|
General: Che stranezza
Elegir otro panel de mensajes |
|
Io credo che certe cose succedano solo in Italia.
Sono mesi che sui giornali non si fa altro che dare notizie di suicidi: suicidi di lavoratori che hanno perso il posto di lavoro, suicidi di imprenditori strozzati dalle banche e sull'orlo dei fallimento, suicidi di poveri cristi messi in croce da Equitalia.
Avere dei debiti per molti è ancora una vergogna insostenibile... o forse il pensiero di perdere tutto ciò che possiedi - o soltanto la certezza di un brutale ridimensionamento del tenore di vita - fanno sì che proseguire il cammino in questa valle di lacrime diventi intollerabile.
Ma non è questo il punto. Il punto è che avere dei debiti non è un reato, non si va in galera per debiti... Mentre invece il furto, la concussione, la corruzione sono dei reati... per i quali, se si è condannati, si va in galera.
Ora ditemi voi se avete notizia di un qualche politicante ladro e corrotto, accusato o condannato, che si sia tolto la vita. Io ricordo che si tolsero la vita venti anni fa, ai tempi di Tangentopoli, alcuni (pochi) esponenti di secondo piano della DC e del PSI. Oggigiorno gente come Lusi o Belsito, che hanno fatto sparire milioni di euro, non pensano neanche lontanamente al suicidio... è più facile che si impicchi l'artigiano che ha ricevuto una cartella da 40.000 euro da Equitalia...
Non vi pare una stranezza? |
|
|
|
De: Ramarra |
Enviado: 08/07/2012 21:56 |
Tanzi ha sparpagliato molto dei suoi soldi nella politica. Spesso la grande industria frequenta la politica. O forse dovrei dire che è la politica a frequentare la grande industria. |
|
|
|
E' vero che Tanzi è stato un uomo organico alla Dc e - da ultimo - un burattino nelle mani del banchiere Geronzi...
... ma anni fa avrà avuto il suo bel tornaconto a baciare l'anello ai monsignori ed il culo ad Andreotti...
...ciò non toglie che non tutti gli imprenditori, grandi o piccoli che siano, intrallazzano con la politica nel gioco perverso della corruzione / concussione (non si sa mai chi ha comiciato, come la storia dell'uovo e della gallina...)
...il rimprovero più grande che gli muovo (a mister Parmalat) è di essere ancora al mondo dopo tutto il danno che ha combinato: per me è una merda e basta. |
|
|
|
l'accumulo di "roba" non fa parte della mentalità del piccolo imprenditore
senza disponibilità di metterla a rischio non si può fare impresa
non si può proprio nemmeno fare artigianato
l'investimento iniziale è già un rischio, comperare macchinario non è mettersi
in casa roba, tra il comperare un braccialetto e il comperare un casco da parrucchiere
sta la differenza tra la volontà di accumulo proprietario e l'investimento a rischio d'impresa
l'imprenditore accende ipoteche su tutte le sue proprietà immobiliari e vende tutto ciò che ha,
prima di rinunciare a una impresa nella quale continua a credere
finchè trova credito continua ad indebitarsi per investire nella sua impresa, pur di salvarla è
disposto anche a venderla ad una cifra che non riesce nemmeno a coprire il suo indebitamento,
sempre ammesso e non concesso che possa riuscirci
e guardate che tutto il progresso dipende dalla disponibilità ad affrontare il rischio d'impresa,
anche da parte degli stati, non solo da quella dei privati
senza spirito imprenditoriale non ci sarebbe stato neppure il progresso che i frati certosini hanno
creato nel medioevo
solo se esiste lo spirito imprenditoriale si può parlare di plusvalore e di lotta di classe, ma se
nessuno, stato o privato, individuo o collettivo, è disposto ad assumersi il rischio d'impresa non
può esserci nessun progresso, neanche quello culturale
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
in Italia il 93% della attività imprenditoriale è fatta da piccoli e medi imprenditori, che non raccolgono
capitali in Borsa e debbono dare garanzie personali per ottenere credito dalle banche o dalle finanziarie
il che significa perdere il possesso effettivo dei beni immobili e di ogni altro bene che possa avere
funzione di garanzia per il credito che si vuole ottenere
di converso il 7% costituito dalle "grandi" imprese, quotate in borsa, riceve ogni anno 35 miliardi di
finanziamenti statali, inoltre ha tali e tante quote di partecipazione nelle banche e nelle finanziarie che
riesce a speculare anche sul credito che ottengono i piccoli e medi imprenditori
e possedendo anche i media riesce a influenzare la politica a proprio esclusivo vantaggio, e a scapito
dei soliti "peones" piccoli e medi che arrancano sotto il peso del loro parassitismo
i grandi imprenditori non possiedono quasi nulla, possiedono solo quote societarie "riconducibili" a
loro, ma bisogna provare che lo siano e loro hanno i mezzi per rendere impossibile provarlo
Tanzi era un borderline in questa categoria, e anche Berlusconi non è perfettamente integrato, sia l'uno
che l'altro si sono messi in gioco personalmente, esibendosi come "proprietari"
non si può fare, il sistema non funziona così, Tanzi non lo ha ancora capito, Berlusconi sì, ma se ne
frega perchè lui gioca in grande e lancia direttamente la sfida al sistema
Gardini e Caliari sono stati è stato i volontari capri espiatori che hanno permesso al sistema di sopravvivere
alla buriana
quanto fosse volontario non si sa e non lo si saprà mai, comunque il loro sacrificio è stato perfettamente
funzionale al sistema
che di imprenditoriale e di politico ha solo il logo, perchè si tratta unicamente di parassitismo sistemico,
che da 150 anni tiene prigioniera la economia italiana di signorie feudatarie che, se anche non fanno parte
della massoneria, ne hanno comunque tutte le caratteristiche
______________________________________________________________________________________________
ma per favore evitiamo i luoghi comuni sulla cultura del lavoro, che ridurrebbe i piccoli imprenditori nordici
a dei trogloditi che si suicidano quando gli viene portata via la Porche !!
cerchiamo piuttosto di ricordare che qui da noi non c'è mai stata, nè mai ci sarà, la fiducia che ha fatto dire
al mugnaio di Postdam : "ci sarà pure un giudice a Berlino"
perchè Roma non è Berlino
|
|
|
|
Il tema suicidio non può essere trattato come un gesto di pura disperazione, di fallimento umano, di morte sociale. E' un fatto molto più complesso, tanto complesso quanto la mente umana.
A monte di un suicidio c'è un malessere. Credo sia anche un'estrema richiesta di aiuto, l'espressione del bisogno di mettere a tacere sofferenza e disagio perché da soli non si riesce o non si può dare una risposta. Se ne deduce che, per paradosso, ci si liberi della vita per rinascere, non si ama "questa" vita, ma si aspira ad una vita migliore.
In effetti, io penso che , a monte di un suicidio ci sia sempre un grave disagio psichico, disagi che provengono dalle più disparate motivazioni.
Ho letto che il suicidio è stato diviso in quattro tipi collegati ai gradi di integrazione e regolamentazione sociale: egoistico, altruistico, anonimo e fatalista.
I suicidi di cui si parla in questo thread mi sembrano dimostrativi, cioè atti di estrema protesta.
Seneca stesso, affermò che il saggio, piuttosto di compromettre la sua integrità morale deve essere pronto all'extrema ratio del suicidio. In un' etica che definiva il suicidio come atto di viltà.
Lo stoico asseriva invece che, dopo aver compiuto la parte che il fato gli aveva assegnato, poteva decidere di uscire dalla vita. Visioni diverse si hanno con l'influsso del Cristianesimo.
Giacomo Leopardi fa una distinzione su quelli che potevano essere i motivi di suicidio per le genti del passato e quelli della sua epoca. Dice che gli antichi si uccidevano “per eroismo per illusioni per passioni violente”; mentre i suoi contemporanei lo fanno perché sono “stanchi e disperati di questa esistenza”. Sostiene che il suicidio non può essere considerato un atteggiamento folle, ma al contrario la conseguenza di un logico ragionamento di una fredda analisi razionale. Nonostante il suo pessimismo cosmico definisce il suicidio "la cosa più mostruosa in natura”.
Secondo Schopenhauer l'obiettivo per liberarsi dal dolore dell'esistenza è superare la volontà di vivere, ma non attraverso il suicidio, il quale non è una soluzione ma una delle massime manifestazioni della volontà di vivere. Schopenhauer sostiene che proprio perché si ama troppo la vita e non la si vuole vivere in una condizione sgradevole ci si libera con il suicidio.
|
« Il suicida vuole la vita ed è solo malcontento delle condizioni che gli sono toccate. » |
|
|
|
|
Il piccolo e il medio imprenditore, sono d'accordo, sono la spina dorsale dell'economia italiana e contemporaneamente i testicoli (per rimanetre sulla metafora anatomica) cui vengono mollati i migliori calci sotto forma di burocrazia soffocante, di tassazione iniqua, di credito da usurai. I grossi imprenditori, invece, senza neanche bisogno di scendere dal loro yacht intestato alla solita società offshore con una telefonata scroccano milioni per cassa integrazione o quel che vuoi (paga Pantalone).
Però, o Cla, se sarò stato io riduttivo nel dire, in sintesi, che il Padano si suicida perché gli portano via la Porsche, d'altra parte tu mi stai quasi paragonando il piccolo imprenditore a una specie di cavaliere medioevale che parte alla ventura in cerca di donzelle da salvare e di draghi da uccidere.
Il macchinario va acquistato, sennò come fai a lavorare? Ma lo si acquista a rate, i più svegli almeno una volta lo prendevano in leasing, così lo cambiavano senza sforzo quando diventava obsoleto; ma quale poesia vedi nel tutto? Sono atti dovuti, altrimenti, ripeto, non si lavora.
Il rischio d'impresa, anche questo non mi sembra da pagine di Sturm und Drang, bensì mi sembra voglia di fare più quattrini. Che questo come effetto di ricaduta comporti una forma di progresso sociale, nel senso che suggerisce una nuova lettura del lavoro e dei rapporti interni ad esso, e nel senso che responsabilizza maggiormente i membri (di nuovo anatomia!) di quella parte di società, sono d'accordo. Come anche va rilevato che è figlio dell'ambiente circostante: vedo i miei due cugini nel vicentino, fossero nati a Roma probabilmente avrebbero fatto i dipendenti a vita. Ma cercare di cavarne della poesia secondo me equivale a cercare di cavarne dalle bestemmie del bracciante agricolo che quel giorno deve spalare venti metri cubi di letame: andate a raccontare a lui della sana vita agreste e dei saldi princìpi morali che questa comporta.
Il tutto per dire che forse, e dico forse, e dico anche se ne avessero avuto la possibilità, taluni avrebbero potuto pensare anche ad altri aspetti della vita che non fossero la 'fabrichèta': sennò hanno ragione i Romani quando dicono 'Noi lavoriamo per vivere; al Nord vivono per lavorare'. Mi sono capito? |
|
|
|
mi fai venire in mente la poesia che in prima elementare i figli della lupa e le piccole
italiane dovevano imparare a memoria :
Il poeta è un grande artiere , che al mestiere fece i muscoli d’acciaio: Capo ha fier, collo robusto, nudo il busto, duro ll braccio, e l’occhio gaio.
poi ci sarebbe anche Marinetti, che potrebbe avere qualcosa da dire sul fatto che il
lavoro non sia poesia e che la poesia non sia lavoro
non è sbagliato dire che al nord si vive per lavorare, ma sarebbe più giusto dire che
si vive per il fare
o almeno così era quando al nord abitavano i nordici e chi pensava che nel fare stesse
il senso della vita
costruttore o educatore, ma sempre nel fare sta il senso della vita per i nordici
c'è una chiesetta del 1400 nel paese dove vivo, è al bivio tra Villa Cusani e Villa Borromeo,
ossia sul confine tra quelle che erano due immense tenute
la chiesetta è poco più di una cappella, i banchi sono solo una dozzina, ma è da lì che è
nato il paese
da lì perchè lì dentro il parroco faceva scuola ai figli dei braccianti agricoli
il calendario scolastico e gli orari di lezione erano dettati dalle necessità delle famiglie di
farsi aiutare dai bambini nei lavorare i campi
(la parola proletariato nasce proprio da questa necessità, non dimentichiamolo)
in quella chiesetta don Albertario fece nascere nei figli dei braccianti e delle operaie filandiere,
lo spirito cooperativistico
che non avrebbe potuto nascere, se non fosse stato il fare il senso da dare alla vita per la gente
padana
in Sicilia ci furono storie di questo tipo, a Roma no
sono convinta che per i siciliani il fare sia importante quanto per i padani, ma mentre per i padani
il "mettere fieno in cascina" significa investire sul lavoro, per i siciliani significa possesso di "roba"
la provvista di fieno è garanzia contro le avversità atmosferiche, il possesso di "roba" è egocentrismo
non c'è progresso sociale se il fare si focalizza sul possedere
non c'è nemmeno se si focalizza sul possesso della cultura e delle opere d'arte
non c'era progresso sociale nella Roma dei papi e delle famiglie principesche, malgrado la magnificenza
delle opere d'arte che la città poteva vantarsi di possedere
potrei parlare di come il popolo milanese si organizzò per pagarsi la costruzione del Duomo e di
come si organizzò per il trasporto via fluviale delle pietre necessarie a costruirlo
dopo di che sfiderei chiunque a dire che i padani sono grezzamente e rozzamente materialistici
a parte che i romani dimenticano di cosa è stata capace la Serenissima: nei secoli in cui Roma era
ancora immersa nell'oscurantismo feudale del medioevo, Venezia già stampava i libri
|
|
|
|
La citazione romanesca, o Cla, era una battuta e basta: dovresti sapere in qual conto tengo i Romani, no? E ti do tripla ragione quando dici che Roma è stata riempita di opere d'arte ma che questo non ha significato alcun progresso per i suoi abitanti, che tangheri inside erano e tali sono rimasti.
Sul 'fare' dei Nordici c'è poco da discutere, proprio perché è lo stesso Nordico che poco discute e molto fa. E personalmente mi trovo molto d'accordo con questo modo di essere - mica sarò veneto-istriano per nulla, no?
Quello che però è un dato di fatto è la scarsa preparazione in, diciamo, discipline umanistiche: qui non si andava molto a scuola, a quattordici anni tutti in fabbrica e a diciotto compra casa. E non è bene neanche questo, lo sai. Ossia, se tutto nella vita è finalizzato all'arricchimento personale e, per ricaduta, al benessere collettivo, va bene; se pensiamo che l'uomo è o dovrebbe essere anche spirito, be'... |
|
|
|
no, contesto anche il fatto che tutto sia finalizzato all'arricchimento personale
ho citato prima la nascita delle cooperative, ma prova a controllare oggi quante
sono le onlus padane e confrontale con quelle che esistono nelle regioni a indirizzo
"umanistico"
ma c'è un'altra cosa da dire ed è che in ogni Comune del Nord esistono da oltre due
secoli le Associazioni Culturali non riservate alle elites
ma poi che sto parlando a fare ?
i luoghi comuni non possono venire smentiti neanche se messi di fronte alla prova dei
fatti, perchè la loro esistenza è fine a sè stessa
|
|
|
|
O Cla, oltre ai luoghi comuni è impossibile smantellare gli irrigidimenti nel conversare - e i campanilismi.
Io, sinceramente, tutta 'sta filantropia qui non la vedo - tu non vedi invece altro, come se tutta la 'Padania' fosse una grossa onlus... forse la verità sta all'incirca nel mezzo, no?
Le associazioni culturali esistono, certo, da due e forse da tre secoli, ma in questo non so dove il Nord si differenzi dal Sud: 'giù' non ce n'è neanche una? Inoltre: quanto e come sono frequentate? Sapevi che qui a Desenzano sono saltate praticamente tutte in aria, vabbe' qui per colpa di tentativi di lottizzazione politica e non per mancata frequentazione, ma tant'è. Nei simposi culturali vedo sempre le stesse scarse facce, come mai? Ah, e, ironia della sorte, il grande capo di una di queste poche sopravvissute è un Romano che lavora in un calzificio ma che per hobby tiene su una rivista tra mille difficoltà ed organizza eventi. E quando parlo con amici 'colti' (collaboricchio con un paio di riviste locali, per tua info) a proposito dell'andazzo locale la pensano esattamente come me, anzi, peggio.
Il 'cumènda' milanese proprietario della 'fabrichèta', così come tramandatoci da una tradizione probabilmente satirica e parodistica, non mi sembra il ritratto della sensibilità artistica né della filantropia: somiglia più ad un pizzicagnolo arricchito. Ma saranno, certo, luoghi comuni.
Si badi: con questo non sto spezzando alcuna arancia a favore di altre zone d'Italia, ché tanto il mito della macchina senza un filo di polvere lo hanno a tutte le latitudini, e in tutti i bar d'Italia risuonano le musichette delle slot e i discorsi sul campionato.
E ripeto che sulla maggiore propensione dei Nordici a muovere le chiappe rispetto ad altre 'etnie' non ho sollevato né solleverò obiezioni. |
|
|
|
Anche io
come Peter, non vestirei questi imprenditori del Nord ( categoria alla quale appartengo, seppur modestamente)
con gli abiti degli eroi e salvatori del popolo.
Insomma, restiamo al mio esempio, perchè lo conosco bene.
Io sono veterinario ma ho sempre avuto il pallino del commercio, da sempre, e quindi collateralmente alla attivita professionale ho sempre fatto coesistere quella mercantile.
Fatto capannoni stipati merci, creato reti vendita etc etc.. tutto quanto serve per fare una azienda che stia in piedi e guadagni.
Ora nel creare le aziende, IO, mai e poi mai mi son posto l'interrogativo
saro' considerato un benefattore se assumo questi dipendenti?
no il mio pensiero è sempre stato, creo l'azienda perchè mi son rotto i coglioni di lavorare per altri ed arricchirli, ora li voglio fare io i soldi, echecazzo.
La molla è sempre quella, se uno non vede il tornaconto economico, mica la tira su una azienda, e perche dovrebbe farlo?
per pagarci valanghe di tasse?
Io mi preoccupo che l'azienda prosperi e vada bene, e faccio bilanci mensili,mica perchè
ho a cuore il posto di lavoro dei dipendenti, per niente, io ho a cuore che l'azienda macini risultati per me e la mia famiglia,punto.
E poi sta storia di questi imprenditori stritolati ed oberati dai debiti, che non hanno accesso al credito etc etc..
io saro' cinico ma.. da che mondo è mondo
le aziende mal gestite e con nulli sistemi di gestione e controllo, son sempre fallite, e aggiungo, per fortuna.
Se uno non è in grado di fare il mestiere, ( calzolaio o imprenditore)
deve chiudere ed andare a fare qualche cosa di diverso.
Ti sei indebitato per prendere un macchinario?
sei un imbecille,
prima di indebitarti hai fatto una valutazione oggettiva sulle reali possibilita della tua azienda?
hai fatto i passi che l'azienda poteva permettersi?
hai considerato la possibilita di quanti interessi dovresti pagare? insomma.. ma i conti li sai fare?
no perchè sta gente si indebita fino al collo, non è in grado di cercarsi commesse, poi si lamenta perchè deve licenziare dipendenti
la verita è che non avrebbe mai dovuto aprire una attivita uno cosi, o cederla immediatamente alleprime avvisaglie di crisi.
E cmq, chissa perchè si suicidano gli imprenditori che perdono l'azienda e mai i dipendenti che perdono assieme allo stipendio, anche il futuro della loro famiglia.
Forse per la vergogna e la non accettazione di dover tornare ad un ruolo sociale da cui credevano di essersi affrancati?
per dirla in soldoni, persa la villa e la ferrari, ci si vergogna troppo per tornare a fare gli operai?
Teniamo presente quanto ha postato Merendina, la frase di Schopenauer
"Schopenhauer sostiene che proprio perché si ama troppo la vita e non la si vuole vivere in una condizione sgradevole ci si libera con il suicidio." |
|
|
|
Sei molto severo: diciamo anche che se prima c'era mercato per tutti adesso non più. |
|
|
|
si ammazzano anche i dipendenti che hanno perso il lavoro, se sono
over 40, hanno il mutuo e tasse da pagare, non hanno un consistente
Tfr perchè era già stato utilizzato per dare l'acconto della casa e per
ammobiliarla
casa che non è sua, ma delle banche, sulla quale però ci deve pagare
l'Imu
va benissimo anche per lui la frase di Shopenhauer, solo che per
qualche "misterioso" motivo il suo suicidio viene quasi sempre
attribuito a una generica depressione
e anche questo rientra nel confezionamento ad hoc delle notizie
|
|
|
|
De: Ramarra |
Enviado: 09/07/2012 23:34 |
Chi si suicida lo fa perchè vuole smettere di vivere. Se si tratta di protesta o di ricerca di altra vita migliore (che presuppone credenze religiose per niente scontate) o per altro non lo sappiamo. Può essere una richiesta di aiuto, può essere il gesto di chi non è capace di chiedere aiuto, si tratta sempre di un gesto nato da un disagio profondo che colpisce tutti i lavoratori.
Chi perde la villa e la ferrari subisce una perdita più grave di quella che potrei subire io, ha ragione ad essere più disperato di me. Inoltre la capacità di reagire ad eventi traumatici non è la stessa per tutti. Prendo atto del disagio grave che colpisce tutti i lavoratori. Non ho voglia di stare a giudicare se l'imprenditore che si suicida ha ragione o torto a togliersi la vita perchè era bravo o somaro o perchè era ricco o no. Tutti escono da casa e vanno a lavorare per i soldi. Autonomi e dipendenti. Tutti sono liberi di fare impresa se lo vogliono. Tutti gli esseri umani sbagliano, alcuni pagano caro l'errore e questo è sempre un dramma.
|
|
|
|
C'è poi un fatto: è riduttivo, incompleto per definizione parlare a posteriori di un suicidio: gli attribuiamo motivazioni generiche e talvolta specifiche, ma in realtà non colpiamo mai al centro: non basterebbe nemmeno la testimonianza del suicida, se potesse parlare, perché non è certo che neanche lui si conoscesse tanto dal saper spiegare ogni suo gesto.
Possiamo, sì, immaginare una somma di situazioni negative che si sommano, così come l'accavallarsi delle onde alla lunga crea un cavallone, e al momento culminante una goccia che fa traboccare il vaso, magari quella che in altri momenti potrebbe sembrare una stupidaggine, ma che sommata ad un grave stato di malessere determina il punto di rottura.
Vedo che si verte, riguardo ai fattori che spingono l'imprenditore fallito a togliersi la vita, sulla combinazione perdita dei beni - crollo del sogno di una vita, cui potremmo aggiungere, da non trascurare neanche questo, un eventuale pregresso stato depressivo mai diagnosticato; mai diagnosticato, magari, perché non c'era tempo per queste fesserie o perché andare dallo psic è vergogna...
A me piacerebbe sapere quale dei fattori incide maggiormente, tutto qua. Ma sapere non è dato... |
|
|
|
M'ha telefonato un vecchio amico;
eravamo in amicizia molto stretta.
M'ha detto che non ce la faceva più a vivere alla maniera americana:
ha chiuso il negozio, ha venduto la casa,
ha comprato un biglietto per la costa occidentale,
e adesso fa il comico a Los Angeles... |
|
|
Primer
Anterior
11 a 25 de 25
Siguiente
Último
|
|
|
|
©2024 - Gabitos - Todos los derechos reservados | |
|
|