me tocca annà a comprà un bandierone. Non so, nelle altre città, ma, in occasione dei 150 anni dell'unità d'Italia, a Roma, tra il 16 e il 17 marzo, ogni romano esporrà alla finestra, il tricolore. E' una iniziativa incredibilmente meritevole e significatica. Lo confesso, de sicuro al vedé tutte le finestre de Roma imbandierate, m'emozionerò. M'emozionerò, come m'emoziono quanno sento l'inno de Goffredo Mameli.
Si, me tocca annà a comprà un bandierone! Perché davvero non vojo mancà a st'appuntamento.
Le finestre imbandierate de Roma e speriamo de tutte le città italiane, dimostreranno ancora una volta, che l'Italia è una, e indivisibile.
I poeti provenzali rifugiatisi presso Federico II componevano certo in provenzale, ma più che la loro lingua fu la loro metrica ad influenzare la scuola siciliana, la quale si espresse nelle parlate locali. Le parlate sicule rimasero sostanzialmente tali e quali. Un indizio lo può dare, per esempio, la mancata trasformazione delle 'i' e 'u' brevi latine rispettivamente in 'e' ed 'o' chiuse, fatto che invece è avvenuto nel toscano (e che vale anche per l'italiano ufficiale); fatto tuttora presente nei due idiomi. Ma questo, ripeto, è soltanto un esempio.
Poi, vabbe', come è noto non ci sono lingue impermeabili: tutte, quale più quale meno, assumono termini stranieri. Ma lo ha fatto anche Dante nella Commedia: ha adoperato tutti i vocaboli che aveva appreso 'a orecchio' a Firenze più quelli 'esterni' che però bene o male avesse visto scritti da qualche parte, che insomma avessero almeno questo minimo crisma letterario.
La penetrazione in Italia dell'occitano è un fatto anche attuale, ma limitato a qualche zona del nord-ovest. Se è per questo a nord-est si parla sloveno: possiamo per questo dire che lo sloveno penetra in Italia? Idem per il tedesco dell'Alto Adige.
No, non confermo, o Cla. Saranno posizioni personali, ma ti ripeto che tanto valevano le differenze tra Bucarest e Madrid quanto quelle tra diverse zone d'Italia. Poi, dai, non c'è bisogno di grande sforzo di immaginazione: pensa a un valligiano ligure, o della Valcamonica, che parla con un Calabrese della Sila o con un Salentino, ciascuno nel proprio dialetto. Ma dico adesso, mica quella volta. Quale italianità? Un numero enorme di adattamenti, di continuazioni del latino ('derivazioni' non è un termine esatto secondo qualcuno).
Poi, d'accordo, la contiguità geografica, se vogliamo la stessa conformazione dell'Italia (e neanche troppo, visto che la penisola è divisa in due dalla dorsale appenninica), hanno contribuito a creare un qualcosa di comune, ma poca roba. Una koinè linguistica la possiamo trovare nel cosiddetto 'cortigiano', una specie di lingua che era nata tra vari abitanti dello Stivale che viaggiavano, scambiavano quindi discorsi con genti di altri luoghi, e che insomma bene o male parlavano in maniera comprensibile ai loro interlocutori parigrado, cioè a persone che come loro viaggiavano in lungo e in largo.
L'italiano è una lingua costruita a tavolino ad opera di letterati quali Dante, certo, il Manzoni, prima di lui il Bembo, e mi perdonino quelli che non menziono; ossia, non che la abbiano costruita: loro secondo me hanno più che altro dettato i canoni. Del resto, ben l'adoperava Pietro Aretino; anche Benvenuto Cellini, per quanto noto più come orafo e scultore che come linguista (e infatti non lo era, i suoi allettanti scritti sono presi come esempio del 'come funzionava'); anche Iacopone da Todi lo si capisce bene, e anche quel matto di Cecco Angiolieri. Ma tieni conto che si tratta di gente che aveva studiato, e la loro lingua era patrimonio comune di pochi eletti.
Sloveni e Croati erano e sono tutt'altro discorso. A differenza di noi Latini, che siamo riguardo alle lingue straniere un po' come un mio amico Poeta che ancora crede a Roma caput mundi e che di conseguenza si esprime, si direbbe che loro hanno ancora un pregio 'barbarico' nel DNA: la voglia di imparare. A questo va aggiunto il fatto che sono stati sotto Venezia per secoli. Mettiamoci anche che gli Sloveni sono due milioni e i Croati neanche cinque, quindi, come anche gli Ungheresi che sono una decina di milioni, tutti costoro sanno perfettamente che senza almeno una lingua straniera non esci di casa. Ma questo a me sembra un aspetto secondario a confronto della secolare convivenza con i Veneziani, dalla quale deriva la consuetudine, ancora viva oggi, di imparare entrambi gli idiomi senza neanche starsi a chiedere il perché. Questo, comunque, sulla costa; se vai a Maribor magari parlano tedesco, sia perché lo hanno studiato e (non perché sia la loro madrelingua come per certi aspetti potrebbe esserlo per i costieri l'italiano), sia perché il loro dialetto presenta aspetti simili, sia perché si sentono portati verso quelle contrade.
I tuoi scritti sono molto istruttivi, o Peter...anch'io a volte scopro cose interessanti, che non sapevo. In questo modo, un forum virtuale arricchisce che vi partecipa...a parte chi non ha voglia di imparare.
Non resisto a non far ri-ascoltare a Claretta - e a chi piace - il cantante di lingua occitana, Sergio Berardo
Sono istruttivi anche per me, o Hani, dato che devo richiamare alla memoria nozioni che ho studiato 'qualche' annetto pha, e dato che quando sono incerto devo andare a controllare (e tuttora posso sbagliare, non sono il Padreterno, comunque diciamo che ce la metto tutta): buon esercizio, degno de La Settimana Enigmistica.
Che tra l'altro distingue le persone vogliose di imparare da coloro che si arroccano su prese di posizione indimostrabili o che, altrettanto presuntuosamente, qualificano come robaccia ciò che è fuori dalla loro portata (ogni riferimento a nick qui presenti è puramente casuale... ehm...).