. Non è il divorzio in sé, anche nel caso che ci sia stata una precisa responsabilità personale da parte di uno o di entrambi i coniugi, a precludere l’accesso alla comunione, bensì le loro eventuali scelte successive se vengono a collidere con la legge di Dio, mai dispensabile da qualsivoglia autorità umana, dell’indissolubilità del vincolo e della fedeltà. Inoltre, il coniuge, che oggettivamente o soggettivamente si ritiene responsabile del naufragio coniugale, è tenuto ad avere lo stesso atteggiamento di ogni fedele di fronte al peccato con il sincero pentimento, il proposito di non commetterlo più e la riparazione nella misura del possibile.
A questo proposito resta fondamentale la lettura dell’Esortazione Apostolica Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II, di cui ho fatto precisi riferimenti nelle risposte delle precedenti Rubriche. Riguardo ai «separati e divorziati non sposati», scrive il Papa al n. 83: «Analogo è il caso del coniuge che ha subito divorzio, ma che - ben conoscendo l’indissolubilità del vincolo matrimoniale valido - non si lascia coinvolgere in una nuova unione, impegnandosi invece unicamente nell’adempimento dei suoi doveri di famiglia e delle responsabilità della vita cristiana. In tal caso il suo esempio di fedeltà e di coerenza cristiana assume un particolare valore di testimonianza di fronte al mondo e alla Chiesa, rendendo ancor più necessaria, da parte di questa, un’azione continua di amore e di aiuto, senza che vi sia alcun ostacolo per l’ammissione ai sacramenti». A proposito dei divorziati risposati invece, riguardo riguardo alla non idoneità ad accostarsi alla comunione, il Papa precisa al n. 84: «sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la sua Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia». Nelle cosiddette unioni irregolari irreversibili, qualora non fosse possibile di decidersi per una scelta di continenza, il Papa nella stessa Esortazione Apostolica incoraggia comunque a partecipare alla vita della Chiesa con l’ascolto della Parola, la perseveranza nella preghiera, l’incremento delle opere di carità e di giustizia, l’educazione dei figli nella fede cristiana e le opere di penitenza. Infatti, l’impossibilità di acce-dere ai sacramenti non toglie valore al resto della vita cristiana.
In conclusione: va premesso per chiarezza che il divorziato non è uno scomunicato e che, ancor meno, deve essere considerato come tale. Per poter ricevere la sacra comunione, il divorziato - che continua comunque a rimanere fedele al patto coniugale, ancorché responsabile del tracollo coniugale - se non può riparare alla ferita inferta al matrimonio, è almeno indispensabile che si penta per il peccato commesso e abbia il fermo proposito di tenersi lontano da tutto ciò che possa comportare il rischio di profanare il sacro vincolo, fermo restando che esso continua a durare quanto la reciproca sopravvivenza dei coniugi, benché separati o divorziati. Il peccato è imperdonabile solo quando l’uomo non cerca il perdono di Dio ritenendo che Egli approvi i suoi peccati. |
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d) Separati e divorziati non risposati
83. Motivi diversi, quali incomprensioni reciproche, incapacità di aprirsi a rapporti interpersonali, ecc. possono dolorosamente condurre il matrimonio valido a una frattura spesso irreparabile. Ovviamente la separazione deve essere considerata come estremo rimedio, dopo che ogni altro ragionevole tentativo si sia dimostrato vano.
La solitudine e altre difficoltà sono spesso retaggio del coniuge separato, specialmente se innocente. In tal caso la comunità ecclesiale deve più che mai sostenerlo; prodigargli stima, solidarietà, comprensione ed aiuto concreto in modo che gli sia possibile conservare la fedeltà anche nella difficile situazione in cui si trova; aiutarlo a coltivare l'esigenza del perdono propria dell'amore cristiano e la disponibilità all'eventuale ripresa della vita coniugale anteriore.
Analogo è il caso del coniuge che ha subito divorzio, ma che - ben conoscendo l'indissolubilità del vincolo matrimoniale valido - non si lascia coinvolgere in una nuova unione, impegnandosi invece unicamente nell'adempimento dei suoi doveri di famiglia e delle responsabilità della vita cristiana. In tal caso il suo esempio di fedeltà e di coerenza cristiana assume un particolare valore di testimonianza di fronte al mondo e alla Chiesa, rendendo ancor più necessaria, da parte di questa, un'azione continua di amore e di aiuto, senza che vi sia alcun ostacolo per l'ammissione ai sacramenti.
familiaris consortio 83 |
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Analogo è il caso del coniuge che ha subito divorzio, ma che - ben conoscendo l'indissolubilità del vincolo matrimoniale valido - non si lascia coinvolgere in una nuova unione, impegnandosi invece unicamente nell'adempimento dei suoi doveri di famiglia e delle responsabilità della vita cristiana. In tal caso il suo esempio di fedeltà e di coerenza cristiana assume un particolare valore di testimonianza di fronte al mondo e alla Chiesa, rendendo ancor più necessaria, da parte di questa, un'azione continua di amore e di aiuto, senza che vi sia alcun ostacolo per l'ammissione ai sacramenti.
E’ anche l’opinione del mio cugino diacono. Penso che tutti preferiamo alle opinioni le certezze.
Mi viene in mente (sono irriverente?) Mi viene in mente il manzoniano
« - Sapete voi quanti siano gl'impedimenti dirimenti?
- Che vuol ch'io sappia d'impedimenti?
- Error, conditio, votum, cognatio, crimen,
Cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas,
Si sis affinis,... - cominciava don Abbondio, contando sulla punta delle dita.
- Si piglia gioco di me? - interruppe il giovine. - Che vuol ch'io faccia del suo latinorum[2]? » |
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ESORTAZIONE APOSTOLICA FAMILIARIS CONSORTIO DI SUA SANTITA' GIOVANNI PAOLO II ALL'EPISCOPATO AL CLERO ED AI FEDELI DI TUTTA LA CHIESA CATTOLICA CIRCA I COMPITI DELLA FAMIGLIA CRISTIANA NEL MONDO DI OGGI
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE
LETTERA AI VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICA CIRCA LA RECEZIONE DELLA COMUNIONE EUCARISTICA DA PARTE DI FEDELI DIVORZIATI RISPOSATI
queste non sono opinioni è magistero, poi ripeto, non sono le opinioni ma è la retta coscienza che ci fa prendere le giuste posizioni e decisioni, perchè come dice Paolo nella 1 Lettera ai Corinzi: "Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga. Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna." (1Cor 11, 26-29) e dice ciascuno e non SOLO i divorziati |
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Però non è uguale per tutti,come mai Berlusconi può prender la Comunione ed è divorziato ,poi come mai Michele Placido divorviato si è potuto sposare in Chiesa ? A noi comuni mortali non è concesso
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IO non lo so come sia la situazione di coscienza di Berlusconi e Placido, non mi interessano e non voglio giudicare, ho suggerito a lore luc quale è la posizione della Chiesa, poi in merito alle situazioni da te citate, apparentemente hai ragione ma bisogna anche vederne le circostanze.
CITTA’ DEL VATICANO (21 aprile) - Non è la prima volta che il presidente del Consiglio Berlusconi si trova al centro di polemiche legate alla questione della comunione ai divorziati. Due anni fa, durante un suo soggiorno estivo in Sardegna, al vescovo di Tempio Pausania che stava inaugurando il nuovo campanile della chiesa di Porto Rotondo, gli chiese a bruciapelo quando la Chiesa avrebbe cambiato le regole per ammettere «noi separati» alla comunione. Aggiungendo: «Lei che ha potere si rivolga a chi è più in alto di me». In questi giorni a risollevare la questione ci ha pensato una fotografia che ritrae il premier intento a comunicarsi durante il funerale di Raimondo Vianello. Inutile dire che questa immagine sta creando un certo disorientamento tra i fedeli, poiché tutti sanno che il premier è divorziato e risposato. Arcivescovo Rino Fisichella la gente si chiede se il divieto è caduto tout court o se per lui la Chiesa ha fatto una eccezione?«Nessuna eccezione. Ci mancherebbe. La Chiesa non ha mai cambiato idea a tal proposito, i divorziati che si sono risposati una seconda volta civilmente, non possono accostarsi a questo sacramento. Era così ed è tuttora così, non è mutato niente». E allora?
«Se il presidente del Consiglio prima di accostarsi all’ostia consacrata era nella condizione di poterla prendere, vale a dire se si era prima confessato, nulla glielo vietava». Il sacerdote che ha celebrato il rito funebre, non doveva rifiutarsi di dare l’ostia consacrata a un divorziato?
«E perché mai?». Tanto per cominciare, perché per la Chiesa, è collocato in una situazione irregolare..
«Facciamo subito un po’ di chiarezza. Il presidente Berlusconi essendosi separato dalla seconda moglie, la signora Veronica, con la quale era sposato civilmente, è tornato ad una situazione, diciamo così, ex ante. Il primo matrimonio era un matrimonio religioso. E’ il secondo matrimonio, da un punto di vista canonico, che creava problemi. E’ solo al fedele separato e risposato che è vietato comunicarsi, poiché sussiste uno stato di permanenza nel peccato. A meno che, ovviamente, il primo matrimonio non venga annullato dalla Sacra Rota. Ma se l’ostacolo viene rimosso, nulla osta». In pratica, con la separazione dalla signora Veronica, il presidente Berlusconi è nelle condizioni di accostarsi alla comunione dato che non vive più in uno stato di permanenza di peccato, ho capito bene?
«Esattamente».
da ilmessaggero
non sappiamo poi se il cavaliere abbia agito in retta coscienza o abbia preso in giro la Chiesa e il Signore, di questo dovrà risponderne lui.
per quanto riguarda Placido non è divorziato, ma aanche in questo caso avrebbe potuto fare la comunione sempre osservando uno stile di vita di cui abbiamo detto, e ribadisco che non è solo una questine di divorziati, ma ha ottenuto la nullità del matrimonio, erroneamente detto annullamente dal tribunale della Rota Romana, comunemente conosciuta come Sacra Rota e dunque mai sposato
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per fare un po' di luce potrebbe esserci utile questo contributo
La dichiarazione di nullità del matrimonio
alcune risposte
Numerosi sono i quesiti che spesso sorgono a proposito dell’operato dei tribunali ecclesiastici. Le seguenti risposte hanno lo scopo di dare alcune indicazioni generali sull’operato del Tribunale Ecclesiastico per favorirne la conoscenza e l’opera al servizio del bene spirituale dei fedeli.
Qual è la visione del matrimonio secondo la Chiesa Cattolica?
I documenti del magistero della Chiesa, la teologia e il Codice di diritto canonico descrivono il matrimonio come un patto coniugale con cui un uomo e una donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinato al bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione della prole. Le sue proprietà essenziali sono l’unità e l’indissolubilità. Tra due battezzati, poi, il patto coniugale è sacramento. Questa realtà matrimoniale sorge dal consenso delle parti, legittimamente manifestato tra un uomo e una donna, giuridicamente abili. Il consenso è l’atto di volontà con cui l’uomo e la donna, con patto irrevocabile, danno e accettano reciprocamente se stessi per costituire il matrimonio.
Il patto coniugale, espresso con un valido consenso, è indissolubile. Quando si tratta di un sacramento, cioè di un consenso valido espresso tra due battezzati, nessuna autorità umana può sciogliere questo matrimonio. Esprime in modo chiaro questa realtà il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1640): «Il vincolo matrimoniale è dunque stabilito da Dio stesso, così che il matrimonio concluso e consumato tra battezzati non può mai essere sciolto. Questo vincolo, che risulta dall’atto umano libero degli sposi e dalla consumazione del matrimonio, è una realtà ormai irrevocabile e dà origine ad un’alleanza garantita dalla fedeltà di Dio. Non è in potere della Chiesa pronunciarsi contro questa disposizione della sapienza divina».
Esiste l’annullamento del matrimonio?
No, non esiste l’annullamento del matrimonio. Infatti con il termine “annullamento” si indica il togliere valore ed efficacia a un atto che invece per se stesso possiede questo valore ed efficacia. In riferimento al matrimonio, questo significherebbe che, di fronte a un consenso matrimoniale valido, dal quale è sorta una realtà indissolubile, come il matrimonio nel suo svolgersi, la Chiesa verrebbe meno al suo compito e non rispetterebbe l’indissolubilità del matrimonio.
Quello che comunemente si dice “annullamento del matrimonio”, in realtà, è una dichiarazione di nullità del matrimonio: La Chiesa dichiara che un matrimonio non è valido. Non costituisce la realtà di scioglimento del matrimonio, ma si limita semplicemente a constatare e a dichiarare che il consenso espresso da uno dei due nubendi (o da entrambi), per motivi fondati e provati, non è valido.
La dichiarazione di nullità del matrimonio può coesistere con l’affermazione dell’indissolubilità del matrimonio?
Certamente, anzi, rafforza la consapevolezza della Chiesa e il suo insegnamento circa l’indissolubilità del matrimonio. Infatti il matrimonio celebrato validamente è indissolubile, e questa affermazione conserva sempre il suo valore e la sua importanza. Laddove, però, non ci sia consenso valido, in quel caso non c’è neppure un valido matrimonio; manca la realtà che deve essere indissolubile.
Comprendiamo bene, allora, la differenza esistente tra la dichiarazione di nullità del matrimonio e il divorzio civile. Mentre infatti con la dichiarazione di nullità la Chiesa dichiara, dopo un’accurata indagine, che il matrimonio non è mai esistito validamente, perché gravemente viziato all’origine, con il divorzio lo stato (la Chiesa non lo ammette) riconosce la volontà dei coniugi di sciogliere il loro matrimonio. In altri termini la dichiarazione di nullità non è un «divorzio cattolico», perché non scioglie il matrimonio, ma soltanto riconosce il dato di fatto che un matrimonio non è mai esistito validamente. Dichiarando la nullità dei matrimoni fin dall’origine invalidi, la chiesa adempie ad un dovere di giustizia: se da un lato essa non può sciogliere ciò che Dio ha unito, dall’altro però non può costringere a rimanere uniti coloro che, dopo un’accurata indagine, risultino essere solo «apparentemente» sposati, perché fin dall’origine esisteva un grave difetto nel loro matrimonio.
Quali sono gli effetti della dichiarazione di nullità del matrimonio?
L’effetto principale della dichiarazione di nullità consiste nella possibilità, che viene data generalmente alle parti, di essere libere di celebrare validamente un matrimonio, qualora lo desiderino.
In tale modo, le persone che hanno iniziato una nuova relazione di tipo coniugale, senza essere unite nel sacramento del matrimonio – anche nel caso in cui siano tra di loro sposate civilmente –, hanno la possibilità di accedere ai sacramenti della Confessione e della Eucaristia, e di essere padrini o madrine nella celebrazione del sacramento del Battesimo e della Confermazione.
Ci sono conseguenze per eventuali figli?
I figli che eventualmente sono nati nel corso del primo matrimonio, dichiarato successivamente nullo, non hanno conseguenze da questa decisione della Chiesa. Essi vengono considerati, di fronte alla Chiesa, figli legittimi. Va anche ricordato che nella Chiesa non c’è differenza tra figli nati legittimamente all’interno del sacramento del matrimonio e figli nati al di fuori di questo.
La dichiarazione di nullità, inoltre, non può cancellare la storia vissuta da due persone nel corso della loro vita. Anche se il loro matrimonio rimane nullo, continua ad esistere la memoria, lieta e dolorosa, degli eventi vissuti assieme, di quanto insieme si è fatto e/o poteva essere fatto. Non si nega la relazione vissuta, con il carico umano ed emozionale che questo comporta. Non si ricerca neppure la colpa morale, come elemento determinante, della fine della vicenda coniugale. Ci si propone, infatti, con amore per la verità, di valutare se – al di là della stessa consapevolezza dei due nubendi – il loro consenso matrimoniale sia stato valido oppure no.
Cosa deve fare chi ritiene che il suo matrimonio sia nullo?
Chi ritiene che il suo matrimonio sia nullo, oppure semplicemente desidera fare chiarezza sulla propria situazione matrimoniale precedente, può chiedere informazioni al proprio parroco o alla la curia diocesana. Si rivolge poi a un patrono (avvocato) abilitato ad esercitare presso il Tribunale ecclesiastico. Assieme al patrono si analizza in profondità la propria vicenda coniugale (soprattutto nel periodo precedente il consenso matrimoniale). Emergendo motivi che danno fondatezza a una domanda di nullità matrimoniale, si presenta una domanda (“libello”) al Tribunale Ecclesiastico. Per la diocesi di Vicenza si fa riferimento al Tribunale Ecclesiastico Regionale Triveneto, la cui sede attualmente è a Zelarono (Mestre – Venezia).
Una volta introdotto il libello, inizia il cosiddetto “processo”, il cui scopo non è quello di attribuire eventuali colpe nell’andamento della relazione, ma piuttosto di cercare la verità della situazione matrimoniale. Nel corso del processo viene data la possibilità ai due coniugi di dire la loro versione dei fatti circa la vicenda del fidanzamento e del matrimonio. Vengono interpellati anche dei testimoni (di solito familiari e amici dei coniugi), i quali, con le loro deposizioni, aiutano a fare maggiore chiarezza sulla vicenda che si è chiamati ad esaminare. Naturalmente, vista l’importanza e la delicatezza dell’argomento, si richiede da parte di tutti l’impegno di dire la verità. Inoltre tutto quello che si apprende viene trattato con la dovuta riservatezza, rispettando la privacy delle persone.
Al termine di questa raccolta delle prove, un “collegio” composto da tre giudici deve decidere se la domanda di nullità di matrimonio è fondata oppure no. Qualora si decida che il matrimonio è nullo, perché la causa si possa considerare conclusa, è necessario che essa riceva la conferma in appello da un altro collegio di tre giudici. Per il Tribunale Ecclesiastico Regionale Triveneto, il Tribunale a cui generalmente si fa appello è il Tribunale Ecclesiastico Regionale Lombardo.
Quanto tempo è necessario per avere una dichiarazione di nullità?
Si tratta di una questione complessa, in quanto ogni causa che viene esaminata presenta le sue particolarità. Generalmente sono necessari circa tre anni per avere sentenza di dichiarazione di nullità (compresi i tempi necessari per la conferma in appello). Tuttavia alcune cause possono richiedere tempi più lunghi, qualora ad esempio uno dei due coniugi non voglia intervenire nel procedimento, oppure siano necessarie perizie psicologiche, oppure la causa presenti delle situazioni complesse da esaminare e da accertare, che richiedono tempi necessariamente più lunghi. L’impegno comune a cui si tende, in ogni caso, è quello di coniugare sempre insieme la ricerca della giustizia con la ricerca della giusta celerità nel dare una risposta alla domanda di nullità presentata.
È vero che solo i ricchi possono chiedere la nullità del matrimonio? Ovvero, quanto costa?
È purtroppo diffusa la diceria che chiedere la nullità del matrimonio sia qualcosa di possibile solo per persone ricche con forti disponibilità economiche. Non c’è nulla di più falso! Infatti dal 1998 è in vigore una normativa della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) che disciplina questa materia con norme comuni per tutta l’Italia.
Il principio fondamentale, a cui si ispirano le norme della CEI, è il seguente: la dichiarazione di nullità del matrimonio è un aiuto pastorale, che riguarda la vita cristiana dei fedeli. Pertanto, la Chiesa si preoccupa che il contributo economico richiesto per le spese processuali e per l’assistenza da parte di un patrono (“avvocato”) non allontani i fedeli, che abbiano fondati motivi per avvalersene, da tale strumento, riguardante la loro coscienza e la loro vita cristiana.
Per chi si trovasse in serie (e documentate) difficoltà economiche, sono previsti sia la dispensa totale o parziale dalle spese processuali, sia la possibilità dell’assistenza gratuita da parte dei Patrono stabile del Tribunale ecclesiastico o da un patrono d’ufficio incaricato dal Tribunale stesso. Di conseguenza, oggi nessuno è privato della possibilità di accedere alla dichiarazione di nullità del matrimonio per motivi economici. La conferma sta nel nelle molte coppie che hanno ottenuto la sentenza di nullità del matrimonio usufruendo realmente di tale forma di aiuto.
Il costo che un fedele deve sostenere per una causa di nullità riguarda due voci: il contributo richiesto dal Tribunale ecclesiastico per le spese processuali e l’onorario per il patrono, cioè l’esperto che lo assiste nell’introdurre la causa e nel corso dei processo canonico.
Cosa chiede il Tribunale?
Chi promuove la causa (“attore”) deve versare al Tribunale ecclesiastico all’inizio dei processo la somma di euro 500 quale contributo alle spese che la Chiesa deve sostenere per il processo stesso, spese di molto superiori (si aggirano sui 1.500-2000 euro per ogni causa). Per venire incontro alle necessità spirituali dei fedeli, la Chiesa italiana ha deciso di coprire gli oneri delle cause di nullità matrimoniali con una parte dell’otto per mille dell’Irpef, destinato dai contribuenti alla Chiesa cattolica, limitandosi a chiedere un contributo minimo a chi presenta la domanda. In caso di comprovate e gravi difficoltà economiche, è possibile ottenere anche l’esenzione da tale contributo.
Qual è l’onorario del patrono (avvocato) di fiducia?
I professionisti ammessi al patrocinio presso il Tribunale ecclesiastico sono tenuti a rispettare le tariffe stabilite dalla Conferenza episcopale italiana e precisate nell’impegnativa economica che patrono e assistito devono firmare contestualmente al conferimento dei mandato. I patroni non possono quindi presentare richieste diverse da quanto previsto.
L’onorario dovuto al patrono è di euro 1.500, a cui vanno aggiunti, su presentazione di regolare fattura, gli oneri di legge e fiscali, che si aggirano sul 22%. Tale somma comprende tutta l’attività di patrocinio: l’attività di consulenza preliminare, l’assistenza durante l’istruttoria ed eventuale presenza durante gli interrogatori, la redazione delle memorie difensive; comprende, inoltre, l’assistenza presso il Tribunale di appello, se la causa terminerà con decreto di conferma della sentenza di primo grado.
Solo se la causa richiede una straordinaria attività di difesa da parte dei patrono, il Tribunale, in via eccezionale, può autorizzare in favore dei Patrono il versamento di un onorario maggiorato fino ad un massimo di euro 2.850.
Nelle cause che coinvolgono problematiche psicologiche, può essere necessaria una perizia di parte, preliminare alla presentazione della domanda, presso uno psicologo/psichiatra: la spesa per tale consulenza va pagata a parte dall’assistito.
Servizio di informazione
Per i fedeli che fossero interessati ad avere informazioni circa una possibile causa di nullità, la Diocesi di Vicenza offre un servizio che viene incontro a tale esigenza da parte di alcuni sacerdoti che lavorano nel Tribunale ecclesiastico. Scopo di tale consulenza è spiegare in che cosa consista la causa di nullità e dare indicazioni per introdurre la domanda, senza entrare in modo approfondito nella fondatezza o meno della medesima. Per eventuali appuntamenti, ci si può rivolgere all’ufficio del Tribunale ecclesiastico presso la Curia vescovile (tel. 0444.226300), oppure inviare una email a: tribunale@vicenza.chiesacattolica.it.
La presente nota è stata preparata a cura di mons. Adolfo Zambon, Giudice del Tribunale Ecclesiastico Regionale Triveneto, il 30 maggio 200
webdiocesi |
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Non capisco come si possa ipotizzare una specie di timore riverenziale della Chiesa nei confronti di Berlusconi. Basta ricordare che la Chiesa disse NO ad Enrico VIII determinando la separazione della chiesa anglicana. In oltre trent'anni di separazione ho avuto modo d'approfondire tutto quanto c'era da sapere. Condivido ed accetto in toto l'atteggiamento della Chiesa Cattolica. Ammetto d'essermi abbandonato a qualche riflessione balzana: e se invece di separarmi avessi ucciso mia moglie? - 20 anni di galera e poi libero e coccolato dalle tante associazioni col pallino di redimere. La Chiesa? mi pento e mi riprende tra le sue braccia. - I figli? sarebbero stati adottati ed avrebbero vissuto con la presenza di entrambi i genitori. La ragione umana ha generato diverse follie. Avevo pensato all'ipotesi di vizio di consenso da parte di mia moglie (sono convinto che si sia sposata per dare alla madre morente l'ultimo piacere della sua vita), mi hanno sorriso in faccia. Spero che il Padre tenga conto che io il purgatorio l'ho già fatto in terra.
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De: haiku04 |
Enviado: 10/09/2012 12:50 |
Uffa, se una persona ha fede e cuore puro, e crede nella comunione, a mio parere si può accostare all'altare senza remore, a prescindere dal parere della Chiesa. Gesù, nel momento che l'ha istituita, non ha fatto tante storie e non ha posto limiti e precetti... ha pure salvato l'adultera! |
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LETTERA ENCICLICA CARITAS IN VERITATE DEL SOMMO PONTEFICE BENEDETTO XVI AI VESCOVI AI PRESBITERI E AI DIACONI ALLE PERSONE CONSACRATE AI FEDELI LAICI E A TUTTI GLI UOMINI DI BUONA VOLONTÀ SULLO SVILUPPO UMANO INTEGRALE NELLA CARITÀ E NELLA VERITÀ
INTRODUZIONE
1. La carità nella verità, di cui Gesù Cristo s'è fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione, è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell'umanità intera. L'amore — « caritas » — è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace. È una forza che ha la sua origine in Dio, Amore eterno e Verità assoluta. Ciascuno trova il suo bene aderendo al progetto che Dio ha su di lui, per realizzarlo in pienezza: in tale progetto infatti egli trova la sua verità ed è aderendo a tale verità che egli diventa libero (cfr Gv 8,32). Difendere la verità, proporla con umiltà e convinzione e testimoniarla nella vita sono pertanto forme esigenti e insostituibili di carità. Questa, infatti, « si compiace della verità » (1 Cor 13,6). Tutti gli uomini avvertono l'interiore impulso ad amare in modo autentico: amore e verità non li abbandonano mai completamente, perché sono la vocazione posta da Dio nel cuore e nella mente di ogni uomo. Gesù Cristo purifica e libera dalle nostre povertà umane la ricerca dell'amore e della verità e ci svela in pienezza l'iniziativa di amore e il progetto di vita vera che Dio ha preparato per noi. In Cristo, la carità nella verità diventa il Volto della sua Persona, una vocazione per noi ad amare i nostri fratelli nella verità del suo progetto. Egli stesso, infatti, è la Verità (cfr Gv 14,6).
Poi a nessuno è negato di avere una propria opinione, ma questa deve tenere conto della verità, anzi della Verità
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Non capisco come si possa ipotizzare una specie di timore riverenziale della Chiesa nei confronti di Berlusconi.
Quale timore referenziale?
Mons. Fisichella ha spiegato bene la situazione: (riporto per ulteriore chiarimento)
Arcivescovo Rino Fisichella la gente si chiede se il divieto è caduto tout court o se per lui la Chiesa ha fatto una eccezione? «Nessuna eccezione. Ci mancherebbe. La Chiesa non ha mai cambiato idea a tal proposito, i divorziati che si sono risposati una seconda volta civilmente, non possono accostarsi a questo sacramento. Era così ed è tuttora così, non è mutato niente».
E allora? «Se il presidente del Consiglio prima di accostarsi all’ostia consacrata era nella condizione di poterla prendere, vale a dire se si era prima confessato, nulla glielo vietava».
Il sacerdote che ha celebrato il rito funebre, non doveva rifiutarsi di dare l’ostia consacrata a un divorziato? «E perché mai?».
Tanto per cominciare, perché per la Chiesa, è collocato in una situazione irregolare.. «Facciamo subito un po’ di chiarezza. Il presidente Berlusconi essendosi separato dalla seconda moglie, la signora Veronica, con la quale era sposato civilmente, è tornato ad una situazione, diciamo così, ex ante. Il primo matrimonio era un matrimonio religioso. E’ il secondo matrimonio, da un punto di vista canonico, che creava problemi. E’ solo al fedele separato e risposato che è vietato comunicarsi, poiché sussiste uno stato di permanenza nel peccato. A meno che, ovviamente, il primo matrimonio non venga annullato dalla Sacra Rota. Ma se l’ostacolo viene rimosso, nulla osta».
In pratica, con la separazione dalla signora Veronica, il presidente Berlusconi è nelle condizioni di accostarsi alla comunione dato che non vive più in uno stato di permanenza di peccato, ho capito bene? «Esattamente».
Poi come ho già detto a nessuno, nemmeno alla Chiesa è dato di giudicare la retta coscienza di ognuno e solo Dio sa se è così e come dice la 1 lettera ai Corinzi: Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. (1Cor 11, 27-29) e allora se Berlusconi non è stato onesto con se stesso e ha dimostrato un falso pentimento, causa e ragione esssenziale ed unica perchè l'assoluzione sia valida, pagherà della propria falsità. Lasciamo a Dio quello che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare e non mettiamoci a fare i giudici supremi della vita degli altri. |
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