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General: POESIA
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De: Claretta (Mensaje original) |
Enviado: 22/12/2010 01:41 |
Chiome d'argento fino, irte e attorte
senz'arte intorno ad un bel viso d'oro;
fronte crespa, u' mirando io mi scoloro,
dove spunta i suoi strali Amor e Morte;
occhi di perle vaghi, luci torte
da ogni obietto diseguale a loro;
ciglie di neve e quelle, ond'io m'accoro,
dita e man dolcemente grosse e corte;
labra di latte, bocca ampia celeste;
denti d'ebeno rari e pellegrini; inaudita ineffabile armonia; costumi alteri e gravi: a voi, divini
servi d'Amor, palese fo che queste son le bellezze della donna mia.
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lesto - fante = bersagliere
pigro - fante = ??? |
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Di passaggio al Bar Marika di Piazza del Carmine, ho chiesto lumi a Gaitanin il Catanese sui MAMMALUCCHI. Così egli mi rispose:
Lu mammaluccu è lu membru di na casta di schiavi turchi, trasfurmàtasi appoi 'n riulari milizzia, c'assumìu granni putiri nta l'Eggittu dû Ducentu a l’Ottucentu, quannu fu scunfitta di Napuliuni Bonaparti.
A li voti, la palora siciliana mammaluccu poti significari "Tebbru".
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De: Tebro |
Enviado: 22/12/2010 12:52 |
Preferisco le tue rughe, Filinna
al fiore di tutta la giovinezza:
amo tenere fra le mie mani i tuoi seni tremolanti in punta,
piuttosto che i seni tutti ritti di una ragazzina.
Il tuo crepuscolo vale più della sua primavera
il tuo inverno più caldo dell'estate di altre.
ma come se fa? ma come se fa a non considerà sto cojone, che ha scritto sta strunzata, solo un cojone? Ma questo non è un cojone! ma:
un emerito cojone!
Perché? ma perché è facile intuire, che in vita sua ha fatto solo il mammo! Questo è un succube e perdippiù un buciardo! de sicuro cià er pisellino piccolo. Lei, me lo immagino, nell'ascoltarlo mentre gli declama la sua falsa sviolinata, senza dirlo gli avrà detto: mavvaffanculo!
Ehi, silenziario, ascolta un amico: ma perché prima de scrive non butti la penna e prima de parlà non te stai zitto?
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...Insomma, la volete capire o no? Poesie come Dio comanda ne scrive soltanto Tebruccio; tutti gli altri sono dei dilettanti ma anche dei coglioni.
E ci vuole un bel coraggio a postare poesie altrui proprio qui, dove Tebruccio alberga.
Oh! |
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De: skikko |
Enviado: 22/12/2010 20:36 |
La via mi stordiva e mi urlava intorno. Alta, esile, lutto sontuoso di un grande dolore, Una donna passa, fasto della mano Nel mostrare lo smerlo, ricamo ondeggiante. Agile e nobile, la sua gamba di statua. Io, viso contratto degli stravaganti, bevo Nel suo occhio, cielo livido dove l’uragano addensa, Nettare che affascina e piacere che uccide. Uno squarcio...poi la notte! - Beltà che fuggi Il tuo sguardo d’un tratto mi fa rinascere, No ti rivedrò che nell’eternità ? Lontano da qui, chissà dove! Tardi ! Mai forse! Ignoro dove fuggivi, non sai dove io vada O tu che avrei amato, tu, lo sapevi! |
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De: Tebro |
Enviado: 22/12/2010 21:46 |
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Io dedico questa canzone ad ogni donna pensata come amore in un attimo di libertà a quella conosciuta appena non c'era tempo e valeva la pena di perderci un secolo in più.
A quella quasi da immaginare tanto di fretta l'hai vista passare dal balcone a un segreto più in là e ti piace ricordarne il sorriso che non ti ha fatto e che tu le hai deciso in un vuoto di felicità.
Alla compagna di viaggio i suoi occhi il più bel paesaggio fan sembrare più corto il cammino e magari sei l'unico a capirla e la fai scendere senza seguirla senza averle sfiorato la mano.
A quelle che sono già prese e che vivendo delle ore deluse con un uomo ormai troppo cambiato ti hanno lasciato, inutile pazzia, vedere il fondo della malinconia di un avvenire disperato.
Immagini care per qualche istante sarete presto una folla distante scavalcate da un ricordo più vicino per poco che la felicità ritorni è molto raro che ci si ricordi degli episodi del cammino.
Ma se la vita smette di aiutarti è più difficile dimenticarti di quelle felicità intraviste dei baci che non si è osato dare delle occasioni lasciate ad aspettare degli occhi mai più rivisti.
Allora nei momenti di solitudine quando il rimpianto diventa abitudine, una maniera di viversi insieme, si piangono le labbra assenti di tutte le belle passanti che non siamo riusciti a trattenere.
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De: Tebro |
Enviado: 22/12/2010 22:12 |
a una passante
secondo me è dura spacciarla per poesia. Se per poesia si intende una sequela di parole che, con un immaginario filo ininterrotto, si intrecciano tra di loro componendo, con il loro intreccio: ritmo, suono, melodia, canto. Rispettando quindi, le ferree leggi che appunto, pretende la poesia.
Questa a parer mio è prosa. Molto bella, elegante, d'altronde... l'autore, ma facilmente componibile da chi ne abbia propensione e sia mediamente acculturato. |
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De: Tebro |
Enviado: 22/12/2010 22:18 |
le passanti
vale il quanto sopra |
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De: Tebro |
Enviado: 22/12/2010 22:24 |
uguale ar picchio rosso
all'opra addosso a un gerso
io scavo in petto a me
un ora un giorno un secolo finché
da la scorza der core
pesco un verso.
m dell'arco
mentre de sopra se dispanne l'eco
d'un monno ar chiodo dentro un mar de latta
de ne città che ringhia arota l'ogna
azzanna l'aria e t'arma un quarantotto
io
de sotto
come un corsaro a prua de na paranza...
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Ma te sei molto... come se dice? Più espreSivo de Boddelère, a Te', guarda che ce lo sapemo. | |
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trattasi di Pietro Bembo, il petrarchesco poeta delle parodie
sua la prima Gramatica si lingua volgare, stampata da Manunzio, nella Venezia cinquecentesca, capitale del commercio, della navigazione e della editoria
io non ho i capelli bianchi, è una anomalia genetica, ereditata da mio padre e forse da un bisnonno tartaro, niente calvizie e niente canizie, a me piacerebbe avere i capelli argentei, ma non mi sembra il caso di tingerli adesso, visto che non l'ho mai fatto
la donna della poesia non mi assomiglia per niente, ma nemmeno mio marito assomiglia a Pietro Bembo
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De: Tebro |
Enviado: 23/12/2010 08:09 |
Chiome d'argento fino, irte e attorte
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Chiome d'argento fine, irte, ed attorte senz'arte intorno ad un bel viso d'oro; fronte crespa, u' mirando, io mi scoloro, dove spunta i suoi strali Amore e Morte; occhi di perle vaghi, luci torte da ogni obbietto disuguale a loro; ciglie di neve; e quelle, ond'io m'accoro, dita e man dolcemente grosse e corte; labra di latte; bocca ampia celeste; denti d'ebeno, rari e pellegrini; inaudita, ineffabile armonia; costumi alteri e gravi; a voi, divini servi d'Amor, palese fo che queste son le bellezze de la donna mia.
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Autore: F. Berni (Lamporecchio,1497 - Firenze, 1535). Note: Poeta satirico nella poesia ricama il profilo di un mostro. Il sonetto è ispirato da un evidente intento parodistico nei confronti dell'imperante petrarchismo. Nelle sue rime il poeta ribalta infatti il verso "Crin d'oro crespo e d'ambra tersa e pura". | |
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Pietro Bembo, ironia della sorte, è quel dottissimo cardinale veneziano che scrisse le "Prose della volgar lingua", sostenendo che i modelli da seguire per un letterato italiano erano il Boccaccio per la prosa e il Petrarca per la poesia.
Visse a cavallo tra il '400 e il '500, e le sue idee ebbero uno straordinario successo da subito, imponendo l'uso del toscano letterario agli scrittori di tutta la penisola, dando quindi una soluzione univoca alla cosiddetta "questione della lingua".
Da cinquecento anni o quasi l'uso di dialetti o lingue regionali in Italia (almeno tra le persone colte) è stato marginalizzato, limitandosene l'area di applicazione al teatro ed alla poesia (dove pure se ne sono serviti autori di straordinaria importanza, vedi Goldoni, Porta, Belli, Di Giacomo, De Filippo ecc. ed altri scalcagnatissimi epigoni il cui nome la mia penna si rifiuta di scrivere).
Non troveremo mai - per colpa del Cardinal Bembo - un trattato di tecnica bancaria in genovese, un manuale di fisica in romagnolo o un trattato di astronomia in calabrese: magari per qualcuno è un vero peccato! |
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De: skikko |
Enviado: 23/12/2010 13:01 |
nu sistema solari esti comu na cipuddha
o centru nu suli, na stiddha fatta i plasma ruenti. intra a stiddha pi questioni i fusioni nuclari ci su atomi i idrogenu ca diventanu eliu
stu fattu faci i na manera chi i na vanda manna caddu e ill'atra cria nu campu magneticu i gravitaziunali ca teni 'mbiddati autri sistemi i materia ca kiaminu pianeti...
ahahahahah eppure non verrebbe male un trattato di astrofisica in calabrese |
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