Fu tra le più note donne che aderirono al brigantaggio postunitario. Vi sono incertezze sui suoi dati anagrafici: sarebbe nata a San Sossio Baronia nel 1841, sebbene una minoranza sostenga che la sua nascita fosse avvenuta a Casalvecchio di Puglia nel 1845 (atto di nascita originale custodito presso l'archivio del Comune di San Sossio). Figlia di Giuseppe, un macellaio, e di Vincenza Bucci, sin da piccola dovette lavorare come sguattera presso alcuni notabili del suo paese, per poter incrementare i miseri guadagni della sua famiglia. Si sposò in giovane età con un impiegato di cancelleria del tribunale di Foggia ma l'unione non fu delle più felici. Il marito è descritto come una persona gelosa che non esitava a maltrattarla. Un giorno, stanca dei continui supplizi, Filomena uccise suo marito conficcandogli in gola un lungo spillo d'argento. Per evitare la galera, fuggì nel bosco di Lucera, dove incontrò Giuseppe Caruso, divenendone l'amante. Ebbe poi una fugace relazione con Carmine Crocco, capo di tutte le bande del Vulture-Melfese ed infine con il suo subalterno Giuseppe Schiavone, con cui ebbe un legame più duraturo. La Pennacchio si distinse subito per le sue capacità - era una donna dal temperamento deciso e privo di scrupoli - e partecipando a numerose scorribande ed imboscate, quasi sempre accanto al suo compagno Schiavone. Era molto ammirata e rispettata dai suoi commilitoni, per il suo fascino e la sua freddezza. All'età di circa 21 anni mise a segno il suo primo colpo, in un podere di Migliano, vicino al comune di Trevico, contro una donna chiamata Lucia Cataldo, la quale non aveva consegnato a Schiavone denaro e oggetti d'oro che il brigante le aveva ordinato di cedere. Come atto intimidatorio, la Pennacchio, davanti i suoi occhi, sgozzò il bue di sua proprietà e se ne andò. Il 4 luglio 1863, in località Sferracavallo, sulla consolare che da Napoli conduce a Campobasso, si rese partecipe dell'uccisione di 10 soldati italiani della 1ª Compagnia del 45mo fanteria; assieme a lei vi erano Schiavone, Michele Caruso, Teodoro Ricciardelli ed altri 60 uomini circa. La relazione tra la Pennacchio e Schiavone non venne accettata da Rosa Giuliani, che Schiavone aveva tradito per lei. Presa dalla gelosia, la Giuliani rivelò al delegato di Candela il nascondiglio ove si trovava Schiavone ed alcuni suoi uomini, che furono catturati dalle truppe sabaude e portati a Melfi. Filomena, in quel momento incinta, non era presente alla cattura del suo uomo: anche lei si trovava a Melfi, ma nascosta in casa della levatrice. Prima di essere giustiziato, Schiavone chiese di poter vedere Filomena per l’ultima volta. La Pennacchio decise di incontrarlo, lui si inginocchiò e la baciò calorosamente per l'ultima volta, chiedendole perdono. Schiavone sarà fucilato dai militari italiani la mattina del 28 novembre 1864. Ormai rimasta sola, gravida e distrutta per la perdita del suo compagno, la brigantessa si arrese e collaborò con le autorità, contribuendo all'arresto di Agostino Sacchitiello e la sua banda. Condotta davanti al tribunale di guerra di Avellino, Filomena fu condannata a 20 anni di lavori forzati, che vennero poi ridotti a 9 ed infine a 7. Da quel momento, la donna entrò in un periodo di completo anonimato, che durò per il resto della sua vita e di cui ancora oggi non si sa nulla. |