L’Esercito Italiano, senza una guida, è allo sbando. I tedeschi, sentendosi traditi, occupano i punti nevralgici delle città italiane e fanno più di 700 mila prigionieri tra i soldati di ritorno dal fronte.
Le donne a questo punto assumono un compito fondamentale: ogni famiglia accoglie, sfama e nasconde dissidenti di ritorno o in partenza per le montagne.
La guerra è entrata nelle case.
Il giorno dopo l’armistizio, a metà della guerra quindi, i partiti antifascisti compongono a Roma il Comitato di Liberazione Nazionale e ciascuno di essi forma le proprie milizie partigiane, a cui si uniscono anche molte donne.
Interessante è il documentario “La donna nella resistenza” di Liliana Cavani (1965).
La “Resistenza civile”, così come è stata denominata, ha quindi ufficialmente inizio. Mentre gli alleati risalgono faticosamente l’Italia, le donne della penisola aiutano la Resistenza, si spingono a seppellire e lavare i corpi dei caduti partigiani anche a rischio della pena capitale, ma soprattutto assumono il rischiosissimo ruolo di staffette, come ci racconta Tina Anselmi in un’intervista molto affascinante del 2005: “Il lavoro che eravamo chiamate a fare era un compito impegnativo ma che non doveva assolutamente essere pubblicizzato... Io avevo come compito quello di portare messaggi, materiale, avvisare se c'erano tedeschi in zona e questo compito poteva essere molto pericoloso.
Un giorno il mio capitano mi ha detto "Guarda che se ti trovano con questo materiale tu devi pregare Dio che ti ammazzino subito", perché quello che facevano soprattutto con le donne, che venivano non solo torturate come gli uomini, ma sulle quali si infieriva soprattutto da un punto di vista del sesso...” .
Si organizzano i Gruppi di Difesa della Donna volti a coordinare il lavoro delle staffette e il boicottaggio della produzione bellica. Gli scioperi non potevano essere una soluzione: le donne, alla fame, necessitavano di una paga, ma sabotare gli armamenti rendendoli malfunzionanti o inutilizzabili già in fabbrica era un modo per salvare gli uomini che militavano tra le montagne.
Le staffette invece sono una risorsa fondamentale per la sopravvivenza dei partigiani durante il freddo inverno: le donne portano cibo, abiti caldi, cure mediche ma anche armi, oggetti necessari ai combattimenti e soprattutto notizie tra i vari gruppi combattenti.
Le famose donne di montagna diventano parte attiva della lotta partigiana: come gli uomini, le donne sono parimenti utili, parimenti coraggiose e parimenti uccise e torturate dai nemici.
Il 4 giugno 1944 gli alleati liberano Roma e a fine agosto riescono a giungere a Firenze.
La liberazione sembra ormai alla fine ma l’esercito tedesco si barrica sulla linea gotica, che va da Rimini a Pisa, e appoggia il ritorno di Mussolini.
È in questo momento che le bande partigiane si trasformano in un vero e proprio esercito, nonostante i rastrellamenti tedeschi non lascino tregua in nessuna città. È proprio sotto la pressione dell’esercito alleato che, poco prima della liberazione di Roma, i tedeschi commettono uno dei più famosi e crudeli crimini della storia: l’eccidio delle Fosse Ardeatine. Per vendicare un attacco partigiano, le truppe tedesche fucilano alle fosse 10 civili italiani per ogni caduto tedesco, sono 335 gli innocenti fucilati, 5 in più del previsto.