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A.R.T.E.: Gli angelli nell ottocento
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De: primula46  (Mensaje original) Enviado: 02/02/2011 13:18
Gli angeli nell’ottocento





Johann Heinrich Fùssli, Satana chiama a sé Belzebù, Kunsthaus, Zurigo.
Personalissima l'interpretazione che il pittore e teorico svizzero, allievo di Blake e studioso di teologia, elabora delle figure del Bene e del Male, come in questo caso.


Se si esclude la tradizione popolare di stampe e santini che, di fatto, non conosce mai una vera interruzione, il Settecento segna quasi una crisi della figura angelica che, però, il secolo successivo supera completamente. Lo sforzo di razionalizzare la visione del mondo, accantonando la dimensione religiosa, fallisce quasi subito e già l'età napoleonica rappresenta una piena reintegrazione del sentimento religioso nel tessuto sociale. Così, la figura dell'angelo ricompare tra i soggetti frequentati dalla gran parte degli artisti. Del resto, figure di primo piano come William Blake e Heinrich Fussli si erano già dedicate al tema angelico, sia pure offrendone un'interpretazione del tutto personale che, tuttavia, affondava le radici in una matrice comune: quella michelangiolesca. In particolare il pittore e poeta inglese in acquarelli di grande suggestione, come quello dedicato a Gli angeli del Bene e del Male (1795), conservato alla Tate Gallery di Londra, recupera la fisicità possente delle titaniche figure del Giudizio universale del Buonarroti, profondamente studiato e capito. Per questo i due angeli sono privi di ali e lottano senza scontrarsi, ma si affrontano con la loro sola presenza per il possesso di un'anima.



William Blake, Cacciata degli angeli ribelli, illustrazione per la Bibbia, Museum of Fine Art, Boston.
In uno spazio sospeso nel tempo, i suoi angeli senza ali ricordano i nudi michelangioleschi della cappella Sistina, studiati e ammirati dall'artista inglese.


C'è poi un altro aspetto che emerge con l'Ottocento: la rappresentazione del demonio come angelo del male, cioè malvagio ma bello. Lo abbiamo appena visto con Blake, ma è una tendenza dell'epoca che, per esempio, ritorna in Fussli. Il suo Satana chiama a sé Belzebù mostra il Principe del Male bello come un Apollo e ormai lontano dalla visione deforme che aveva tramandato il Rinascimento, con diavolacci cornuti e con la coda, con le zanne al posto dei denti e il volto bestiale. Lo dimostra, ancora, la scenografica Cacciata degli angeli ribelli di William Blake, dove i demoni sembrano i Giganti scacciati dalla cima dell'olimpo a opera di Giove.



Nudi e belli, i demoni dell'Ottocento sono lo specchio nero degli angeli di Dio che hanno le loro stesse fattezze. Figura a sé stante, Blake attraversò il suo tempo da solitario, anticipando soluzioni stilistiche che saranno addirittura dell'Art nouveau e vivendo il conflitto fra classico e romantico in modo del tutto personale, ovverosia risolvendolo in una visione originalissima e armonica del fare arte che così si potrebbe riassumere: tensione spirituale (Romanticismo) e purezza formale (Classicismo), fuse in una dimensione onirica e visionaria. Attratto da tutto ciò che indirizzava al fantastico e all'immaginario, rimase catturato nella suggestione di un'opera come il Paradise Lost, il capolavoro scritto nel 1667 da John Milton, che fu fra le prime opere ad avere illustrato.



I fulmini di Dio scacciano dal cielo Satana e gli angeli ribelli, incisione tratta da un disegno di Gustave Paul Doré per il Paradiso perduto (Paradise Lost) di John Milton. Il poema dello scrittore inglese, rivalutato nei primi dell'Ottocento, fu d’ispirazione per molti artisti romantici.


L'anima romantica

Del resto, nell'Ottocento, il poema di Milton conobbe un momento di grande ritorno che risvegliò l'interesse di artisti e letterati non solo in Inghilterra, ma anche altrove, come dimostra l'attenzione che gli dedicò il pittore statunitense Thomas Cole, esponente di spicco di quel movimento definito dalla critica come Hudson River School, la scuola pittorica nata per le suggestioni naturalistiche del fiume Hudson. Cole dipinse una Cacciata dal Paradiso terrestre (1827-1828, Museum of Fine Arts, Boston) che s'ispira direttamente al poema di Milton, dove tutta la composizione verte sul contrasto fra luce e ombra. La tela è divisa da una diagonale che scende da sinistra verso destra e separa la grazia dal peccato. In mezzo, la porta del Paradiso che pare il pertugio di una latomia siracusana da cui filtra, potente, il bagliore della luce divina. È proprio quel bagliore, ossia l'angelo (o meglio l'arcangelo Michele, secondo la convinzione di Milton), a scacciare i nostri progenitori. Il poema di Milton si era dilungato a narrare del meraviglioso rapporto che vivevano Adamo ed Eva prima del peccato, quando potevano fermarsi a discorrere con l'arcangelo Raffaele o avevano l'opportunità d'incontrare l'arcangelo Gabriele. In altri termini, prima della disobbedienza, la dimensione dell'eterno e del sacro apparteneva alla loro quotidianità, poi irrimediabilmente perduta.
Spiega, infatti, l'angelo ad Adamo con i versi del poeta:

«Figlio del cielo e della terra, ascolta: tu che sei felice
lo devi a Dio;
che continui così lo devi a te stesso
vale a dire alla tua obbedienza ... ».


Non stupisce, allora, che il poema abbia irretito anche un pittore come il visionario inglese John Martin, che gli dedicò una serie d'incisioni. Le raffinate opere di Martin, realizzate a mezzatinta, sono una declinazione fra il bianco e il nero dove il primo corrisponde alla luce e alla Grazia, mentre il secondo è il buio del peccato. Per questo le figure di angeli, bianchi come colombe, sono impalpabili esseri di luce che con la loro presenza rischiarano la cupezza di un paesaggio sterminato, che è sempre grandioso e fantastico. Naturalmente, è l'anima romantica, la musa ispiratrice di queste scelte, così come lo era stata per Fussli che, a più riprese, ispirandosi al Michelangelo della Sistina, si era cimentato con gli angeli (e con i demoni) della Divina Commedia, uno dei suoi testi preferiti.

L'idea di bellezza

L’ottocento riscoprì la bellezza degli episodi biblici e, per conseguenza, non di rado, gli artisti si cimentarono con la figura dell'angelo che di volta in volta poteva incarnare l'idea di bellezza (magari quasi femminea) o di possanza. Questo secondo aspetto pare essere quello che affascina un grande della pittura francese come Eugène Delacroix che dipinse fra il 1858 e il 1861 la Lotta di Giacobbe con l'angelo, conservato a Parigi presso Saint-Sulpice. Anche qui riaffiora il modello di Michelangelo e l'occasione è quella di mostrare l'abilità nel rendere la figura umana e la dinamica corporea, togliendo all'angelo ogni superiorità sovrumana. Il confronto è quasi alla pari. Tuttavia, se il quadro di Delacroix è ancora dentro i limiti dell'illustrazione, sia pure di altissimo livello, un'opera come quella di Paul Gauguin, intitolata La visione dopo il sermone (1888, The National Gallery, Edimburgo), del medesimo episodio biblico fornisce una precisa interpretazione che si basa sull'idea che il messaggio religioso sia sempre attuale.



Eugène Delacroix, Lotta di Giacobbe con l'angelo, Saint-Sulpice, Parigi.
Un angelo non solo staticamente bello, ma vigoroso, quello dipinto dal pittore francese che lo pone in una condizione alla pari con l'uomo.


Le donne che stanno in preghiera, hanno appena ascoltato il sacerdote, dall'ambone, parlare ed evocare le immagini delle Sacre Scritture che adesso credono di vedere sul prato. Ciascuno nella sua testa, si costruisce la Bibbia che vuole e, così, rende vivo il messaggio perché lo mescola alla realtà di tutti i giorni. Quelle due figure laggiù non esistono, ma stanno nell'anima di ciascuno di noi perché ogni uomo è chiamato a misurarsi con Dio e a lottare con l'angelo che lo rappresenta. Intimista, ma con un'impostazione ben più tragica e cupa, è l'opera di Gustave Moreau, dedicata a Gli angeli di Sodoma (1890 ca. Musée Moreau, Parigi). Qui, la soluzione offerta dal pittore francese, uno dei grandi maestri del Simbolismo, è magistrale. L’atmosfera caliginosa, resa con il sapiente uso dei bianchi e dei grigi, senza nulla concedere al naturalismo, interpreta bene quel tempo di sospensione e d'aria immota che si percepisce prima di una catastrofe. Gli angeli di Moreau sono degli addensamenti di cielo o, se si preferisce, di colore. Essi si presentano come delle sagome diafane che si dirigono verso la città da distruggere o verso la casa di Lot.



Gustave Moreau , Santa Cecilia, 1879 Musèe Moreau, Parigi
La produzione di Moreau si divide fra soggetti profani e temi religiosi. Quest'opera non s’ispira a un episodio biblico, ma appartiene alla categoria dei santi, così come dello stesso autore è San Giorgio e il drago. LA STORIA di Santa Cecilia. Fra le prime martiri del Cristianesimo delle origini venne venerata ben prima del fatidico 313, quando Costantino riconobbe ufficialmente la nuova religione. Patrona della musica, fu seppellita a Roma in Santa Maria in Trastevere nel 545 e poco più di mille anni dopo, il suo corpo fu trovato intatto. LA CAPACITÀ di Moreau di trasformare in ornamento tutto quello che dipinge, si riverbera anche sulla figura dell'angelo la cui iconografia è qui reinventata facendone una sorta di divinità alata in piccolo, ricca nelle vesti e sensuale nel volto, secondo quello che poteva essere il gusto dell'epoca.



La declinazione che l'Ottocento riserva alle figure degli angeli, però, non è solo questa. Accanto, vi compare un rassicurante raffaellismo che si confonde con il santino e che ispira gran parte delle opere, come nel caso di quel capolavoro che è Il voto di Luigi XIII di Ingres, dipinto nel 1824. Ispirato alla celebre Madonna Sistina di Raffaello, l'opera riprende l'antica iconografia degli angeli con il vestito rigonfio in vita e recupera una dimensione di sacralità che è quella più vera e sentita del XIX secolo.



Giovanni Carnovali, detto il Piccio, Agar col figlio nel deserto confortata dall’angelo, 1863
CAPPELLA DEL ROSARIO DI SAN MARTINO VESCOVO, ALZANO LOMBARDO
In principio rifiutata dalla Fabbriceria di San Martino ad Alzano Lombardo, l'opera fu acquistata dalla famiglia Farina che la custodì fino al 1970. Dopo una complessa vicenda che la vide sul mercato antiquario, è stata collocata nel 2001 nella sede attuale. LA CAPACITÀ COLORISTICA del Piccio trasforma in una delicatissima composizione questo episodio biblico (Genesi, XVI, 6-12) a tinte forti, che ha ispirato artisti di tutte le epoche, a cominciare dal Solimena, precedentemente esaminato nel capitolo dedicato al Seicento, e al quale si rimanda per quanto concerne le vicende narrative di Agar e d'lsmaele.
SEGUENDO UN'ICONOGRAFIA diffusa, che ha esempi d'eccellenza come lo stesso Solimena ma, più recentemente, contemporanei di Piccio come Doré e Corot, l'artista veneto dipinge accanto ad Agar anche Ismaele. Tuttavia, l'aggiunta è arbitraria rispetto al testo biblico perché, in realtà, il figlio nacque dopo il ritorno da Abramo.



Paul Gustave Doré, Giacobbe lotta con l’angelo, 1866. Granger Collection, New York
Dorè illustrò molti testi letterari. Dalle favole di La Fontaine ai Paradise Lost di Milton e la Bibbia. In quest’ultima serie d’incisioni ebbe modo di raffigurare molti angeli, seguendo un'iconografia tradizionale, ma rinnovata dalla potenza creativa del suo segno.
NONOSTANTE GLI SFORZI di Giacobbe, egregiamente rappresentati da Doré, nulla dell'angelo è scalfito dall'impeto dell'incauto avversario. Quest'angelo, infatti, non solo è inamovibile, ma è intenerito dall'ardore dell'uomo che non sa con chi ha osato misurarsi. Doré lo rappresenta con le ali e con la tunica, secondo un'iconografia ormai nota.
LA GRANDE CAPACITÀ disegnativa di Doré fa di quest'incisione un piccolo capolavoro, dove la luce morbida di un'alba si sposa perfettamente con la rinascita interiore di Giacobbe che sarà benedetto da Dio.




Paul Gauguin, La visione dopo il sermone, 1888 National Gallery of Scotland, Edimburgo
L'interpretazione che Gauguin propone dell'episodio biblico si basa sulla convinzione che il messaggio che esso trasmette sia sempre attuale. Le pie donne, dopo aver ascoltato le parole del sermone, vagheggiano di vedere sul prato le immagini delle Sacre Scritture. GAUGUIN rappresenta il confronto fra l'uomo e l'angelo in maniera estremamente sintetica. Sfruttando pochi colori, come giallo, bianco, rosso e nero, riesce a conferire grande dinamicità alla figura dell'angelo che si piega su Giacobbe dominandolo.


Fonte: I grandi temi della pittura
Ed. De Agostini


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