Giulio Andreotti, uomo politico italiano fra i più conosciuti, amati ma anche fortemente discussi, è nato a Roma il 14 gennaio 1919. Riassumerne la vita è impresa disperante e difficile sia per l'enorme arco temporale che essa investe, sia per la quantità di esperienza che il curriculum del grande vecchio della politica italiana è in grado di vantare.
Ha praticamente dominato la scena politica degli ultimi cinquant'anni del XX secolo: sette volte presidente del Consiglio, otto volte ministro della Difesa, cinque volte ministro degli Esteri, due volte delle Finanze, del Bilancio e dell'Industria, una volta ministro del Tesoro e una ministro dell'Interno, sempre in Parlamento dal 1945, ma mai segretario della Dc.
Dopo essersi laureato in giurisprudenza nel 1941, specializzandosi successivamente in diritto canonico è presidente della FUCI già a ventidue anni ed eletto in seguito all'Assemblea costituente. Entra alla camera come deputato democristiano nel 1948 e viene rieletto anche nelle successive legislature.
Dopo la liberazione di Roma nel giugno del 1944 diviene delegato nazionale dei gruppi giovanili della Democrazia Cristiana e nel 1945 entra a far parte della Consulta Nazionale. Deputato dell'Assemblea Costituente nel 1946 è stato confermato in tutte le successive elezioni della Camera dei Deputati nella circoscrizione di Roma-Latina-Viterbo-Frosinone, dove è stato eletto per la dodicesima volta nel 1987. E' stato anche eletto per due volte al Parlamento Europeo (Italia Centrale e Nord-Est). Il giorno 1 giugno 1991 il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga lo nomina Senatore a vita.
L'attività di governo inizia a 28 anni come sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel quarto governo De Gasperi. Ricopre tale carica dal quarto all'ottavo governo De Gasperi tra il 1947 e il 1953 mantenendo tale incarico anche con il successivo governo Pella, sino al gennaio 1954. In seguito ricoprirà i già citati incarichi di governo: Interno, Finanze, Tesoro, Difesa, Industria, Bilancio ed Esteri.
Presidente dei deputati della D.C. dal dicembre 1968 al febbraio 1972, Giulio Andreotti ha presieduto per tutta l'ottava legislatura la Commissione Affari Esteri della Camera.
Diventa per la prima volta presidente del Consiglio nel 1972 (il governo più breve della Repubblica solo 9 giorni di durata). L'incarico gli viene affidato di nuovo nel luglio del 1976 nella stagione del compromesso storico tra DC e PCI. I comunisti si astengono e il monocolore democristiano può nascere. Ci sono da affrontare due drammatiche emergenze: la crisi economica e il terrorismo che insanguina l'Italia. L'accordo tra Enrico Berlinguer e Aldo Moro diventa sempre più stretto.
Quest'ultimo è presidente della DC ed è anche l'uomo che negli anni precedenti ha aperto le stanze del potere ai socialisti e adesso sta per tentare l'operazione con il PCI. L'occasione è il governo di solidarietà nazionale che nel 1978 Andreotti si accinge a formare e che prevede non più l'astensione bensì il voto favorevole anche dei comunisti (che però non avrebbero incarichi di governo).
Aldo Moro viene rapito dalle brigate rosse il 16 marzo, il giorno della nascita del nuovo esecutivo. La notizia dell'agguato e dell'uccisione degli uomini della scorta piomba in Parlamento proprio al momento del voto di fiducia al governo Andreotti.
Sono momenti di grande tensione nel Paese, sull'orlo di una crisi istituzionale senza precedenti. Il governo non cede al ricatto brigatista - chiedono la liberazione di alcuni terroristi in carcere - e Andreotti sposa la linea della fermezza contro le Br, così il PCI e i repubblicani. Aldo Moro viene trovato morto il 9 maggio 1978 in una Renault 4 parcheggiata in via Caetani, nel centro di Roma, simbolicamente a metà strada tra Botteghe Oscure e Piazza del Gesù, le sedi rispettivamente di PCI e DC.
La morte di Aldo Moro segnerà la vita politica italiana degli anni successivi. Francesco Cossiga, allora ministro dell'Interno, si dimette dall'incarico. I veleni legati al memoriale scritto dal presidente della DC durante il suo sequestro affioreranno in mezzo a storie di servizi segreti, ricatti e tragiche vicende che coinvolgeranno anche Giulio Andreotti.
Il governo di solidarietà nazionale dura poco, fino al giugno del 1979. Poi Berlinguer torna all'opposizione e dichiara finita la stagione del compromesso storico. Arnaldo Forlani diventa presidente del Consiglio e Andreotti non partecipa all'esecutivo; la sua temporanea uscita di scena dura fino al governo Craxi (1983), quando assume la carica di ministro degli Esteri.
Si tratta del primo esecutivo a guida socialista (in precedenza il primo non DC alla guida del Paese era stato il repubblicano Giovanni Spadolini). Bettino Craxi viene confermato a capo della Farnesina anche nel secondo governo e negli esecutivi di Fanfani, Goria e De Mita.
Esperto degli equilibri di geopolitica, Giulio Andreotti fa della distensione l'asse portante della politica estera italiana, insieme all'appoggio alla strategia atlantica. Ha un ruolo incisivo nelle tensioni medio-orientali, lavora alla composizione del conflitto Iraq-Iran, sostiene i Paesi dell'Est nel loro processo di democratizzazione e l'opera coraggiosa di Mikhail Gorbaciov in URSS, dà il sì italiano all'installazione degli euromissili della NATO. Gli anni '80 si chiudono con il patto di ferro con Craxi e Forlani (CAF, dalle iniziali dei tre): Andreotti sale a Palazzo Chigi e Forlani alla segreteria democristiana.
Nel 1991 Andreotti forma un nuovo esecutivo, l'ultimo perché la DC viene travolta dall'inchiesta di Tangentopoli.
Andreotti non entra nell'indagini, ma a metà degli anni '90 viene processato da due procure: quella di Perugia e quella di Palermo. I magistrati umbri lo accusano di essere il mandante dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli, il direttore dell'Op, ucciso il 20 marzo 1979 e che avrebbe ricattato Andreotti, tra l'altro, proprio per le verità del memoriale Moro.
L'11 aprile 1996 comincia il processo: dopo 169 udienze, il 24 settembre 1999 viene pronunciato il verdetto che lo assolve "per non aver commesso il fatto".
Ma un'altra accusa scuote l'imperturbabile Andreotti: quella di essere colluso con la mafia. La notizia fa il giro del mondo e, se provata, darebbe un duro colpo all'immagine dell'Italia: per cinquant'anni la Repubblica sarebbe stata guidata da un politico mafioso. Il 23 marzo del 1993 l'ufficio di Giancarlo Caselli inoltra al Senato la richiesta di autorizzazione a procedere per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo i magistrati Andreotti avrebbe favorito la mafia nel controllo degli appalti in Sicilia attraverso la mediazione di Salvo Lima. A riprova di ciò la testimonianza di alcuni pentiti fra cui Balduccio Di Maggio, che racconta agli inquirenti di aver visto Andreotti baciare Totò Riina (nel gergo mafioso il gesto significa che fra i due c'è un rapporto di conoscenza e stima reciproca).
Il 13 maggio 1993 il Senato concede l'autorizzazione: il dibattimento comincia il 26 settembre del 1995, i Pm chiedono 15 anni di reclusione. Il processo di primo grado si chiude il 23 ottobre 1999: Giulio Andreotti viene assolto perché "il fatto non sussiste", ma la Procura di Palermo decide comunque di ricorrere in appello.
Risolte le questioni giudiziarie, a oltre ottant'anni, il "Divo Giulio" ritorna in politica. Lascia il PPI e fa il suo rientro sulla scena con un nuovo partito fondato insieme all'ex leader della CISL Sergio D'Antoni e all'ex ministro dell'Università Ortensio Zecchino. Alle elezioni politiche 2001 la nuova formazione si presenta svincolata dai due poli e ottiene solo il 2,4 per cento dei voti non superando la soglia di sbarramento.
Il 30 ottobre 2003 Andreotti è stato assolto dalla Cassazione in via definitiva dall'accusa di essere stato il mandante dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli. Mentre la sentenza di primo grado (23 ottobre 1999) lo aveva assolto per insufficienza di prove, questa sentenza di appello, distinguendo il giudizio per i fatti fino al 1980 e quelli successivi, ha stabilito che Andreotti aveva «commesso» il «reato di partecipazione all'associazione per delinquere» (Cosa Nostra), «concretamente ravvisabile fino alla primavera 1980», reato però «estinto per prescrizione». Per i fatti successivi alla primavera del 1980 è stato invece assolto.
Autore di diversi libri che fotografano la storia del nostro paese, Andreotti ha conservato fino in tarda età una personalità brillante, intelligenza e acume politico, frutto delle esperienze che l'hanno visto perenne protagonista della vita politica italiana. Si è spento nella sua abitazione a Roma il 6 maggio 2013, all'età di 94 anni.