"Ci sono oggetti del quotidiano, del reale, che tutti i giorni noi usiamo e ai quali non facciamo più caso. Oggetti che sono il frutto di una ricerca tecnologica nata in origine per facilitare le attività umane, oggetti che come tutte le innovazioni da che mondo è mondo, sono stati accolti al loro ingresso sul mercato con estrema diffidenza. Pensate a quanti oggetti che facevano parte della nostra infanzia, oggi sono quasi considerati antiquariato. Eppure funzionavano… per esempio chi di voi non ha mai usato una penna con pennino e calamaio? Beh… ok, ho sbagliato esempio… comunque, a rigor di cronaca, poi arrivò la stilografica.. e poi la biro (o bic come comunemente la si identifica ancora oggi per il marchio). Ci sono le radio… quelle a transistors superarono quelle a valvole.
Il giradischi prima e lo stereo poi, rigorosamente con piatto e bilancino… e oggi anche il lettore mp3 si trova quasi superato dall’ipod. Ok … arriviamo a tempi più moderni: il telefono! Nato nei primi anni del secolo scorso, invenzione usurpata all’italiano Meucci dall’americano Bell, segnò il passaggio da una comunicazione rigorosamente scritta a quella verbale. E per oltre cinquant’anni questi oggetti rimasero fermi, quasi cristallizzati nella loro tecnologia semplice. Ricordate i telefoni a muro, con il disco? Quelli ai quali in caso di guasto si cambiava una molla ed un elastico?
Poi l’impennata. Nel giro di 25 anni, a partire dagli anni ’80, siamo passati dai primi cellulari con batterie a tampone, che si portavano in giro con una valigetta ed erano grandi come un walkie-talkie militare, alla miniaturizzazione totale. Ricordo che il primo che utilizzai si chiamava Butterfly… ma di sicuro non aveva il peso di una farfalla! Ma non è stata solo un’impennata tecnologica: ha trascinato con se una concezione dell’oggetto diversa. Oggetti diversi, dal cellulare all’auto, dal pc al notebook, sono diventati ovviamente emblema di uno status symbol (sostituendo quello che una volta era rappresentato dall’abito da una borsa in coccodrillo o da una pelliccia), un must, un segnale di chi si tiene al passo con i tempi, ma soprattutto hanno eliminato il concetto di RIPARAZIONE. Già, gli oggetti concettualmente moderni inglobano la capacità di autodiagnosi ma allo stesso tempo non sono riparabili. O almeno, la loro riparazione non è economicamente conveniente. Ecco il nuovo concetto di usa e getta, concetto esteso poi anche ad altri settori, come i piccoli elettrodomestici da cucina. E la tecnologia si è lanciata alla forsennata ricerca di oggetti sempre più sofisticati ma di uso semplificato, dall’utilità discutibile, creando il circolo vizioso del consumismo, aumentando il bisogno e sottraendo valori. Vita di corsa. Vita incapace di soffermarsi e guardarsi alle spalle.
Domenica scorsa mi sono incantata a vedere una bicicletta in legno, che faceva bella mostra in un jardin d’hiver della casa di campagna di un’amica. E con lei una miriade di altri oggetti che lì per lì ho fatto fatica ad identificare: c’erano vecchie bilance a stadera in ferro, bilance da negozio a doppio piatto con contrappesi da 10-100-500 gr., strumenti contadini come falcetti e roncole, vanghe e zappe, e il mio pensiero è immediatamente volato a quando bambina correvo in fondo alla via per andare a trovare un anziano signore che aveva un piccolo orto. Ricordo il pozzo con la pompa a mano per l’acqua… lui chino sulla terra per rincalzare gli zucchini… e poi, come magia, prendeva una piccola zappa, ed estraeva dal terreno una carota, la passava sotto l’acqua corrente e me la porgeva da mangiare.
Non mi sono sentita vecchia però.. non pensatelo nemmeno… mi sono sentita molto ricca. Ricca dentro per tutte queste esperienze. Ricca per aver conosciuto questi oggetti, ed aver visto la loro trasformazione nel tempo. Ricca per non essermi ancorata alla concezione del tempo che fu e aver accettato il progresso tecnologico ma ponendomi dei limiti: non oltrepassare mai la comprensione e la fruizione del mezzo.
L'inizio della storia della televisione può essere fatto risalire al 25 marzo 1925, quando l'ingegnere scozzese John Logie Baird ne diede dimostrazione nel centro commerciale Selfridges di Londra.
Televisione elettromeccanica
Nella dimostrazione di Baird, le immagini in movimento rappresentavano delle silhouette, avevano cioè solo due tonalità di grigio. La trasmissione a distanza di immagini in movimento con una vasta gamma di grigi, quelle che comunemente chiamiamo in bianco e nero, riuscì a realizzarla il 2 ottobre dello stesso anno 1925 . La trasmissione avvenne dal suo laboratorio alla stanza a fianco. Si trattava della ripresa di un viso di un giovane (William Taynton, il suo fattorino) che si era prestato per l'esperimento. La risoluzione verticale dell'immagine televisiva era di 30 linee e la frequenza delle immagini era di 5 immagini al secondo.
Il 26 gennaio 1926 Baird diede una nuova dimostrazione pubblica di televisione nel suo laboratorio di Londra ai membri del Royal Institution e alla stampa, appositamente convenuti.
Nel 1927 trasmise la televisione da Londra a Glasgow (700 km di distanza) attraverso una normale linea telefonica in cavo. Nel 1928 realizzò la prima trasmissione televisiva transoceanica, da Londra a New York. Sempre nel 1928 riuscì a trasmettere le prime immagini a colori.
La televisione di Baird fu in seguito definita televisione elettromeccanica perché l'apparecchio di ripresa delle immagini e quello di visione si basavano su un dispositivo elettromeccanico inventato il 24 dicembre 1883 da Paul Gottlieb Nipkow, il disco di Nipkow. Fu definita elettromeccanica per differenziarla dalla televisione elettronica inventata negli anni seguenti e tuttora utilizzata.
La televisione elettromeccanica era una televisione ancora ad uno stadio embrionale che si diffuse solo in alcuni Stati del mondo e in aree geografiche molto limitate. In Italia non si diffuse, fu solo sperimentata. Già nel 1939 fu completamente dismessa sostituita dalla televisione elettronica.
Televisione elettronica
La televisione elettronica fu realizzata per la prima volta il 7 settembre 1927 dall'inventore americano Philo Farnsworth nel proprio laboratorio di San Francisco. La definizione è dovuta al fatto che sia l'apparecchio di ripresa delle immagini che quello di visione erano realizzati con un dispositivo elettronico, il tubo a raggi catodici, inventato dal fisico tedesco Ferdinand Braun nel 1897. Questa tecnologia è quella tuttora utilizzata.
Il tubo a raggi catodici è stato sostituito negli apparecchi di ripresa (telecamera e videocamera) dal CCD, mentre negli apparecchi di visione (televisore, monitor e videoproiettore) si appresta ad essere completamente sostituito dalla tecnologia al plasma, a cristalli liquidi, OLED e altre ancora in fase sperimentale. La televisione in Italia
In Italia le prime prove di diffusione della televisione furono effettuate a partire dal 1934, e, nel 1949, ci fu già una trasmissione sperimentale dalla Triennale di Milano presentata da Corrado, ma il servizio regolare cominciò soltanto dal 3 gennaio 1954, a cura della RAI, in bianco e nero.
Il segnale arrivò su tutto il territorio nazionale tre anni dopo, il 31 dicembre 1956, e a quel momento gli abbonati erano ancora relativamente pochi - 360.000 - a causa del costo elevato degli apparecchi.
Dagli anni cinquanta la diffusione della TV crebbe a ritmi stupefacenti, come precedentemente accaduto sul mercato americano. In quegli anni la televisione era un bene di lusso che pochi italiani potevano permettersi, tanto che i bar o le case dei propri vicini diventarono luoghi prediletti per visioni di gruppo, soprattutto in occasione delle trasmissioni del primo e subito popolarissimo telequiz italiano, i primi pionieri furono Mario Riva con Il Musichiere, e Mike Bongiorno con Lascia o raddoppia?.
Verso la fine degli anni cinquanta anche la carta stampata si accorge del nuovo mezzo. Nasce la prima rubrica di critica televisiva: la tiene Ugo Buzzolan - già autore del primo originale televisivo (La domenica di un fidanzato) - su La Stampa di Torino.
Negli anni sessanta, con il progresso dell'economia, il televisore divenne accessorio di sempre maggior diffusione, sino a raggiungere anche classi sociali meno agiate; l'elevato tasso di analfabetismo riscontrato fra queste suggerì la messa in onda di Non è mai troppo tardi (1959-1968); un programma di insegnamento elementare condotto dal maestro Alberto Manzi e che, è stato stimato, avrebbe aiutato quasi un milione e mezzo di adulti a conseguire la licenza elementare.
Almeno nella fase iniziale la televisione italiana era una delle più pedagogiche al mondo. Le sue finalità erano certamente educative e se da un lato, non cercando il consenso dei telespettatori, era considerata soporifera, ha indubbi meriti nei confronti di una situazione di partenza di una nazione arretrata e culturalmente divisa. Non è solo una battuta umoristica dire quindi che, almeno a livello linguistico, "L'unità d'Italia non l'ha fatta Garibaldi, ma l'ha fatta Mike Bongiorno."
Anche le tappe successive dello sviluppo televisivo italiano indicano un ritardo rispetto agli altri Paesi europei: solo nel 1961 iniziarono le trasmissioni del secondo canale RAI e la terza rete tv arrivò tra la fine del 1979 e l'inizio del 1980 (come da riforma del 1975). Le trasmissioni a colori, iniziate in via sperimentale fin dagli anni '70, in particolare con la trasmissione delle Olimpiadi di Monaco nel 1972, che avveniva con diversi sistemi a giorni alterni in quanto proprio in quel periodo veniva dibattuta in Parlamento l'adozione del sistema di trasmissione tra i sostenitori del francese SECAM e quelli del tedesco PAL, inizieranno ufficialmente solo nel febbraio 1977 cioè circa 10 anni dopo rispetto ai paesi europei più sviluppati e soprattutto agli USA, principalmente per l'opposizione di alcuni personaggi politici (in particolare Ugo La Malfa) che temevano gli effetti devastanti sull'allora precaria situazione economica italiana dello scatenarsi della "corsa all'acquisto" del nuovo elettrodomestico (costoso e quasi sempre importato dall'estero) da parte delle famiglie italiane.
Fra poco sono 50 anni dall'ultima puntata trasmessa
Il Musichiere è il titolo di una celebre trasmissione televisiva RAI diretta da Antonello Falqui, andata in onda il sabato sera per novanta puntate, dal 7 dicembre 1957 al 7 maggio 1960.
Condotto dall'attore romano Mario Riva, Il Musichiere era un gioco musicale a quiz: i concorrenti, seduti su di una sedia a dondolo, dovevano ascoltare l'attacco di un brano musicale e, una volta riconosciutolo, precipitarsi a suonare una campanella a dieci metri di distanza per avere diritto a dare la propria risposta, accumulando gettoni d'oro per il monte premi finale. Il monte premi si conquistava indovinando il "motivo mascherato", eseguito all'apertura di una cassaforte che conteneva la vincita.
I motivi musicali erano eseguiti dall'orchestra di Gorni Kramer e da due cantanti: Nuccia Bongiovanni e Johnny Dorelli. Quest'ultimo fu poi sostituito da Paolo Bacilieri.
Ispirato a un format della NBC statunitense, intitolato Name That Tune, riscontrò un grande favore di pubblico grazie alla semplicità del meccanismo di gioco, ma soprattutto grazie alla facilità con cui tutti da casa potevano partecipare attivamente, avvalendosi soltanto della propria conoscenza del panorama musicale popolare, allora molto meno ramificato e complesso di quello odierno.
Negli affreschi delle tombe nella Valle dei Re, vediamo i Faraoni indossare gonnellini fittamente plissettati, come i nobili della civiltà minoica rappresentati in quelli di Santorini nelle Cicladi; pure le Cariatidi sfoggiano i kitoni, tuniche a pieghe perfette.
Ergo, anche i tessuti di 4000 anni fa venivano stirati.
Gli egiziani usavano un lisciatoio piatto di pietra che veniva passato a freddo sui tessuti immersi in una soluzione di acqua e gomma per formare la plissettatura.
I primi che usarono il calore furono i Cinesi che attaccarono lunghi manici in legno a fornelli detti bruciatori di profumo; erano in bronzo inciso di simboli beneauguranti, dragoni, fiori ecc: portafortuna che dovevano tutelare dalle inevitabili ustioni. Per le stoffe pesanti il ferro veniva riempito di braci, di sabbia calda per le sete sottili; il lavoro non poteva essere compiuto da una sola persona, ma bisognava essere in tre: due ai lati che tenevano steso il tessuto, e uno al centro che ci passava su il ferro.
A Roma 2000 anni fa esistevano già i funiculum, botteghe-lavanderia dove la stiratura delle pieghe era fatta a freddo con lo stesso metodo degli egizi: ma al posto della gomma i nostri antenati usavano un appretto probabilmente efficace ma decisamente disgustoso: acqua, sapone e pipì.
Più tardi vennero usate piastre in bronzo, anche loro munite di lunghi manici come i ferri cinesi, che però venivano riscaldate direttamente sul fuoco.
Nel 1200 dC in Olanda venne inventato il primo ferro dalla forma simile ai nostri; fatto a barchetta, il manico era posto sopra lo strumento solo che era in ferro pure esso e per afferrarlo bisognava indossare un guantone scomodissimo. Si scaldava ponendolo direttamente nei forni a legna di casa; strinava, più che stirare, e macchiava i tessuti di cenere.
Nel ‘400, grazie alla moda che imponeva vestimenta di tessuti pesanti quali damaschi, velluti, rasi, il ferro venne reso più pratico, con fornello interno riempito di braci o sabbia e il manico in legno per isolare dal calore.
Nell’800 negli USA comparve l’illuminazione a gas e così si crearono dei ferri da collegare direttamente al casalingo tubo del gas; però le esplosioni furono innumerevoli e le donne preferirono tornare ai vecchi ferri battuti pieni di carbonella.
Nel 1891 tal Henry Seeley brevettò l’Electric Flat Iron, il primo ferro con piastra che si scaldava elettricamente: l’idea era geniale ma non ebbe immediato successo visto che quel coso pesava quasi 7 kg, e stirare diventava un’impresa erculea, assai più faticosa del solito.
Però, perfezionata pian piano l’invenzione sostituendo materiali pesanti e ingranaggi interni troppo ingombranti, i ferri elettrici divennero d’uso comune.
Nel 1926 a New York nacque Eldec il primo ferro a vapore; ma anche lui all’inizio era talmente grosso e ingombrante, da venir utilizzato solo nelle lavanderie professionali.
Fu solo alla fine degli anni ’70 che i modelli vennero rimpiccioliti e utilizzati in massa da milioni di casalinghe riconoscenti.