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De: lore luc (Mensaje original) |
Enviado: 08/09/2011 02:51 |
Giovedì 08 Settembre 2011
LA NATIVITà BEATA VERGINE MARIA (Festa)
Natività della Beata Vergine Maria (Festa)
« La celebrazione odierna – si legge nel brano dei Discorsi di S. Andrea di Creta proclamato nell'odierno Ufficio delle Letture - onora la natività della Madre di Dio. Però il vero significato e il fine di questo evento è, l'incarnazione del Verbo. Infatti Maria nasce, viene allattata e cresciuta per essere la Madre del Re dei secoli, di Dio ».
è questo del resto il motivo per cui di Maria soltanto (oltre che di S. Giovanni Battista e naturalmente di Cristo) non si festeggia unicamente la “nascita al cielo”, come avviene per gli altri santi, ma anche la venuta in questo mondo.
In realtà, il meraviglioso di questa nascita non è in ciò che narrano con dovizia di particolari e con ingenuità gli apocrifi, ma piuttosto nel significativo passo innanzi che Dio fa nell'attuazione del suo eterno disegno d'amore. Per questo la festa odierna è stata celebrata con lodi magnifiche da molti santi Padri, che hanno attinto alla loro conoscenza della Bibbia e alla loro sensibilità e ardore poetico. Leggiamo qualche espressione del secondo Sermone sulla Natività di Maria di S. Pier Damiani: “Dio onnipotente, prima che l'uomo cadesse, previde la sua caduta e decise, prima dei secoli, l'umana redenzione. Decise dunque di incarnarsi in Maria”.
Come quasi tutte le solennità principali di Maria anche la Natività è di origine orientale. Nella Chiesa d'occidente l'ha introdotta il papa orientale san Sergio I alla fine del sec. VII. Originariamente doveva essere la festa della dedicazione dell'attuale basilica di sant'Anna in Gerusalemme.
La Tradizione, infatti, indicava quel luogo come la sede dell'umile dimora di Gioacchino ed Anna, lontani discendenti di Davide, genitori di Maria. Occorre cercare in questo culto della Natività di Maria una profonda verità: la venuta dell'uomo-Dio sulla terra fu lungamente preparata dal Padre nel corso dei secoli.
La personalità divina del Salvatore supera infinitamente tutto ciò che l'umanità poteva generare, però la storia dell'umanità fu come un lento e difficile parto delle condizioni necessarie all'Incarnazione del figlio di Dio.
La devozione cristiana ha voluto perciò venerare le persone e gli avvenimenti che hanno preparato la nascita di Cristo sul piano umano e sul piano della grazia: la sua Madre, la nascita di essa, la sua concezione, i suoi genitori e i suoi antenati (vangelo: Mt 1,1-16.18-23).
Credere nei preparativi dell'incarnazione significa credere nella realtà dell'incarnazione e riconoscere la necessità della collaborazione dell'uomo all'attuazione della salvezza del mondo.
Il Beato Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła, 1978-2005) concluse la sua omelia, a Frascati l’8/09/1980, nei seguenti termini :
« O Vergine nascente, speranza e aurora di salvezza al mondo intero, / volgi benigna il tuo sguardo materno a noi tutti, / qui riuniti per celebrare e proclamare le tue glorie!
O Vergine fedele, che sei stata sempre pronta e sollecita ad accogliere, conservare e meditare la Parola di Dio, / fa’ che anche noi, in mezzo alle drammatiche vicende della storia, / sappiamo mantenere sempre intatta la nostra fede cristiana, / tesoro prezioso tramandatoci dai Padri!
O Vergine potente, che col tuo piede schiacci il capo del serpente tentatore, / fa’ che realizziamo, giorno dopo giorno, le nostre promesse battesimali, con le quali abbiamo rinunziato a Satana, alle sue opere ed alle sue seduzioni, / e sappiamo dare al mondo una lieta testimonianza della speranza cristiana.
O Vergine clemente, che hai sempre aperto il tuo cuore materno alle invocazioni dell’umanità, talvolta divisa dal disamore ed anche, purtroppo, dall’odio e dalla guerra, fa’ che sappiamo sempre crescere tutti, secondo l’insegnamento del tuo figlio, nell’unità e nella pace, per essere degni figli dell’unico Padre celeste.
Amen! »
S. Leonardo Murialdo, grande devoto della Madonna, diceva : “Maria, Madre nostra, è la più amante, la più affettuosa delle madri. è madre di Dio, quindi ottiene tutto. è madre nostra, quindi non ci nega niente. è madre di misericordia: gettiamoci nelle sue braccia”.
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Lunedì 12 Dicembre
2011
LA BEATA VERGINE MARIA di Guadalupe (memoria facoltativa)
Beata Vergine Maria di Guadalupe
(memoria facoltativa)
Nostra
Signora di Guadalupe è principalmente venerata nel Santuario a Lei
dedicato a Tepeyac, in Messico. In questo Santuario, ogni anno,
affluiscono milioni di pellegrini ed è il più frequentato e amato non solo da parte del popolo messicano, ma anche da parte di tutti i popoli latinoamericani. Ma
ormai non c'è parte del mondo cristiano che non conosca l’avvenimento
che ha dato l'impulso decisivo all'evangelizzazione del “nuovo continente”.
Santuari dedicati alla Madonna di Guadalupe si trovano anche in Italia,
così come numerose cappelle in luoghi di culto, anche celebri, come il
Santuario mariano di Loreto.
Le quattro apparizioni della “Virgen Morena” all’indio Juan Diego, sono all’origine della devozione e della costruzione del suddetto Santuario; sono anche un evento che ha lasciato un solco profondo nella religiosità e nella cultura messicana.
La basilica, ove attualmente si conserva la "tilma"
(mantello in fibra di ayate, un tessuto grossolano prodotto con foglie
di cactus) con l'immagine miracolosa, è stata inaugurata il 12 ottobre
1976. Tre anni dopo è stata visitata dal Beato Giovanni Paolo II che,
dal balcone della facciata su cui sono scritte in caratteri d'oro le
parole della Madonna a Juan Diego: “¿No estoy yo aquí que soy tu Madre” (“Non sono qua io che sono la tua Madre?”),
ha salutato le molte migliaia di messicani confluiti al Tepeyac; nello
stesso luogo, il 6 maggio 1990, ha proclamato beato il veggente Juan
Diego, che è stato infine dichiarato santo il 31 luglio 2002 (mf il 09
dic.).
Qui,
sul Tepeyac, ebbero luogo le apparizioni a Juan Diego: la mattina del 9
dicembre 1531, mentre sta attraversando la collina del Tepeyac per
raggiungere la città, l’indio è attratto da un canto armonioso di
uccelli e dalla visione dolcissima di una Donna che lo chiama per nome
con tenerezza. La “Signora” gli dice di essere “la perfetta sempre Vergine Maria, la Madre del verissimo ed unico Dio”
e gli ordina di recarsi dal vescovo per riferirgli che desidera che le
si eriga un tempio ai piedi del colle. Juan Diego corre subito dal
vescovo ma non viene creduto.
Tornando
a casa la sera incontra nuovamente sul Tepeyac la Vergine Maria, a cui
riferisce il suo insuccesso e chiede di essere esonerato dal compito
affidatogli, dichiarandosene indegno. La Vergine gli ordina di tornare
il giorno seguente dal vescovo che, dopo avergli rivolto molte domande
sul luogo e sulle circostanze dell’apparizione, gli chiede un segno; la
Vergine promette di darglielo l’indomani.
Il
giorno seguente, però, Juan Diego non può tornare: suo zio, Juan
Bernardino, è gravemente ammalato e lui viene inviato di buon mattino a
Tlatelolco a cercare un sacerdote che confessi il moribondo. Giunto in
vista del Tepeyac decide perciò di cambiare strada per evitare
l’incontro con la “Signora”. Ma la “Signora”
è là davanti a lui e gli domanda il perché di tanta fretta. Juan Diego
si prostra ai suoi piedi e le chiede perdono per non poter compiere
l’incarico affidatogli presso il vescovo, a causa della malattia mortale
dello zio.
La “Signora”
lo rassicura, affermando che lo zio è già guarito, e lo invita a salire
sulla sommità del colle per cogliervi i fiori. Juan Diego sale e con
grande meraviglia trova sulla cima del colle dei bellissimi "fiori di
Castiglia": è il 12 dicembre. In questo periodo dell’anno, solstizio
d’inverno secondo il calendario giuliano allora vigente, né la stagione
né il luogo, una desolata pietraia, sono adatti alla crescita di fiori
del genere. Juan Diego ne raccoglie un mazzo che porta alla Vergine, la
quale però gli ordina di presentarli al vescovo come prova della verità
delle apparizioni.
Juan Diego ubbidisce e, giunto al cospetto del presule, apre il suo mantello e all’istante sulla "tilma" si
imprime e rende manifesta alla vista di tutti l’immagine della Santa
Vergine. Di fronte a tale prodigio, il vescovo cade in ginocchio, e con
lui tutti i presenti.
La
mattina dopo Juan Diego accompagna il presule al Tepeyac per indicargli
il luogo in cui la Madonna ha chiesto che le sia innalzato un tempio.
Nel frattempo l’immagine, collocata nella cattedrale, diventa presto
oggetto di una devozione popolare che si è conservata ininterrotta fino
ai nostri giorni.
La Madonna della "tilma" ha un volto
nobile, di colore bruno, mani giunte, vestito roseo bordato di fiori.
Un manto azzurro mare, trapuntato di stelle dorate, copre il suo capo e
le scende fino ai piedi, che poggiano sulla luna. Alle sue spalle il
sole risplende sul fondo con i suoi cento raggi.
L'attenzione
si concentra tutta sulla straordinaria e bellissima icona guadalupana,
rimasta inspiegabilmente intatta nonostante il trascorrere dei secoli:
questa immagine, che non è una pittura, né un disegno, né è fatta da
mani umane, suscita la devozione dei fedeli di ogni parte del mondo e
pone non pochi interrogativi alla scienza, un po’ come succede ormai da
anni col mistero della Sacra Sindone.
La
scoperta più sconvolgente al riguardo è quella fatta, con l’ausilio di
sofisticate apparecchiature elettroniche, da una commissione di
scienziati che ha evidenziato la presenza di un gruppo di 13 persone
riflesse nelle pupille della “Virgen Morena”:
sarebbero lo stesso Juan Diego con il vescovo ed altri ignoti
personaggi, presenti quel giorno al prodigioso evento in casa del
presule. Un vero rompicapo per gli studiosi: un fenomeno
scientificamente inspiegabile che rivela l’origine miracolosa
dell’immagine e comunica al mondo intero un grande messaggio di
Speranza.
Nostra Signora di Guadalupe, che appare a Juan Diego,
vestita di sole, non solo gli annuncia che è nostra madre spirituale,
ma lo invita – come invita ciascuno di noi - ad aprire il proprio cuore
all'opera di Cristo che ci ama e ci salva. Meditare oggi sull'evento
guadalupano, un caso di “inculturazione” miracolosa, significa
porsi alla scuola di Maria, maestra di umanità e di fede, annunciatrice e
serva della Parola che deve risplendere in tutto il suo fulgore, come
l'immagine misteriosa sulla "tilma" del veggente messicano, proclamato
santo dal Beato Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła, 1978-2005), il
31 luglio 2002, in occasione della sua quinta visita pastorale in
Messico (per approfondimenti & l'omelia è Canonizzazione del Beato Juan Diego Cuauhtlatoatzin).
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Sabato 24 Dicembre 2011
LA SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE : Messa di Mezzanotte
Santa Messa di Mezzanotte
Solennità del NATALE del SIGNORE
Dall'Omelia di S.S. Benedetto XVI
Basilica Vaticana Giovedì, 25 dicembre 2008
Cari fratelli e sorelle!
“Chi è pari al Signore nostro Dio che siede nell'alto e si china a guardare nei cieli e sulla terra?” Così canta Israele in uno dei suoi Salmi (113 [112], 5s), in cui esalta insieme la grandezza di Dio e la sua benevola vicinanza agli uomini. Dio dimora nell’alto, ma si china verso il basso… Dio è immensamente grande e di gran lunga al di sopra di noi. È questa la prima esperienza dell’uomo. La distanza sembra infinita. Il Creatore dell’universo, Colui che guida il tutto, è molto lontano da noi: così sembra inizialmente. Ma poi viene l’esperienza sorprendente: Colui al quale nessuno è pari, che “siede nell’alto”, Questi guarda verso il basso. Si china in giù. Egli vede noi e vede me. Questo guardare in giù di Dio è più di uno sguardo dall’alto. Il guardare di Dio è un agire. Il fatto che Egli mi vede, mi guarda, trasforma me e il mondo intorno a me. Così il Salmo continua immediatamente: “Solleva l’indigente dalla polvere…” Con il suo guardare in giù Egli mi solleva, benevolmente mi prende per mano e mi aiuta a salire, proprio io, dal basso verso l’alto. “Dio si china”. Questa parola è una parola profetica. Nella notte di Betlemme, essa ha acquistato un significato completamente nuovo. Il chinarsi di Dio ha assunto un realismo inaudito e prima inimmaginabile. Egli si china – viene, proprio Lui, come bimbo giù fin nella miseria della stalla, simbolo di ogni necessità e stato di abbandono degli uomini. Dio scende realmente. Diventa un bambino e si mette nella condizione di dipendenza totale che è propria di un essere umano appena nato. Il Creatore che tutto tiene nelle sue mani, dal quale noi tutti dipendiamo, si fa piccolo e bisognoso dell’amore umano. Dio è nella stalla. [...]
Il racconto del Natale secondo san Luca, che abbiamo appena ascoltato nel brano evangelico, ci narra che Dio ha un po’ sollevato il velo del suo nascondimento dapprima davanti a persone di condizione molto bassa, davanti a persone che nella grande società erano piuttosto disprezzate: davanti ai pastori che nei campi intorno a Betlemme facevano la guardia agli animali. Luca ci dice che queste persone “vegliavano”. Possiamo così sentirci richiamati a un motivo centrale del messaggio di Gesù, in cui ripetutamente e con crescente urgenza fino all’Orto degli ulivi torna l’invito alla vigilanza – a restare svegli per accorgersi della venuta del Signore ed esservi preparati. [...]
San Luca ci racconta inoltre che i pastori stessi erano “avvolti” dalla gloria di Dio, dalla nube di luce, si trovavano nell’intimo splendore di questa gloria. Avvolti dalla nube santa ascoltano il canto di lode degli angeli: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini della sua benevolenza”. E chi sono questi uomini della sua benevolenza se non i piccoli, i vigilanti, quelli che sono in attesa, sperano nella bontà di Dio e lo cercano guardando verso di Lui da lontano?
[...] La gloria di Dio è nel più alto dei cieli, ma questa altezza di Dio si trova ora nella stalla, ciò che era basso è diventato sublime. La sua gloria è sulla terra, è la gloria dell’umiltà e dell’amore. E ancora: la gloria di Dio è la pace. Dove c’è Lui, là c’è pace. Egli è là dove gli uomini non vogliono fare in modo autonomo della terra il paradiso, servendosi a tal fine della violenza. Egli è con le persone dal cuore vigilante; con gli umili e con coloro che corrispondono alla sua elevatezza, all’elevatezza dell’umiltà e dell’amore. A questi dona la sua pace, perché per loro mezzo la pace entri in questo mondo.
Il teologo medioevale Guglielmo di S. Thierry ha detto una volta: Dio – a partire da Adamo – ha visto che la sua grandezza provocava nell’uomo resistenza; che l’uomo si sente limitato nel suo essere se stesso e minacciato nella sua libertà. Pertanto Dio ha scelto una via nuova. È diventato un Bambino. Si è reso dipendente e debole, bisognoso del nostro amore. Ora – ci dice quel Dio che si è fatto Bambino – non potete più aver paura di me, ormai potete soltanto amarmi.
Con tali pensieri ci avviciniamo in questa notte al Bambino di Betlemme – a quel Dio che per noi ha voluto farsi bambino. Su ogni bambino c’è il riverbero del bambino di Betlemme. Ogni bambino chiede il nostro amore. Pensiamo pertanto in questa notte in modo particolare anche a quei bambini ai quali è rifiutato l’amore dei genitori. Ai bambini di strada che non hanno il dono di un focolare domestico. Ai bambini che vengono brutalmente usati come soldati e resi strumenti della violenza, invece di poter essere portatori della riconciliazione e della pace. Ai bambini che mediante l’industria della pornografia e di tutte le altre forme abominevoli di abuso vengono feriti fin nel profondo della loro anima. Il Bambino di Betlemme è un nuovo appello rivolto a noi, di fare tutto il possibile affinché finisca la tribolazione di questi bambini; di fare tutto il possibile affinché la luce di Betlemme tocchi i cuori degli uomini. Soltanto attraverso la conversione dei cuori, soltanto attraverso un cambiamento nell’intimo dell’uomo può essere superata la causa di tutto questo male, può essere vinto il potere del maligno. Solo se cambiano gli uomini, cambia il mondo e, per cambiare, gli uomini hanno bisogno della luce proveniente da Dio, di quella luce che in modo così inaspettato è entrata nella nostra notte.
E parlando del Bambino di Betlemme pensiamo anche alla località che risponde al nome di Betlemme; pensiamo a quel Paese in cui Gesù ha vissuto e che Egli ha amato profondamente. E preghiamo affinché lì si crei la pace. Che cessino l’odio e la violenza. Che si desti la comprensione reciproca, si realizzi un’apertura dei cuori che apra le frontiere. Che scenda la pace di cui hanno cantato gli angeli in quella notte.
[...] Nel Sacramento dell’Eucaristia Egli si dona a noi – dona una vita che giunge fin nell’eternità. In quest’ora noi aderiamo al canto di lode della creazione e la nostra lode è allo stesso tempo una preghiera: Sì, Signore, facci vedere qualcosa dello splendore della tua gloria. E dona la pace sulla terra. Rendici uomini e donne della tua pace. Amen. |
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Domenica 25 Dicembre 2011
LA SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE : Messa del Giorno
Messaggio di Natale Urbi et Orbi di Papa Benedetto XVI
« Apparuit gratia Dei Salvatoris nostri omnibus hominibus » (Tit 2,11)
Cari fratelli e sorelle,
con le parole dell’apostolo Paolo rinnovo il gioioso annuncio del Natale di Cristo: sì, oggi, “è apparsa a tutti gli uomini la grazia di Dio nostro Salvatore!”
È apparsa! Questo è ciò che la Chiesa oggi celebra. La grazia di Dio, ricca di bontà e di tenerezza, non è più nascosta, ma “è apparsa”, si è manifestata nella carne, ha mostrato il suo volto. Dove? A Betlemme. Quando? Sotto Cesare Augusto, durante il primo censimento, al quale fa cenno anche l’evangelista Luca. E chi è il rivelatore? Un neonato, il Figlio della Vergine Maria. In Lui è apparsa la grazia di Dio Salvatore nostro. Per questo quel Bambino si chiama Jehoshua, Gesù, che significa “Dio salva”.
La grazia di Dio è apparsa: ecco perché il Natale è festa di luce. Non una luce totale, come quella che avvolge ogni cosa in pieno giorno, ma un chiarore che si accende nella notte e si diffonde a partire da un punto preciso dell’universo: dalla grotta di Betlemme, dove il divino Bambino è “venuto alla luce”. In realtà, è Lui la luce stessa che si propaga, come ben raffigurano tanti dipinti della Natività. Lui è la luce, che apparendo rompe la caligine, dissipa le tenebre e ci permette di capire il senso ed il valore della nostra esistenza e della storia. Ogni presepe è un invito semplice ed eloquente ad aprire il cuore e la mente al mistero della vita. È un incontro con la Vita immortale, che si è fatta mortale nella mistica scena del Natale; una scena che possiamo ammirare anche qui, in questa Piazza, come in innumerevoli chiese e cappelle del mondo intero, e in ogni casa dove è adorato il nome di Gesù.
La grazia di Dio è apparsa a tutti gli uomini. Sì, Gesù, il volto del Dio-che-salva, non si è manifestato solo per pochi, per alcuni, ma per tutti. È vero, nella umile disadorna dimora di Betlemme lo hanno incontrato poche persone, ma Lui è venuto per tutti: giudei e pagani, ricchi e poveri, vicini e lontani, credenti e non credenti… tutti. La grazia soprannaturale, per volere di Dio, è destinata ad ogni creatura. Occorre però che l’essere umano l’accolga, pronunci il suo "sì", come Maria, affinché il cuore sia rischiarato da un raggio di quella luce divina. Ad accogliere il Verbo incarnato, in quella notte, furono Maria e Giuseppe che lo attendevano con amore ed i pastori, che vegliavano accanto alle greggi (cfr Lc 2,1-20). Una piccola comunità, dunque, che accorse ad adorare Gesù Bambino; una piccola comunità che rappresenta la Chiesa e tutti gli uomini di buona volontà. Anche oggi coloro che nella vita Lo attendono e Lo cercano incontrano il Dio che per amore si è fatto nostro fratello; quanti hanno il cuore proteso verso di Lui desiderano conoscere il suo volto e contribuire all’avvento del suo Regno. Gesù stesso lo dirà, nella sua predicazione: sono i poveri in spirito, gli afflitti, i miti, gli affamati di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per la giustizia (cfr Mt 5,3-10). Questi riconoscono in Gesù il volto di Dio e ripartono, come i pastori di Betlemme, rinnovati nel cuore dalla gioia del suo amore.
Fratelli e sorelle che mi ascoltate, a tutti gli uomini è destinato l’annuncio di speranza che costituisce il cuore del messaggio di Natale. Per tutti è nato Gesù e, come a Betlemme Maria lo offrì ai pastori, in questo giorno la Chiesa lo presenta all’intera umanità, perché ogni persona e ogni umana situazione possa sperimentare la potenza della grazia salvatrice di Dio, che sola può trasformare il male in bene, che sola può cambiare il cuore dell’uomo e renderlo un’"oasi" di pace.
Possano sperimentare la potenza della grazia salvatrice di Dio le numerose popolazioni che ancora vivono nelle tenebre e nell’ombra di morte (cfr Lc 1,79). La Luce divina di Betlemme si diffonda in Terrasanta [...], in Iraq e ovunque nel Medio Oriente. Fecondi gli sforzi di quanti non si rassegnano alla logica perversa dello scontro e della violenza e privilegiano invece la via del dialogo e del negoziato, per comporre le tensioni interne ai singoli Paesi e trovare soluzioni giuste e durature ai conflitti [...]
Questa Luce attendono soprattutto i bambini di quei Paesi e di tutti i Paesi in difficoltà, affinché sia restituita speranza al loro avvenire.
Dove la dignità e i diritti della persona umana sono conculcati; dove gli egoismi personali o di gruppo prevalgono sul bene comune; dove si rischia di assuefarsi all’odio fratricida e allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo; dove lotte intestine dividono gruppi ed etnie e lacerano la convivenza; dove il terrorismo continua a colpire; dove manca il necessario per sopravvivere; dove si guarda con apprensione ad un futuro che sta diventando sempre più incerto, anche nelle Nazioni del benessere: là risplenda la Luce del Natale ed incoraggi tutti a fare la propria parte, in spirito di autentica solidarietà. Se ciascuno pensa solo ai propri interessi, il mondo non può che andare in rovina.
Cari fratelli e sorelle, oggi “è apparsa la grazia di Dio Salvatore” (cfr Tt 2,11), in questo nostro mondo, con le sue potenzialità e le sue debolezze, i suoi progressi e le sue crisi, con le sue speranze e le sue angosce. Oggi, rifulge la luce di Gesù Cristo, Figlio dell’Altissimo e figlio della Vergine Maria: « Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo ». Lo adoriamo quest’oggi, in ogni angolo della terra, avvolto in fasce e deposto in una povera mangiatoia. Lo adoriamo in silenzio mentre Lui, ancora infante, sembra dirci a nostra consolazione: Non abbiate paura, “Io sono Dio, non ce n’è altri” (Is 45,22). Venite a me, uomini e donne, popoli e nazioni, venite a me, non temete: sono venuto a portarvi l’amore del Padre, a mostrarvi la via della pace.
Andiamo, dunque, fratelli! Affrettiamoci, come i pastori nella notte di Betlemme. Dio ci è venuto incontro e ci ha mostrato il suo volto, ricco di grazia e di misericordia! Non sia vana per noi la sua venuta! Cerchiamo Gesù, lasciamoci attirare dalla sua luce, che dissipa dal cuore dell’uomo la tristezza e la paura; avviciniamoci con fiducia; con umiltà prostriamoci per adorarlo. Buon Natale a tutti!
Video messaggio di Natale e indulgenza plenaria è URBI ET ORBI |
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Venerdì 30 Dicembre
2011
LA SANTA FAMIGLIA DI GESÚ, MARIA E GIUSEPPE (Festa)
SANTA FAMIGLIA DI GESù
MARIA E GIUSEPPE
(Festa)
La festa della Santa Famiglia nella liturgia cattolica, nel secolo XVII, veniva celebrata localmente; papa Leone XIII (Vincenzo Gioacchino Raffaele Luigi Pecci, 1878-1903) nel 1895, la fissò alla terza domenica dopo l’Epifania “omnibus potentibus”, ma fu papa Benedetto XV (Giacomo della Chiesa, 1914-1922)
che nel 1921 la estese a tutta la Chiesa, fissandola alla domenica
compresa nell’ottava dell’Epifania; il Beato Giovanni XXIII (Angelo Giuseppe Roncalli, 1958-1963) la spostò alla prima domenica dopo l’Epifania; attualmente è celebrata, salvo eccezioni, nella domenica dopo il Santo Natale.
La
celebrazione fu istituita per dare un esempio e un impulso
all’istituzione della famiglia, cardine del vivere sociale e cristiano,
prendendo a riferimento i tre personaggi che la componevano, figure
eccezionali sì ma con tutte le caratteristiche di ogni essere umano e
con le problematiche di ogni famiglia.
Numerose
Congregazioni religiose sia maschili che femminili, sono intitolate
alla Sacra Famiglia, in buona parte fondate nei secoli XIX e XX, come:
ø le “Suore della Sacra Famiglia”, fondate a Bordeaux nel 1820 dall’abate P. B. Noailles, dette anche ‘Suore di Loreto’;
ø le “Suore della Sacra Famiglia di Nazareth” fondate nel 1875 a Roma, dalla polacca Siedliska;
ø le “Piccole Suore della Sacra Famiglia” fondate nel 1892, dal beato Nascimbeni a Castelletto di Brenzone (Verona);
ø i “Preti e fratelli della Sacra Famiglia” fondati nel 1856 a Martinengo, dalla beata Paola Elisabetta Cerioli;
ø i “Figli della Sacra Famiglia” fondati nel 1864 in Spagna da José Mananet;
ø e tante altre...
Papa Benedetto XVI : Angelus - Piazza San Pietro -
(Domenica, 28 dicembre 2008)
Cari fratelli e sorelle!
In
questa domenica, che segue il Natale del Signore, celebriamo con gioia
la Santa Famiglia di Nazaret. Il contesto è il più adatto, perché il
Natale è per eccellenza la festa della famiglia. Lo dimostrano tante
tradizioni e consuetudini sociali, specialmente l’usanza di riunirsi
insieme, in famiglia appunto, per i pasti festivi e per gli auguri e lo
scambio dei doni; e, come non rilevare che in queste circostanze, il
disagio e il dolore causati da certe ferite familiari vengono
amplificati? Gesù ha voluto nascere e crescere in una famiglia umana; ha
avuto la Vergine Maria come mamma e Giuseppe che gli ha fatto da padre;
essi l’hanno allevato ed educato con immenso amore. La famiglia di Gesù
merita davvero il titolo di "santa", perché è tutta presa dal desiderio
di adempiere la volontà di Dio, incarnata nell’adorabile presenza di
Gesù. Da una parte, è una famiglia come tutte e, in quanto tale, è
modello di amore coniugale, di collaborazione, di sacrificio, di
affidamento alla divina Provvidenza, di laboriosità e di solidarietà,
insomma, di tutti quei valori che la famiglia custodisce e promuove,
contribuendo in modo primario a formare il tessuto di ogni società. Al
tempo stesso, però, la Famiglia di Nazaret è unica, diversa da tutte,
per la sua singolare vocazione legata alla missione del Figlio di Dio.
Proprio con questa sua unicità essa addita ad ogni famiglia, e in primo
luogo alle famiglie cristiane, l’orizzonte di Dio, il primato dolce ed
esigente della sua volontà, la prospettiva del Cielo al quale siamo
destinati. Per tutto questo oggi rendiamo grazie a Dio, ma anche alla
Vergine Maria e a San Giuseppe, che con tanta fede e disponibilità hanno
cooperato al disegno di salvezza del Signore.
[...]
affidiamo al Signore ogni famiglia, specialmente quelle più provate
dalle difficoltà della vita e dalle piaghe dell’incomprensione e della
divisione. Il Redentore, nato a Betlemme, doni a tutte la serenità e la
forza di camminare unite nella via del bene.
_________________
Preghiera alla Santa Famiglia del Beato Giovanni Paolo II:
«
O Santa Famiglia di Nazareth, comunità d’amore di Gesù, Maria e
Giuseppe, modello e ideale di ogni famiglia cristiana, a te affidiamo le
nostre famiglie.
Apri
il cuore di ogni focolare domestico alla fede, all’accoglienza della
Parola di Dio, alla testimonianza cristiana, perché diventi sorgente di
nuove e sante vocazioni.
Disponi
le menti dei genitori, affinché con carità sollecita, cura sapiente e
pietà amorevole, siano per i figli guide sicure verso i beni spirituali
ed eterni.
Suscita
nell’animo dei giovani una coscienza retta ed una volontà libera,
perché crescendo in sapienza, età e grazia, accolgano generosamente il
dono della vocazione divina.
Santa
Famiglia di Nazareth, fa’ che tutti, contemplando ed imitando la
preghiera assidua, l’obbedienza generosa, la povertà dignitosa e la
purezza verginale vissuta in te, ci disponiamo a compiere la volontà di
Dio e ad accompagnare con previdente delicatezza quanti tra noi sono
chiamati a seguire più da vicino il Signore Gesù, che per noi ha dato sé
stesso. Amen ».
(Omelia 26.12.1993).
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Sabato 31 Dicembre 2011
IL TE DEUM LAUDAMUS
TE DEUM LAUDAMUS
Dall’Omelia di S.S. Benedetto XVI
Basilica Vaticana, 31 dic. 2008
Cari fratelli e sorelle!
L’anno
che si chiude e quello che si annuncia all’orizzonte sono posti
entrambi sotto lo sguardo benedicente della Santissima Madre di Dio.
[...]
Tutto dunque, questa sera, ci invita a volgere lo sguardo verso Colei che « accolse nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio e portò al mondo la vita" e proprio per questo - ricorda il Concilio Vaticano II - « viene riconosciuta e onorata come vera Madre di Dio » (Cost. Lumen gentium,
53). Il Natale di Cristo, che in questi giorni commemoriamo, è
interamente soffuso della luce di Maria e, mentre nel presepe ci
soffermiamo a contemplare il Bambino, lo sguardo non può non volgersi
riconoscente anche verso la Madre, che con il suo "sì"
ha reso possibile il dono della Redenzione. Ecco perché il tempo
natalizio porta con sé una profonda connotazione mariana; la nascita di
Gesù, uomo-Dio e la maternità divina di Maria sono realtà tra loro
inscindibili; il mistero di Maria ed il mistero dell’unigenito Figlio di
Dio che si fa uomo, formano un unico mistero, dove l’uno aiuta a meglio
comprendere l’altro. [...]
Questa
sera vogliamo porre nelle mani della celeste Madre di Dio il nostro
corale inno di ringraziamento al Signore per i benefici che lungo i
passati dodici mesi ci ha ampiamente concessi. Il primo sentimento, che
nasce spontaneo nel cuore questa sera, è proprio di lode e di azione di
grazie a Colui che ci fa dono del tempo, preziosa opportunità per
compiere il bene; uniamo la richiesta di perdono per non averlo forse
sempre utilmente impiegato. [...] Venendo nel mondo, il Verbo eterno del
Padre ci ha rivelato la vicinanza di Dio e la verità ultima sull’uomo e
sul suo destino eterno; è venuto a restare con noi per essere il nostro
insostituibile sostegno, specialmente nelle inevitabili difficoltà di
ogni giorno. E questa sera la Vergine stessa ci ricorda quale grande
dono Gesù ci ha fatto con la sua nascita, quale prezioso "tesoro"
costituisce per noi la sua Incarnazione. Nel suo Natale Gesù viene ad
offrire la sua Parola come lampada che guida i nostri passi; viene ad
offrire se stesso e di Lui, nostra certa speranza, dobbiamo saper
rendere ragione nella nostra esistenza quotidiana, consapevoli che « solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo » (Gaudium et spes, 22). [...]
Cari
fratelli e sorelle, [...]. Anche se all’orizzonte vanno disegnandosi
non poche ombre sul nostro futuro, non dobbiamo avere paura. La nostra
grande speranza di credenti è la vita eterna nella comunione di Cristo e
di tutta la famiglia di Dio. Questa grande speranza ci dà la forza di
affrontare e di superare le difficoltà della vita in questo mondo. La
materna presenza di Maria ci assicura questa sera che Dio non ci
abbandona mai, se noi ci affidiamo a Lui e seguiamo i suoi insegnamenti.
A Maria, dunque, con filiale affetto e fiducia, presentiamo le attese e
le speranze, come pure i timori e le difficoltà che ci abitano nel
cuore...
Lei,
la Vergine Madre, ci offre il Bambino che giace nella mangiatoia come
nostra sicura speranza. Pieni di fiducia, potremo allora cantare (in
latino con traduzione italiana affiancata >>> Te Deum) a conclusione del TE DEUM : « In te, Domine, speravi: non confundar in aeternum - Tu, Signore, sei la nostra speranza, non saremo confusi in eterno! ». Sì, Signore, in Te speriamo, oggi e sempre; Tu sei la nostra speranza. Amen!
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Domenica
1° Gennaio 2012
MARIA SS.MA MADRE DI DIO (Solennità)
Maria Ss.ma Madre di Dio
(Solennità)
Madre di Dio (in greco θεοτόκος; in latino Deipara o Dei genetrix) è un titolo che è stato dato a Maria nel 431 dal Concilio di Efeso attraverso la proclamazione di un dogma
ed è una conseguenza della dottrina cristologica affermata dal
concilio. Secondo il concilio Gesù Cristo, pur essendo sia Dio che uomo -
come già diceva in precedenza il concilio di Nicea (325) -, è un'unica
persona. Le due nature, divina e umana, sono inseparabili e perciò Maria
può essere legittimamente chiamata Madre di Dio. La solennità di Maria S.ma Madre di Dio è la prima festa mariana comparsa nella Chiesa occidentale.
Il Servo di Dio Paolo VI, volle, a partire dal 1967, che il 1° gennaio diventasse anche la Giornata Mondiale della Pace
; in questa occasione il Sommo Pontefice invia ai Capi delle Nazioni un
messaggio che invita alla riflessione sul tema della Pace.
Dall’omelia di Papa Benedetto XVI (Basilica Vaticana, 1° gennaio 2008) :
Cari fratelli e sorelle!
Iniziamo
quest’oggi un nuovo anno e ci prende per mano la speranza cristiana; lo
iniziamo invocando su di esso la benedizione divina ed implorando, per
intercessione di Maria, Madre di Dio, il dono della pace: per le nostre
famiglie, per le nostre città, per il mondo intero [...]
Nella
prima Lettura, tratta dal Libro dei Numeri, abbiamo ascoltato
l’invocazione: "Il Signore ti conceda pace" (6,26); il Signore doni pace
a ciascuno di voi, alle vostre famiglie, al mondo intero. Tutti
aspiriamo a vivere nella pace, ma la pace vera, quella annunciata dagli
angeli nella notte di Natale, non è semplice conquista dell’uomo o
frutto di accordi politici; è innanzitutto dono divino da implorare
costantemente e, allo stesso tempo, impegno da portare avanti con
pazienza restando sempre docili ai comandi del Signore...
Il
nostro pensiero si volge ora naturalmente alla Madonna, che oggi
invochiamo come Madre di Dio. Fu il Papa Paolo VI a trasferire al primo
gennaio la festa della Divina Maternità di Maria, che un tempo cadeva
l’11 di ottobre. Prima infatti della riforma liturgica seguita al
Concilio Vaticano II, nel primo giorno dell’anno si celebrava la memoria
della circoncisione di Gesù nell’ottavo giorno dopo la sua nascita -
come segno della sottomissione alla legge, il suo inserimento ufficiale
nel popolo eletto - e la domenica seguente si celebrava la festa del
nome di Gesù. Di queste ricorrenze scorgiamo qualche traccia nella
pagina evangelica che è stata poco fa proclamata, in cui san Luca
riferisce che otto giorni dopo la nascita il Bambino venne circonciso e
gli fu posto il nome di Gesù, "come era stato chiamato dall’angelo prima di essere concepito nel grembo della madre" (Lc
2,21). Quella odierna pertanto, oltre che essere una quanto mai
significativa festa mariana, conserva pure un contenuto fortemente
cristologico, perché, potremmo dire, prima della Madre, riguarda proprio
il Figlio, Gesù vero Dio e vero Uomo.
Al mistero della divina maternità di Maria, la Theotokos, fa riferimento l’apostolo Paolo nella Lettera ai Galati. "Quando venne la pienezza del tempo, - egli scrive - Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge"
(4,4). In poche parole troviamo sintetizzati il mistero
dell’incarnazione del Verbo eterno e la divina maternità di Maria: il
grande privilegio della Vergine sta proprio nell’essere Madre del Figlio
che è Dio. [...]
Il
titolo di Madre di Dio è il fondamento di tutti gli altri titoli con
cui la Madonna è stata venerata e continua ad essere invocata di
generazione in generazione, in Oriente e in Occidente.
Al mistero della sua divina maternità fanno riferimento tanti inni e
tante preghiere della tradizione cristiana, come ad esempio un’antifona
mariana del tempo natalizio, l’Alma Redemptoris mater con la quale così preghiamo: "Tu quae genuisti, natura mirante, tuum sanctum Genitorem, Virgo prius ac posterius – Tu, nello stupore di tutto il creato, hai generato il tuo Creatore, Madre sempre vergine".
Cari
fratelli e sorelle, contempliamo quest’oggi Maria, madre sempre vergine
del Figlio unigenito del Padre; impariamo da Lei ad accogliere il
Bambino che per noi è nato a Betlemme. Se nel Bimbo nato da Lei
riconosciamo il Figlio eterno di Dio e lo accogliamo come il nostro
unico Salvatore, possiamo essere detti e lo siamo realmente figli di
Dio: figli nel Figlio. Scrive l’Apostolo: "Dio
mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare
coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli" (Gal 4,4).
L’evangelista
Luca ripete più volte che la Madonna meditava silenziosa su questi
eventi straordinari nei quali Iddio l’aveva coinvolta. Lo abbiamo
ascoltato anche nel breve brano evangelico che quest’oggi la liturgia ci
ripropone. "Maria serbava queste cose meditandole nel suo cuore" (Lc 2,19). [...]
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Martedì 3 Gennaio 2012
IL SS. NOME DI GESÙ
S.mo Nome di Gesù
(memoria facoltativa)
Nel Martirologio Romano, questa memoria è così definita: « Santissimo Nome di Gesù, il solo in cui, nei cieli, sulla terra e sotto terra, si pieghi ogni ginocchio a gloria della maestà divina ». Queste parole sono tratte dalla Lettera ai Filippesi di S. Paolo (2, 8-11): « ...umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre. »
La venerazione del S.mo Nome di Gesù ebbe inizio “de facto” nei primi tempi della Chiesa, come mostrano i Cristogrammi che decorano l'arte paleocristiana.
Soltanto nel XIV sec., tuttavia, essa acquisì rilevanza liturgica, dando origine ad un vero e proprio culto, grazie all'impegno, per la sua diffusione e il suo riconoscimento ufficiale, profuso da S. Bernardino da Siena e dai suoi seguaci, fra cui soprattutto i beati Alberto da Sarteano e Bernardino da Feltre.
Quando nell’A.T. un profeta parla nel nome di Javhè, si intende che è Jahvè che parla per suo tramite. Un messaggero parla in nome di colui che lo invia: è il nome del mandante a conferirgli autorità. Molto spesso, però, il Nome di Dio è una metonimia per indicare Dio stesso.
Al Nome di Dio, quindi, viene attribuita l'opera di Dio (cfr. i Salmi: 20,2; 54,3; 89,25). Il nome esprime la potenza divina. Ad esempio è il nome di Dio l'arma di Davide davanti a Golia : « Davide rispose al Filisteo: “Tu vieni a me con la spada, con la lancia e con l'asta. Io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti, Dio delle schiere d'Israele, che tu hai insultato. In questo stesso giorno, il Signore ti farà cadere nelle mie mani. Io ti abbatterò e staccherò la testa dal tuo corpo e getterò i cadaveri dell'esercito filisteo agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche; tutta la terra saprà che vi è un Dio in Israele.” » (1Sam 17, 45-46)
Anche per gli scrittori del N.T. il nome di Dio è l'equivalente della persona divina ma applicato a Gesù. Nel suo nome si compiono prodigi (Mc 16,17-18), si guariscono gli ammalati (At 3,6). L'invocazione del suo nome è fonte di salvezza, di remissione dei peccati e di vita eterna (At 4,12; 1Gv 2,12; 1Cor 6,11; Gv 3,18; 1Gv 5,13). Il nome di Gesù è "al di sopra di ogni altro nome" (Fil 2, 8-11; Ef 1, 21; Eb 1,4).
Durante il Medioevo la devozione per il nome di Gesù è ben presente in alcuni Dottori della Chiesa, fra cui Bernardo di Chiaravalle, e in S. Francesco d'Assisi. Fu poi praticata in tutto il Senese, pochi decenni prima della predicazione di Bernardino da Siena, dai Gesuati (una fraternità laica dedita all’assistenza degli infermi, fondata nel 1360 dal senese beato Giovanni Colombini), i quali erano così detti per il loro frequente ripetere il nome di Gesù.
L'elaborazione, però, di una liturgia associata al nome di Gesù è conseguenza della predicazione di S. Bernardino da Siena, il quale focalizzò sul nome di Gesù il suo sforzo di rinnovare la Chiesa, sottolineando la centralità della persona di Gesù Cristo. Nella sottomissione al nome di Gesù, Bernardino risolveva i problemi concreti e attuali della vita pratica e sociale: gli odi politici, l'etica familiare, i doveri dei mercanti, la maldicenza, ecc.
In antitesi alle insegne araldiche delle famiglie nobiliari, le cui contese insanguinavano le città italiane, Bernardino inventò uno stemma dai colori vivaci, con cui rappresentare il nome di Gesù. Esso era costituito dal trigramma IHS, inscritto in un sole dorato con dodici raggi serpeggianti sopra uno scudo azzurro.
Questo simbolismo solare associato a Cristo, però, suscitò qualche opposizione, ma fu approvato da Pp Niccolò V (Tommaso Parentucelli, 1447-1455) nel 1450 a causa delle sue profonde radici nell'A.T. e grazie all'appassionata difesa da parte di S. Giovanni da Capestrano.
La liturgia del nome di Gesù si diffuse alla fine del XV secolo. Nel 1530, Pp Clemente VII (Giulio de' Medici, 1523-1534) autorizzò l’Ordine Francescano a recitare l’Ufficio del S.mo Nome di Gesù; e la celebrazione, ormai presente in varie località, fu estesa a tutta la Chiesa da Pp Innocenzo XIII (Michelangelo Conti, 1721-1724) nel 1721.
La Compagnia di Gesù diventò sostenitrice del culto e della dottrina, prendendo il trigramma bernardiniano come suo emblema e dedicando al S.mo Nome di Gesù le sue più belle e grandi chiese, edificate in tutto il mondo.
Il giorno di celebrazione variò tra le prime domeniche di gennaio, per attestarsi al 2 gennaio fino agli anni Settanta del Novecento, quando fu soppressa.
Il Beato Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła, 1978-2005) ha ripristinato al 3 gennaio la memoria facoltativa nel Calendario Romano.
Significato del nome Gesù: “Dio salva, Salvatore” (ebraico). |
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Venerdì 6 Gennaio 2012
L'EPIFANIA DEL SIGNORE (solennità)
EPIFANIA DEL SIGNORE
(solennità)
BENEDETTO XVI
Angelus
Piazza San Pietro
6 gennaio 2010
Cari fratelli e sorelle!
Celebriamo oggi la grande festa dell’Epifania, il mistero della Manifestazione del Signore a tutte le genti, rappresentate dai Magi, venuti dall’Oriente per adorare il Re dei Giudei (cfr Mt 2,1-2). San Matteo, che racconta l’avvenimento, sottolinea come essi arrivarono fino a Gerusalemme seguendo una stella, avvistata nel suo sorgere e interpretata quale segno della nascita del Re annunciato dai profeti, cioè del Messia. Giunti, però, a Gerusalemme, i Magi ebbero bisogno delle indicazioni dei sacerdoti e degli scribi per conoscere esattamente il luogo in cui recarsi, cioè Betlemme, la città di Davide (cfr Mt 2,5-6; Mic 5,1). La stella e le Sacre Scritture furono le due luci che guidarono il cammino dei Magi, i quali ci appaiono come modelli degli autentici cercatori della verità.
Essi erano dei sapienti, che scrutavano gli astri e conoscevano la storia dei popoli. Erano uomini di scienza in un senso ampio, che osservavano il cosmo ritenendolo quasi un grande libro pieno di segni e di messaggi divini per l’uomo. Il loro sapere, pertanto, lungi dal ritenersi autosufficiente, era aperto ad ulteriori rivelazioni ed appelli divini. Infatti, non si vergognano di chiedere istruzioni ai capi religiosi dei Giudei. Avrebbero potuto dire: facciamo da soli, non abbiamo bisogno di nessuno, evitando, secondo la nostra mentalità odierna, ogni “contaminazione” tra la scienza e la Parola di Dio. Invece i Magi ascoltano le profezie e le accolgono; e, appena si rimettono in cammino verso Betlemme, vedono nuovamente la stella, quasi a conferma di una perfetta armonia tra la ricerca umana e la Verità divina, un’armonia che riempì di gioia i loro cuori di autentici sapienti (cfr Mt 2,10). Il culmine del loro itinerario di ricerca fu quando si trovarono davanti “il bambino con Maria sua madre” (Mt 2,11). Dice il Vangelo che “prostratisi lo adorarono”. Avrebbero potuto rimanere delusi, anzi, scandalizzati. Invece, da veri sapienti, sono aperti al mistero che si manifesta in maniera sorprendente; e con i loro doni simbolici dimostrano di riconoscere in Gesù il Re e il Figlio di Dio. Proprio in quel gesto si compiono gli oracoli messianici che annunciano l’omaggio delle nazioni al Dio d’Israele.
Un ultimo particolare conferma, nei Magi, l’unità tra intelligenza e fede: è il fatto che “avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese” (Mt 2,12). Sarebbe stato naturale ritornare a Gerusalemme, nel palazzo di Erode e nel Tempio, per dare risonanza alla loro scoperta. Invece, i Magi, che hanno scelto come loro sovrano il Bambino, la custodiscono nel nascondimento, secondo lo stile di Maria, o meglio, di Dio stesso e, così come erano apparsi, scompaiono nel silenzio, appagati, ma anche cambiati dall’incontro con la Verità. Avevano scoperto un nuovo volto di Dio, una nuova regalità: quella dell’amore.
Ci aiuti la Vergine Maria, modello di vera sapienza, ad essere autentici ricercatori della verità di Dio, capaci di vivere sempre la profonda sintonia che c’è tra ragione e fede, scienza e rivelazione. |
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Il proverbio profano dice, ho Signore:
"Con l'epifania, ogni festa porta via",
ma non portera' via il tuo alito di vita e di Fede che
hai regalato con la Tua venuta, della quale ne
abbiamo tanto bisogno, e che ci accompagnera'
passo passo per tutti i giorni a venire. Resta con noi Signore. Amen
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Domenica 8 Gennaio 2012
IL BATTESIMO DEL SIGNORE (Festa)
Battesimo del Signore
(festa)
Il Battesimo di Gesù (1° dei Misteri della Luce, introdotti dal Beato Giovanni Paolo II) da parte di Giovanni Battista è raccontato da ciascuno dei Vangeli sinottici : Matteo 3,13-17; Marco 1,9-11 e Luca 3,21-22. Il più eloquente dei tre è, però, Matteo :
[13] In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui.
[14] Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: "Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?".
[15] Ma Gesù gli disse: "Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia". Allora Giovanni acconsentì.
[16] Appena battezzato, Gesù uscì dall'acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui.
[17] Ed ecco una voce dal cielo che disse: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto".
La Chiesa Cattolica festeggia il Battesimo di Gesù la domenica dopo l’Epifania del Signore. Siccome l'Epifania è il 6 gennaio, la festa del Battesimo cade nella domenica compresa tra il 7 ed il 13 gennaio, concludendo il periodo natalizio dell’anno liturgico come, del resto, si può leggere nel testo che segue:
FESTA DEL BATTESIMO DEL SIGNORE
BENEDETTO XVI
Angelus
Piazza San Pietro (Domenica, 13 gennaio 2008)
Cari fratelli e sorelle!
Con l’odierna festa del Battesimo di Gesù si chiude il tempo liturgico di Natale. Il Bambino, che a Betlemme i Magi vennero ad adorare dall’oriente offrendo i loro doni simbolici, lo ritroviamo ora adulto, nel momento in cui si fa battezzare nel fiume Giordano dal grande profeta Giovanni (cfr Mt 3,13). Nota il Vangelo che quando Gesù, ricevuto il battesimo, uscì dall’acqua, si aprirono i cieli e scese su di lui lo Spirito Santo come una colomba (cfr Mt 3,16). Si udì allora una voce dal cielo che diceva: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto" (Mt 3,17). Fu quella la sua prima manifestazione pubblica, dopo trent’anni circa di vita nascosta a Nazaret. Testimoni oculari del singolare avvenimento furono, oltre al Battista, i suoi discepoli, alcuni dei quali divennero da allora seguaci di Cristo (cfr Gv 1,35-40). Si trattò contemporaneamente di cristofania e teofania: anzitutto Gesù si manifestò come il Cristo, termine greco per tradurre l’ebraico Messia, che significa "unto": Egli non fu unto con l’olio alla maniera dei re e dei sommi sacerdoti d’Israele, bensì con lo Spirito Santo. Al tempo stesso, insieme con il Figlio di Dio apparvero i segni dello Spirito Santo e del Padre celeste.
Qual’è il significato di questo atto, che Gesù volle compiere – vincendo la resistenza del Battista – per obbedire alla volontà del Padre (cfr Mt 3,14-15)? Il senso profondo emergerà solo alla fine della vicenda terrena di Cristo, cioè nella sua morte e risurrezione. Facendosi battezzare da Giovanni insieme con i peccatori, Gesù ha iniziato a prendere su di sé il peso della colpa dell’intera umanità, come Agnello di Dio che "toglie" il peccato del mondo (cfr Gv 1,29). Opera che Egli portò a compimento sulla croce, quando ricevette anche il suo "battesimo" (cfr Lc 12,50). Morendo infatti si "immerse" nell’amore del Padre ed effuse lo Spirito Santo, affinché i credenti in Lui potessero rinascere da quella sorgente inesauribile di vita nuova ed eterna. Tutta la missione di Cristo si riassume in questo: battezzarci nello Spirito Santo, per liberarci dalla schiavitù della morte e "aprirci il cielo", l’accesso cioè alla vita vera e piena, che sarà "un sempre nuovo immergersi nella vastità dell’essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia" (Spe salvi, 12).
... E preghiamo per tutti i cristiani, affinché possano comprendere sempre più il dono del Battesimo e si impegnino a viverlo con coerenza, testimoniando l’amore del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. |
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Mercoledì 25 Gennaio 2012
LA CONVERSIONE DI S. PAOLO APOSTOLO (festa)
Conversione di San Paolo
Catechesi di Papa Benedetto XVI
(3 settembre 2008)
Cari fratelli e sorelle,
La catechesi di oggi sarà dedicata all’esperienza che san Paolo ebbe sulla via di Damasco e quindi a quella che comunemente si chiama la sua conversione.
Proprio sulla strada di Damasco, nei primi anni 30 del secolo I°, e dopo un periodo in cui aveva perseguitato la Chiesa, si verificò il momento decisivo della vita di Paolo. Su di esso molto è stato scritto e naturalmente da diversi punti di vista. Certo è che là avvenne una svolta, anzi un capovolgimento di prospettiva. Allora egli, inaspettatamente, cominciò a considerare “perdita” e “spazzatura” tutto ciò che prima costituiva per lui il massimo ideale, quasi la ragion d'essere della sua esistenza (cfr Fil 3,7-8). Che cos’era successo?
Abbiamo a questo proposito due tipi di fonti. Il primo tipo, il più conosciuto, sono i racconti dovuti alla penna di Luca, che per ben tre volte narra l’evento negli Atti degli Apostoli (cfr 9,1-19; 22,3-21; 26,4-23). Il lettore medio è forse tentato di fermarsi troppo su alcuni dettagli, come la luce dal cielo, la caduta a terra, la voce che chiama, la nuova condizione di cecità, la guarigione come per la caduta di squame dagli occhi e il digiuno. Ma tutti questi dettagli si riferiscono al centro dell’avvenimento: il Cristo risorto appare come una luce splendida e parla a Saulo, trasforma il suo pensiero e la sua stessa vita. Lo splendore del Risorto lo rende cieco: appare così anche esteriormente ciò che era la sua realtà interiore, la sua cecità nei confronti della verità, della luce che è Cristo. E poi il suo definitivo “sì” a Cristo nel battesimo riapre di nuovo i suoi occhi, lo fa realmente vedere.
Nella Chiesa antica il battesimo era chiamato anche “illuminazione”, perché tale sacramento dà la luce, fa vedere realmente. Quanto così si indica teologicamente, in Paolo si realizza anche fisicamente: guarito dalla sua cecità interiore, vede bene. San Paolo, quindi, è stato trasformato non da un pensiero ma da un evento, dalla presenza irresistibile del Risorto, della quale mai potrà in seguito dubitare tanto era stata forte l’evidenza dell’evento, di questo incontro. Esso cambiò fondamentalmente la vita di Paolo; in questo senso si può e si deve parlare di una conversione. Questo incontro è il centro del racconto di san Luca, il quale è ben possibile che abbia utilizzato un racconto nato probabilmente nella comunità di Damasco. Lo fa pensare il colorito locale dato dalla presenza di Ananìa e dai nomi sia della via che del proprietario della casa in cui Paolo soggiornò (cfr At 9,11).
Il secondo tipo di fonti sulla conversione è costituito dalle stesse Lettere di san Paolo. Egli non ha mai parlato in dettaglio di questo avvenimento, penso perché poteva supporre che tutti conoscessero l’essenziale di questa sua storia, tutti sapevano che da persecutore era stato trasformato in apostolo fervente di Cristo. E ciò era avvenuto non in seguito ad una propria riflessione, ma ad un evento forte, ad un incontro con il Risorto. Pur non parlando dei dettagli, egli accenna diverse volte a questo fatto importantissimo, che cioè anche lui è testimone della risurrezione di Gesù, della quale ha ricevuto immediatamente da Gesù stesso la rivelazione, insieme con la missione di apostolo. Il testo più chiaro su questo punto si trova nel suo racconto su ciò che costituisce il centro della storia della salvezza: la morte e la risurrezione di Gesù e le apparizioni ai testimoni (cfr. 1 Cor 15). Con parole della tradizione antichissima, che anch’egli ha ricevuto dalla Chiesa di Gerusalemme, dice che Gesù morto crocifisso, sepolto, risorto apparve, dopo la risurrezione, prima a Cefa, cioè a Pietro, poi ai Dodici, poi a cinquecento fratelli che in gran parte in quel tempo vivevano ancora, poi a Giacomo, poi a tutti gli Apostoli.
E a questo racconto ricevuto dalla tradizione aggiunge: “Ultimo fra tutti apparve anche a me” (1 Cor 15,8). Così fa capire che questo è il fondamento del suo apostolato e della sua nuova vita. Vi sono pure altri testi nei quali appare la stessa cosa: “Per mezzo di Gesù Cristo abbiamo ricevuto la grazia dell'apostolato” (cfr Rm 1,5); e ancora: “Non ho forse veduto Gesù, Signore nostro?” (1 Cor 9,1), parole con le quali egli allude ad una cosa che tutti sanno.
E finalmente il testo più diffuso si legge in Gal 1,15-17: “Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco”. In questa “autoapologia” sottolinea decisamente che anche lui è vero testimone del Risorto, ha una propria missione ricevuta immediatamente dal Risorto.
Possiamo così vedere che le due fonti, gli Atti degli Apostoli e le Lettere di san Paolo, convergono e convengono sul punto fondamentale: il Risorto ha parlato a Paolo, lo ha chiamato all’apostolato, ha fatto di lui un vero apostolo, testimone della risurrezione, con l’incarico specifico di annunciare il Vangelo ai pagani, al mondo greco-romano. E nello stesso tempo Paolo ha imparato che, nonostante l’immediatezza del suo rapporto con il Risorto, egli deve entrare nella comunione della Chiesa, deve farsi battezzare, deve vivere in sintonia con gli altri apostoli. Solo in questa comunione con tutti egli potrà essere un vero apostolo, come scrive esplicitamente nella prima Lettera ai Corinti: “Sia io che loro così predichiamo e così avete creduto” (15, 11). C’è solo un annuncio del Risorto, perché Cristo è uno solo.
Come si vede, in tutti questi passi Paolo non interpreta mai questo momento come un fatto di conversione. Perché? Ci sono tante ipotesi, ma per me il motivo è molto evidente. Questa svolta della sua vita, questa trasformazione di tutto il suo essere non fu frutto di un processo psicologico, di una maturazione o evoluzione intellettuale e morale, ma venne dall’esterno: non fu il frutto del suo pensiero, ma dell’incontro con Cristo Gesù. In questo senso non fu semplicemente una conversione, una maturazione del suo “io”, ma fu morte e risurrezione per lui stesso: morì una sua esistenza e un’altra nuova ne nacque con il Cristo Risorto. In nessun altro modo si può spiegare questo rinnovamento di Paolo. Tutte le analisi psicologiche non possono chiarire e risolvere il problema. Solo l'avvenimento, l'incontro forte con Cristo, è la chiave per capire che cosa era successo: morte e risurrezione, rinnovamento da parte di Colui che si era mostrato e aveva parlato con lui. In questo senso più profondo possiamo e dobbiamo parlare di conversione. Questo incontro è un reale rinnovamento che ha cambiato tutti i suoi parametri. Adesso può dire che ciò che prima era per lui essenziale e fondamentale, è diventato per lui “spazzatura”; non è più “guadagno”, ma perdita, perché ormai conta solo la vita in Cristo.
Non dobbiamo tuttavia pensare che Paolo sia stato così chiuso in un avvenimento cieco. È vero il contrario, perché il Cristo Risorto è la luce della verità, la luce di Dio stesso. Questo ha allargato il suo cuore, lo ha reso aperto a tutti. In questo momento non ha perso quanto c'era di bene e di vero nella sua vita, nella sua eredità, ma ha capito in modo nuovo la saggezza, la verità, la profondità della legge e dei profeti, se n'è riappropriato in modo nuovo. Nello stesso tempo, la sua ragione si è aperta alla saggezza dei pagani; essendosi aperto a Cristo con tutto il cuore, è divenuto capace di un dialogo ampio con tutti, è divenuto capace di farsi tutto a tutti. Così realmente poteva essere l'apostolo dei pagani.
Venendo ora a noi stessi, ci chiediamo che cosa vuol dire questo per noi? Vuol dire che anche per noi il cristianesimo non è una nuova filosofia o una nuova morale. Cristiani siamo soltanto se incontriamo Cristo. Certamente Egli non si mostra a noi in questo modo irresistibile, luminoso, come ha fatto con Paolo per farne l'apostolo di tutte le genti. Ma anche noi possiamo incontrare Cristo, nella lettura della Sacra Scrittura, nella preghiera, nella vita liturgica della Chiesa. Possiamo toccare il cuore di Cristo e sentire che Egli tocca il nostro. Solo in questa relazione personale con Cristo, solo in questo incontro con il Risorto diventiamo realmente cristiani. E così si apre la nostra ragione, si apre tutta la saggezza di Cristo e tutta la ricchezza della verità. Quindi preghiamo il Signore perché ci illumini, perché ci doni nel nostro mondo l'incontro con la sua presenza: e così ci dia una fede vivace, un cuore aperto, una grande carità per tutti, capace di rinnovare il mondo. |
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Giovedì 2 Febbraio 2012
LA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE (festa)
Presentazione del Signore
Candelora (festa)
Per la Chiesa di Gerusalemme, la data scelta per la festa della presentazione fu da principio il 15 febbraio, 40 giorni dopo la nascita di Gesù, che allora l’Oriente celebrava il 6 gennaio, in conformità alla legge ebraica che imponeva questo spazio di tempo tra la nascita di un bambino e la purificazione di sua madre.
Quando la festa, nei secoli VI e VII, si estese in Occidente, fu anticipata al 2 febbraio, perché la nascita di Gesù era celebrata al 25 dicembre.
A Roma, la presentazione fu unita a una cerimonia penitenziale che si celebrava in contrapposizione ai riti pagani delle "lustrazioni". Poco alla volta la festa si appropriò la processione di penitenza che divenne una specie di imitazione della presentazione di Cristo al Tempio.
S. Sergio I (687-701), di origine orientale, fece tradurre in latino i canti della festa greca, che furono adottati per la processione romana. Nel secolo X la Gallia organizzò una solenne benedizione delle candele che si usavano in questa processione; un secolo più tardi aggiunse l’antifona Lumen ad revelationem con il cantico di Simeone (Nunc dimittis).
Dall’omelia del Beato Giovanni Paolo II
Basilica Vaticana - Martedì, 2 febbraio 1993
Carissimi fratelli e sorelle, in questa solenne celebrazione della Festa della presentazione di Gesù al Tempio, saluto di cuore tutti voi che siete venuti qui.
1. “Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio” (Lc 2, 27). Le parole, che leggiamo nel brano evangelico dell’odierna liturgia, si riferiscono a Simeone, un pio israelita che “aspettava il conforto d’Israele”, cioè la venuta del Messia. A lui fu affidata la parola della Rivelazione nel momento della presentazione di Gesù al tempio di Gerusalemme, quaranta giorni dopo la sua nascita a Betlemme. L’evangelista sottolinea come su questo uomo timorato di Dio stava lo Spirito Santo (cf. Lc 2, 26), il quale gli aveva preannunciato che “non avrebbe visto la morte senza aver prima veduto il Messia del Signore” (Lc 2, 26). L’evangelista ribadisce in particolare che Simeone, mosso appunto dallo Spirito, si recò al tempio il giorno in cui “i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge” (Lc 2, 27). Insieme a Simeone il testo evangelico presenta anche la profetessa Anna, sottolineando così la sua partecipazione alla Rivelazione del Messia: “Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme” (Lc 2, 38).
2. La presentazione di Gesù al tempio di Gerusalemme è strettamente collegata col mistero dell’Epifania. L’Epifania mette infatti in evidenza la presenza e l’azione dello Spirito Santo, che guida gli uomini ad incontrare e a riconoscere il Salvatore e a darne poi testimonianza. Lo Spirito Santo discenderà sugli Apostoli nel giorno della Pentecoste. Nel momento della presentazione la sua presenza anticipa e prepara quel giorno. Anticipa e prepara, 30 anni prima, l’epifania sulla riva del Giordano e tutta la missione messianica di Gesù di Nazaret. Al tempo stesso, la presentazione di Gesù al tempio esprime in maniera drammatica le modalità di tale missione salvifica. Rivolgendosi a Maria, la Madre di Gesù, Simeone dice: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2, 34-35). Illuminato dallo Spirito Santo, Simeone vede nel Bambino, presentato a Dio da Maria e Giuseppe, Colui che è venuto per prendersi cura dei figli di Abramo. “Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo” (Eb 2, 17). Ma Simeone vede già tutto questo? Lo vede veramente anche la profetessa Anna? La Chiesa, comunque, ritrova tutto ciò nella loro testimonianza. Lo ritrova nelle parole di Simeone. In esse la Chiesa ritrova anche un riferimento spirituale a quel tempio, le cui porte sollevano i propri frontali perché possa entrare il re della gloria (cf. Sal 24 (23),7); Colui che, al tempo stesso, è anche un segno di contraddizione [...] Amen! |
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Sabato 11 Febbraio 2012
LA BEATA MARIA VERGINE DI LOURDES
Beata Maria Vergine di Lourdes
(memoria facoltativa)
Giornata Mondiale del Malato
Beata Maria Vergine di Lourdes (o Nostra Signora di Lourdes o Nostra Signora del Rosario o, più semplicemente, Madonna di Lourdes) è l’appellativo con cui la Chiesa cattolica e i fedeli venerano la Madre di Gesù in rapporto ad una delle più venerate apparizioni mariane.
Il nome della località si riferisce al comune francese di Lourdes, nel cui territorio - tra l'11 febbraio ed il 16 luglio 1858 - la giovane Bernadette Soubirous, contadina quattordicenne del luogo, riferì di aver assistito a diciotto apparizioni di una “bella Signora” in una grotta poco distante dal piccolo sobborgo di Massabielle. A proposito della prima apparizione, Bernadette affermò : “Io scorsi una signora vestita di bianco. Indossava un abito bianco, un velo bianco, una cintura blu ed una rosa gialla su ogni piede.” Questa immagine della Vergine, vestita di bianco e con una cintura azzurra che le cingeva la vita, è poi entrata nell'iconografia classica.
Nel luogo indicato da Bernadette, come teatro delle apparizioni, fu posta nel 1864 una statua della Madonna. Intorno alla grotta delle apparizioni è andato nel tempo sviluppandosi un imponente santuario dove si recano, ogni anno, oltre cinque milioni di visitatori (credenti e non credenti) provenienti da ogni parte del mondo.
Dettaglio delle principali apparizioni, secondo il racconto di Bernadette:
· 11 febbraio : prima apparizione. La Signora recita il Rosario, Bernadette si unisce a lei. Al termine della preghiera, la Signora svanisce.
- 18 febbraio : terza apparizione. Per la prima volta la Signora rivolge la parola a Bernadette : “Potete avere la gentilezza di venire qui durante quindici giorni?”.
- 21 febbraio : sesta apparizione. La voce si è sparsa e Bernadette viene seguita alla grotta da circa cento persone. Nelle apparizioni successive la folla cresce, alla quindicesima saranno circa ottomila. Al termine Bernadette è interrogata dalla polizia.
- 25 febbraio : nona apparizione. Su richiesta della Signora, Bernadette scava con le mani nel terreno e trova una sorgente d'acqua.
- 1° marzo : dodicesima apparizione. Si verifica il primo miracolo: una donna di nome Caterina Latapie immerge il suo braccio slogato nell'acqua della fonte, e riacquista la mobilità dell'arto.
- 25 marzo : sedicesima apparizione. Finalmente la Signora, che fino ad allora non aveva voluto dire il proprio nome, risponde alla domanda con queste parole pronunciate in dialetto guascone, l'unica lingua che Bernadette comprendeva: “Que soy era Immaculada Councepcio ” (“Io sono l’Immacolata Concezione”).
Quattro anni prima, l’8 dicembre 1854, il Beato Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti, 1846-1878) con la bolla “Ineffabilis Deus”, aveva dichiarato l'Immacolata Concezione di Maria un dogma, cioè una verità della fede cattolica, ma questo Bernadette non poteva saperlo. Così, nel timore di dimenticare tale espressione per lei incomprensibile, la ragazza partì velocemente verso la casa dell’abate Peyramale, ripetendogli tutto d’un fiato la frase appena ascoltata.
L’abate, sconvolto, non ha più dubbi. Da questo momento il cammino verso il riconoscimento ufficiale delle apparizioni può procedere speditamente. Infatti, entrando alla Basilica Superiore, sulla parete destra in basso, si può leggere incisa nel marmo la dichiarazione solenne del Vescovo, Mons. Laurence, sulle Apparizioni : “Riteniamo che Maria Immacolata, Madre di Dio, è realmente apparsa a Bernadette Soubirous, l'11 febbraio 1858 ed i giorni seguenti, in numero di diciotto volte, nella grotta di Massabielle, nei pressi della città di Lourdes; che questa apparizione riveste tutti i caratteri della verità, e che i fedeli hanno ragioni fondate a crederla certa. Sottoponiamo umilmente il nostro giudizio al giudizio del Sovrano Pontefice, che è incaricato di governare la Chiesa universale .”
Questa dichiarazione del Vescovo di Tarbes è capitale: 4 anni dopo le apparizioni, il 18 gennaio 1862, le riconosce autentiche in nome della Chiesa.
Dall’omelia di Pp Benedetto XVI - Messa per il 150° anniversario delle apparizioni
(Prairie, Lourdes - Domenica, 14 settembre 2008) :
Cari pellegrini, fratelli e sorelle,
[...] Seguendo il percorso giubilare sulle orme di Bernadette, l’essenziale del messaggio di Lourdes ci è ricordato. Bernadette è la maggiore di una famiglia molto povera, che non possiede né sapere né potere, è debole di salute. Maria la sceglie per trasmettere il suo messaggio di conversione, di preghiera e di penitenza, in piena sintonia con la parola di Gesù: “Hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25)... E’ dunque una vera catechesi che ci è proposta sotto lo sguardo di Maria. Lasciamo che la Vergine istruisca pure noi e ci guidi sul cammino che conduce al Regno del Figlio suo! [...]
Cari fratelli e sorelle, la vocazione primaria del santuario di Lourdes è di essere un luogo di incontro con Dio nella preghiera, e un luogo di servizio ai fratelli, soprattutto per l’accoglienza dei malati, dei poveri e di tutte le persone che soffrono. In questo luogo Maria viene a noi come la madre, sempre disponibile ai bisogni dei suoi figli. Attraverso la luce che emana dal suo volto, è la misericordia di Dio che traspare. Lasciamoci toccare dal suo sguardo: esso ci dice che siamo tutti amati da Dio, mai da Lui abbandonati! Maria viene a ricordarci che la preghiera, intensa e umile, confidente e perseverante, deve avere un posto centrale nella nostra vita cristiana. La preghiera è indispensabile per accogliere la forza di Cristo. “Chi prega non spreca il suo tempo, anche se la situazione ha tutte le caratteristiche dell’emergenza e sembra spingere unicamente all’azione” (Enc. Deus caritas est, n. 36). [...]
Santa Maria, Madre di Dio e Madre nostra, insegnaci a credere, a sperare e ad amare con te. Indicaci la via verso il regno del tuo Figlio Gesù! Stella del mare, brilla su di noi e guidaci nel nostro cammino! (cfr Enc. Spe salvi, n.50). Amen. |
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Mercoledì
22 Febbraio 2012
LA CATTEDRA DI SAN PIETRO APOSTOLO (festa)
Cattedra di San Pietro Apostolo
(festa)
Dalla catechesi di Benedetto XVI (22 febbraio 2006)
Meditazione sul tema :
"La Cattedra di Pietro, dono di Cristo alla sua Chiesa"
Cari fratelli e sorelle!
La
Liturgia latina celebra oggi la festa della Cattedra di San Pietro. Si
tratta di una tradizione molto antica, attestata a Roma fin dal secolo
IV, con la quale si rende grazie a Dio per la missione affidata
all'apostolo Pietro e ai suoi successori. La "cattedra", letteralmente, è il seggio fisso del Vescovo, posto nella chiesa madre di una Diocesi, che per questo viene detta "cattedrale", ed è il simbolo dell'autorità del Vescovo e, in particolare, del suo "magistero",
cioè dell'insegnamento evangelico che egli, in quanto successore degli
Apostoli, è chiamato a custodire e trasmettere alla Comunità cristiana.
Quando il Vescovo prende possesso della Chiesa particolare che gli è
stata affidata, egli, portando la mitra e il bastone pastorale, si siede
sulla cattedra. Da quella sede guiderà, quale maestro e pastore, il
cammino dei fedeli, nella fede, nella speranza e nella carità.
Quale fu, dunque, la "cattedra" di san Pietro? Egli, scelto da Cristo come "roccia" su cui edificare la Chiesa (cfr Mt 16, 18), iniziò il suo ministero a Gerusalemme, dopo l'Ascensione del Signore e la Pentecoste. La prima "sede"
della Chiesa fu il Cenacolo, ed è probabile che in quella sala, dove
anche Maria, la Madre di Gesù, pregò insieme ai discepoli, un posto
speciale fosse riservato a Simon Pietro. Successivamente, la sede di
Pietro divenne Antiochia, città situata sul fiume Oronte, in Siria, oggi
in Turchia, a quei tempi terza metropoli dell'impero romano dopo Roma e
Alessandria d'Egitto. Di quella città, evangelizzata da Barnaba e
Paolo, dove "per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani" (At
11, 26), dove quindi è nato il nome cristiani per noi, Pietro fu il
primo vescovo, tanto che il Martirologio Romano, prima della riforma del
calendario, prevedeva anche una specifica celebrazione della Cattedra
di Pietro ad Antiochia. Da lì, la Provvidenza condusse Pietro a Roma.
Quindi abbiamo il cammino da Gerusalemme, Chiesa nascente, ad Antiochia,
primo centro della Chiesa raccolta dai pagani e ancora unita con la
Chiesa proveniente dagli Ebrei. Poi Pietro si recò a Roma, centro
dell'Impero, simbolo dell'"Orbis" - l'"Urbs" che esprime l'"Orbis"
la terra - dove concluse con il martirio la sua corsa al servizio del
Vangelo. Per questo la sede di Roma, che aveva ricevuto il maggior
onore, raccolse anche l'onere affidato da Cristo a Pietro di essere al
servizio di tutte le Chiese particolari per l'edificazione e l'unità
dell'intero Popolo di Dio.
La sede di Roma, dopo queste migrazioni di San Pietro, venne così riconosciuta come quella del successore di Pietro, e la "cattedra"
del suo Vescovo rappresentò quella dell'Apostolo incaricato da Cristo
di pascere tutto il suo gregge. Lo attestano i più antichi Padri della
Chiesa, come ad esempio sant'Ireneo, Vescovo di Lione, ma che veniva
dall'Asia Minore, il quale, nel suo trattato Contro le eresie, descrive la Chiesa di Roma come "più grande e più antica, conosciuta da tutti; ... fondata e costituita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo"; e aggiunge: "Con questa Chiesa, per la sua esimia superiorità, deve accordarsi la Chiesa universale, cioè i fedeli che sono ovunque" (III, 3, 2-3). Tertulliano, poco più tardi, da parte sua, afferma: "Questa Chiesa di Roma, quanto è beata! Furono gli Apostoli stessi a versare a lei, col loro sangue, la dottrina tutta quanta" (La prescrizione degli eretici,
36). La cattedra del Vescovo di Roma rappresenta, pertanto, non solo il
suo servizio alla comunità romana, ma la sua missione di guida
dell'intero Popolo di Dio.
Celebrare la "Cattedra"
di Pietro, come facciamo oggi, significa, perciò, attribuire ad essa un
forte significato spirituale e riconoscervi un segno privilegiato
dell'amore di Dio, Pastore buono ed eterno, che vuole radunare l'intera
sua Chiesa e guidarla sulla via della salvezza. Tra le tante
testimonianze dei Padri, mi piace riportare quella di san Girolamo,
tratta da una sua lettera scritta al Vescovo di Roma, particolarmente
interessante perché fa esplicito riferimento proprio alla "cattedra" di Pietro, presentandola come sicuro approdo di verità e di pace. Così scrive Girolamo: "Ho
deciso di consultare la cattedra di Pietro, dove si trova quella fede
che la bocca di un Apostolo ha esaltato; vengo ora a chiedere un
nutrimento per la mia anima lì, dove un tempo ricevetti il vestito di
Cristo. Io non seguo altro primato se non quello di Cristo; per questo
mi metto in comunione con la tua beatitudine, cioè con la cattedra di
Pietro. So che su questa pietra è edificata la Chiesa" (Le lettere I, 15, 1-2).
Cari
fratelli e sorelle, nell'abside della Basilica di S. Pietro, come
sapete, si trova il monumento alla Cattedra dell'Apostolo, opera matura
del Bernini, realizzata in forma di grande trono bronzeo, sorretto dalle
statue di quattro Dottori della Chiesa, due d'occidente, sant'Agostino e
sant'Ambrogio, e due d'oriente, san Giovanni Crisostomo e
sant'Atanasio. Vi invito a sostare di fronte a tale opera suggestiva,
che oggi è possibile ammirare decorata da tante candele, e pregare in
modo particolare per il ministero che Iddio mi ha affidato. Alzando lo
sguardo alla vetrata di alabastro che si apre proprio sopra la Cattedra,
invocate lo Spirito Santo, affinché sostenga sempre con la sua luce e
la sua forza il mio quotidiano servizio a tutta la Chiesa. Di questo,
come della vostra devota attenzione, vi ringrazio di cuore.
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Mercoledì
22 Febbraio 2012
IL MERCOLEDì DELLE CENERI
Mercoledì delle Ceneri
Omelia del Beato Giovanni Paolo II
(Mercoledì delle Ceneri, 25 febbraio 2004)
1. “Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt
6,4.6.18). Questa parola di Gesù è indirizzata a ciascuno di noi
all’inizio del cammino quaresimale. Lo intraprendiamo con l'imposizione
delle ceneri, austero gesto penitenziale, tanto caro alla tradizione
cristiana. Esso sottolinea la consapevolezza dell’uomo peccatore di
fronte alla maestà e alla santità di Dio. Allo stesso tempo, ne
manifesta la disponibilità ad accogliere e tradurre in scelte concrete
l’adesione al Vangelo.
Molto eloquenti sono le formule che l’accompagnano. La prima, tratta dal Libro della Genesi: “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai”
(cfr 3,19), evoca l’attuale condizione umana posta sotto il segno della
caducità e del limite. La seconda riprende le parole evangeliche: “Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc
1,15), che costituiscono un appello pressante a cambiare vita. Entrambe
le formule ci invitano ad entrare nella Quaresima con un atteggiamento
di ascolto e di sincera conversione.
2. Il Vangelo sottolinea che il Signore “vede nel segreto”,
scruta cioè il cuore. I gesti esteriori di penitenza hanno valore se
sono espressione di un atteggiamento interiore, se manifestano la ferma
volontà di allontanarsi dal male e di percorrere la strada del bene. Sta
qui il senso profondo dell'ascesi cristiana.
“Ascesi”: la parola stessa evoca l'immagine del salire verso mete elevate.
Ciò comporta necessariamente sacrifici e rinunce. Occorre, infatti,
ridurre all'essenziale l’equipaggiamento per non appesantire il viaggio;
essere disposti ad affrontare ogni difficoltà e superare tutti gli
ostacoli per raggiungere l’obiettivo prefissato. Per diventare autentici
discepoli di Cristo, è necessario rinunciare a se stessi, prendere la
propria croce ogni giorno e seguirlo (cfr Lc 9,23). E’ il sentiero arduo della santità, che ogni battezzato è chiamato a percorrere.
3. Da sempre la Chiesa indica alcuni utili mezzi per camminare su questa via. è anzitutto l’umile e docile adesione al volere di Dio accompagnata da incessante preghiera; sono le forme penitenziali tipiche
della tradizione cristiana, come l'astinenza, il digiuno, la
mortificazione e la rinuncia anche a beni di per sé legittimi; sono i gesti concreti di accoglienza
nei confronti del prossimo, che l’odierna pagina del Vangelo evoca con
la parola “elemosina”. Tutto questo viene riproposto con maggiore
intensità durante il periodo quaresimale, che rappresenta, al riguardo,
un “tempo forte” di allenamento spirituale e di generoso servizio ai
fratelli.
4. A questo proposito, nel Messaggio per la Quaresima
ho voluto attirare l’attenzione, in particolare, sulle difficili
condizioni in cui versano tanti bambini nel mondo, ricordando le parole
di Cristo: “Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me” (Mt 18,5). Chi, infatti, più del fanciullo inerme e fragile ha bisogno di essere difeso e protetto?
Molte
e complesse sono le problematiche che investono il mondo dell’infanzia.
Auspico vivamente che a questi nostri fratelli più piccoli, spesso
abbandonati a se stessi, venga riservata la dovuta cura grazie anche
alla nostra solidarietà. E’ questo un modo concreto di tradurre il
nostro sforzo quaresimale.
Carissimi Fratelli e Sorelle, con tali sentimenti iniziamo la Quaresima, cammino di preghiera, di penitenza e di autentica ascesi cristiana.
Ci accompagni Maria, la Madre di Cristo. Il suo esempio e la sua
intercessione ci ottengano di procedere con gioia verso la Pasqua.
Dalla Catechesi di Papa Benedetto XVI
(Mercoledì delle Ceneri, 17 febbraio 2010)
« Conversione è andare controcorrente,
dove la “corrente” è lo stile di vita superficiale, incoerente ed
illusorio, che spesso ci trascina, ci domina e ci rende schiavi del male
o comunque prigionieri della mediocrità morale. Con la conversione,
invece, si punta alla misura alta della vita cristiana, ci si affida al
Vangelo vivente e personale, che è Cristo Gesù. »
Per & la Catechesi completa è 17 febbraio 2010, Mercoledì delle Ceneri
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