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De: Enzo Claudio (Mensaje original) |
Enviado: 29/11/2009 08:44 |
Domenica 29 Novembre
San Francesco Antonio Fasani
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Lucera, 6 agosto 1681 - Lucera, 29 novembre 1742
Ancor giovane fu accolto tra i Minori Conventuali. Si distinse subito per la sua vita integerrima e fu esempio di austerità e zelo sacerdotale. Eletto Ministro Provinciale promosse le regolare disciplina in tutta la Provincia. Propagò la devozione alla Vergine Immacolata, e per circa 40 anni si rese famoso nelle Puglie per la sua ardente parola e per la grande carità verso i poveri, gli orfani e i carcerati. Fu canonizzato da Giovanni Paolo II il 13 aprile 1986.
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Altri Santi del giorno
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Sabato 15
Dicembre 2012
Santa Maria Crocifissa
(Paola) Di Rosa, Vergine
Fondatrice “Ancelle della Carità”
aria Crocifissa,
al secolo Paola Francesca Maria Di Rosa, sesta di nove figli, nasce a
Brescia il 6 novembre 1813. La bambina, per la delicatezza della sua
costituzione fisica, viene battezzata in casa lo stesso giorno della
nascita; la cerimonia ufficiale sarà celebrata il 22 novembre, nella
chiesa di S. Lorenzo.
Suo padre, cav. Clemente IV - così indicato nell’albero genealogico perché è il quarto che possiede questo nome -
è un cospicuo imprenditore bresciano. La madre, Camilla Albani,
appartenente alla nobiltà bergamasca, viene a mancare il giorno di
Natale del 1824 quando Paola ha soltanto 11 anni. A quell’età entra nel
collegio della Visitazione per gli studi e ne esce a 17 anni.
Il
padre comincia a parlarle di matrimonio ma non se ne farà nulla, perché
lei vuole restare fedele al voto di castità fatto in istituto; niente
matrimonio, dunque.
Il padre, allora, la
mette subito al lavoro mandandola a dirigere una sua fabbrica di filati
di seta ad Acquafredda, un paese del Bresciano in riva al fiume Chiese,
con una settantina di operaie.
Così, la giovane manager col voto di castità, all’età di 19 anni, si impegna nell’azienda di famiglia e diventa l'amica di queste ragazze, che dal lunedì al sabato vivono lontano da casa. Al
tempo stesso organizza aiuti per i poveri e gli ammalati; si dedica
all’istruzione religiosa femminile, aiutata da alcune ragazze. Insieme
si fanno infermiere volontarie e lavorano senza alcun riconoscimento
civile o ecclesiastico.
Nel
1836 la Lombardia è colpita dal colera, che fa 32 mila morti e si
estende anche al Veneto e all’Emilia. Con le sue ragazze, Paola fa
servizio volontario nel lazzaretto, assiste chi è malato in casa, si
occupa degli orfani. Dà anche vita a due scuole per sordomuti.
Nel
1840 si trova a capo di 32 ragazze con esperienza infermieristica e
preparate persino all’istruzione religiosa, ma ancora senza approvazioni
ufficiali, senza “personalità giuridica”.
Questo è dovuto pure alla situazione politica del tempo e a qualche
ostacolo locale, per cui, ufficialmente, Paola e tutte le ragazze non
esistono. Ma per i bresciani esistono e come : loro le vedono all’opera
e, soprattutto, ne ammirano il coraggio nella tremenda primavera del
1849, durante le “Dieci Giornate” (23 marzo - 1° aprile 1849); in mezzo alla tragedia, loro sono lì a soccorrere i feriti e a dare coraggio.
Nel
1851, finalmente, l’intrepida comunità ottiene la prima approvazione
della Santa Sede (Beato Pio IX - Giovanni Maria Mastai Ferretti -
1846/1878) come congregazione religiosa, col nome di “Ancelle della Carità”.
Il
18 giugno 1852, Paola, accompagnata da altre 25 ancelle che prendono
l’abito religioso, pronuncia i voti e, come religiosa, diventa suor
Maria Crocifissa e nominata Vicaria (poi Superiora) dal vescovo Girolamo
Verzieri.
Guidate da lei, le Ancelle della Carità incominciano ad estendere la loro opera in Lombardia e nel Veneto. In
quegli anni pervengono a Suor Maria Crocifissa parecchie lettere, in
cui viene richiesto il servizio di carità delle sue Suore in varie opere
assistenziali. Riprende per la Fondatrice un ritmo di lavoro che
diventa sempre più intenso. è uno snodarsi continuo di corrispondenza
epistolare con le Direzioni, di viaggi affaticanti per vedere
l’ambiente, di scelta delle Sorelle, di partenze che, al cuore della
Madre, danno gioia ma anche sofferenza per il distacco dalle figlie. Il
Signore premia i sacrifici di suor Maria Crocifissa con nuove vocazioni.
La stima nei confronti della santità e della personalità di suor Maria Crocifissa, l’esempio delle Ancelle
nel servire gli ammalati e la preghiera eucaristica che sostiene il
loro lavoro, stimolano le giovani a consacrare la vita alla carità.
La
Fondatrice può, quindi, accettare la richiesta dell’Ospedale di Crema
(1852), di Udine (1852), di Cividale del Friuli (1853), di Carpendolo
(1853) e l’assistenza ai colerosi a Trieste (1854).
Il
1855 è per suor Maria Crocifissa un anno intensissimo per le trattative
di apertura di nuove fondazioni (Trieste, Spalato, Bussolengo) ma ormai le resta poco da vivere, anche se è ancora giovane. Il
suo fisico non risponde più alle cure mediche; la Madre lo sa e chiede
alle Sorelle di ottenerle la grazia di essere cosciente fino all’ultimo
istante.
Nell’ottava
dell’Immacolata, il 15 dicembre 1855, al Santuario delle Grazie si
celebra la S. Messa per la sua guarigione; mentre la cerimonia termina,
la Madre dice: “La grazia è fatta!”. Con queste parole, a soli 42 anni, si compie l’esistenza terrena di Suor Maria Crocifissa.
Il
19 dicembre 1855 il corpo di Suor Maria Crocifissa viene sepolto nella
tomba di famiglia nel cimitero di Brescia; in seguito, nel 1856, le
Ancelle ottengono di traslare le sue spoglie nella chiesa della Casa
Madre.
Il
26 maggio 1940 Suor Maria Crocifissa è beatificata dal Venerabile Pp
Pio XII (Eugenio Pacelli, 1939-1958) e dichiarata santa, dallo stesso
Pp, il 12 giugno 1954 insieme ai Beati Pietro Chanel, Gaspare del
Bufalo, Giuseppe Pignatelli e Domenico Savio.
Per approfondimenti & è Santa Maria Crocifissa Di Rosa
Fonti principali : ancelledellacarità.it; santiebeati.it (« RIV.»).
Preghiera
O
Signore Gesù, che insegnasti agli apostoli a pregare, per i meriti di
santa Maria Crocifissa, noi ti rivolgiamo un’ardente preghiera, perché
ci conceda la grazia di una vera pietà.
Insegna
la preghiera a noi che non sappiamo pregare, facci degni della tua
luce, della tua purezza, del tuo amore. Rafforza questo cuore tanto
debole; snebbia la nostra mente dalle oscurità della terra. Da’ a noi la
sete di te, della tua intimità.
Ci
rivolgiamo a te, santa Maria Crocifissa, e ti invochiamo: “Donaci la
grazia della pietà e della preghiera, perché sappiamo che questo è il
solo e vero amore di Dio”.
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Sabato 15
Dicembre 2012
Santa Virginia Centurione
vedova Bracelli, Fondatrice
"Suore di N.S. del Rifugio di Monte Calvario" (Genova)
"Figlie di N.S. al Monte Calvario" (Roma)
irginia Centurione
vedova Bracelli nacque il 2 aprile 1587, a Genova, da Giorgio
Centurione, doge della Repubblica nel biennio 1621-1622, e da Lelia
Spinola, ambedue discendenti da famiglie di antica nobiltà. Battezzata
due giorni dopo, ebbe la prima formazione religiosa e letteraria dalla
madre e da un precettore domestico.
Pur
manifestando fin dalla fanciullezza l’inclinazione per la vita
claustrale, dovette accettare la decisione del padre che la volle sposa,
il 10 dicembre 1602, a Gaspare Grimaldi Bracelli, giovane e ricco erede
di illustre casata, incline ad una vita sregolata e al vizio del gioco.
Dall’unione nacquero due bambine: Lelia e Isabella.
La
vita coniugale di Virginia fu di breve durata. Gaspare Bracelli,
infatti, nonostante il matrimonio e la paternità, non abbandonò lo stile
di vita gaudente, tanto da ridursi in fin di vita. Virginia, con
silenziosa pazienza, preghiera e amabile attenzione, cercò di convincere
il marito ad una condotta più morigerata. Purtroppo, Gaspare si spense
cristianamente il 13 giugno 1607 ad Alessandria, assistito dalla sposa
che lo aveva raggiunto per curarlo.
Rimasta
vedova a soli 20 anni, Virginia fece voto di castità perpetua,
rifiutando le occasioni di seconde nozze propostele dal padre e visse
ritirata in casa della suocera, curando l’educazione e l’amministrazione
dei beni delle figlie e dedicandosi alla preghiera e alla beneficenza.
Nel 1610 sentì più chiaramente la particolare vocazione a “servire Dio nei suoi poveri”.
Pur essendo controllata severamente dal padre e senza mai trascurare la
cura della famiglia, cominciò a impegnarsi per i bisognosi. Ad essi
sovveniva o direttamente, distribuendo in elemosine metà della sua
rendita dotale, o per mezzo delle istituzioni benefiche del tempo.
Collocate
convenientemente le figlie in matrimonio, Virginia si dedicò a tempo
pieno alla cura dei fanciulli abbandonati, dei vecchi, dei malati e
della promozione degli emarginati.
La
guerra tra la Repubblica Ligure ed il Duca di Savoia, spalleggiato
dalla Francia, seminando la disoccupazione e la fame, indusse Virginia,
nell’inverno del 1624-1625, ad accogliere in casa dapprima una
quindicina di giovani abbandonate e poi, con l’aumento del numero dei
profughi in città, quanti più poveri, specialmente donne, le fu
possibile, provvedendo in tutto al loro fabbisogno.
Con
la morte della suocera nell’agosto del 1625, cominciò non solo ad
accogliere le giovani che arrivavano spontaneamente, ma andò essa stessa
per la città, particolarmente nei quartieri più malfamati, in cerca di
quelle più bisognose e in pericolo di corruzione.
Per sovvenire alla crescente miseria, istituì le “Cento Signore della Misericordia” protettrici dei Poveri di Gesù Cristo, che, affiancando l’organizzazione cittadina delle “Otto Signore della Misericordia”,
aveva il compito specifico di verificare direttamente, tramite le
visite a domicilio, i bisogni dei poveri, specialmente se vergognosi.
Nell’intensificare
l’iniziativa dell’accoglienza delle giovani, soprattutto al tempo della
pestilenza e della carestia del 1629-1630, Virginia si vide costretta a
prendere in affitto il vuoto convento di Montecalvario, dove si
trasferì il 14 aprile 1631 con le sue assistite che pose sotto la
protezione di Nostra Signora del Rifugio. Dopo tre anni l’Opera contava
già tre case con circa 300 ricoverate. Virginia ritenne quindi opportuno
chiederne il riconoscimento ufficiale al Senato della Repubblica che lo
concesse il 13 dicembre 1635.
Le assistite di N.S. del Rifugio divennero per la Santa le sue “figlie”
per eccellenza, con le quali divideva il cibo e le vesti, le istruiva
con il catechismo e le addestrava al lavoro perché si guadagnassero il
proprio sostentamento.
Proponendosi
di dare all’Opera una sede propria, dopo aver rinunciato all’acquisto
del Montecalvario per il prezzo troppo alto, comprò due villette attigue
sul colle di Carignano che, con la costruzione di una nuova ala e della
chiesa dedicata a N. S. del Rifugio, divenne la casa madre dell’Opera.
Lo
spirito che animava l’Istituzione fondata da Virginia era largamente
presente nella Regola redatta negli anni 1644-1650. In essa é sancito
che tutte le case costituiscono l’unica Opera di N. S. del Rifugio,
sotto la direzione ed amministrazione dei Protettori (laici nobili
designati dal Senato della Repubblica); vi é riconfermata la divisione
tra le “figlie” con l’abito (suore e novizie) e “figlie”
senza; tutte, però, debbono vivere - pur senza voti - come le monache
più osservanti, in obbedienza e povertà, lavorando e pregando; debbono
inoltre essere pronte ad andare a prestare servizio nei pubblici
ospedali, come se vi fossero tenute da voto.
Col tempo l’Opera si svilupperà in due Congregazioni religiose: le "Suore di Nostra Signora del Rifugio di Monte Calvario" e le "Figlie di Nostra Signora al Monte Calvario".
Dopo
la nomina dei Protettori (3 luglio 1641), che venivano considerati i
veri superiori dell’Opera, Virginia non s’immischiò più nel governo
della casa: era sottomessa al loro volere e si regolava secondo il loro
benestare perfino nell’accettazione di qualche giovane bisognosa. Viveva
come l'ultima delle “figlie”, dedita al servizio della casa:
usciva mattina e sera a mendicare per il sostentamento della convivenza.
Si prodigava per tutte come una madre, specialmente per le ammalate,
prestando loro i più umili servigi.
Già
negli anni precedenti aveva dato corso ad un’azione sociale risanatrice
tesa a curare le radici del male e a prevenirne le ricadute: gli
ammalati e gli inabili andavano ricoverati in appositi Istituti; gli
uomini validi andavano avviati al lavoro; le donne dovevano esercitarsi
al telaio e alla calza; i bambini dovevano obbligarsi a frequentare le
scuole.
Con
il crescere delle attività e degli sforzi, Virginia vide decrescere
intorno a sé il numero delle collaboratrici, particolarmente le donne
borghesi e aristocratiche che temevano di compromettere la loro
reputazione nel trattare con gente corrotta e seguendo una guida per
quanto nobile e santa, un po’ temeraria nelle imprese.
Abbandonata
dalle Ausiliarie, esautorata di fatto dai Protettori nel governo della
sua Opera, occupando l’ultimo posto tra le sorelle nella casa di
Carignano, mentre la sua salute fisica declinava rapidamente, Virginia
parve attingere nuova forza dalla solitudine morale.
Il
25 marzo 1637, ottenne che la Repubblica prendesse la Vergine come
protettrice. Perorò presso l’Arcivescovo della città l’istituzione delle
Quarantore, che si iniziarono a Genova verso la fine del 1642, e la
predicazione delle missioni popolari (1643). Si interpose per appianare
le frequenti e sanguinose rivalità che insorgevano, per futili motivi,
tra le nobili famiglie ed i cavalieri. Nel 1647 ottenne la
riconciliazione tra la Curia arcivescovile ed il Governo della
Repubblica, tra loro in lotta per pure questioni di prestigio. Senza mai
perdere di vista i più abbandonati era sempre disponibile e chiunque,
indipendentemente dal ceto sociale, si rivolgeva a lei per ricevere
aiuto.
Gratificata
dal Signore con estasi, visioni, locuzioni interiori e altri doni
mistici speciali, moriva il 15 dicembre 1651, all’età di 64 anni.
Dopo
la morte di Virginia la fama di santità, che già ella aveva in vita,
crebbe tanto da far subito pensare alla possibilità di avviare il
Processo informativo per la sua glorificazione, ma non se ne fece nulla.
Le speranze si riaccesero il 20 settembre del 1801, quando in occasione
della traslazione dei resti mortali di Virginia, il corpo venne
rinvenuto intatto e flessibile. Da allora non solo si moltiplicarono le
grazie per sua intercessione, ma crebbe anche la fama di santità presso i
fedeli. Bisognerà attendere il 15 dicembre del 1931 perché la Curia di
Genova aprisse il Processo sugli scritti e il 28 aprile del 1933 quello
sulla fama di santità, che si protrasse fino al 1957.
Il
miracolo che ha portato alla beatificazione della Santa ha interessato
una suora di Genova, quello che ne ha concluso la causa è stata la
guarigione di una mamma brasiliana, sorella di una suora della
Congregazione di Roma.
Virginia
Centurione Bracelli è stata proclamata Beata il 22 settembre 1985 a
Genova e canonizzata a Roma, il 18 maggio 2003, dallo stesso Pontefice,
il Beato Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła, 1978-2005).
Per approfondimenti & è Santa Virginia Centurione Bracelli
Fonti principali : vatican.va; suorealmontecalvario.it (« RIV.»).
Preghiera
Padre misericordioso, che nella tua predilezione per i poveri e gli emarginati, hai scelto la tua serva Virginia Centurione Bracelli per rinnovare la società con nuove iniziative apostoliche di istruzione e di assistenza, donaci il coraggio di impegnare le nostre attività a servizio dei fratelli più abbandonati, per costruire con essi una nuova fraternità, dove risplenda il tuo volto di Padre.
Per Cristo nostro Signore.
Amen.
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Sabato 15
Dicembre 2012
Beate Marija Jula Ivanišević e 4 consorelle
Suore professe dell’Istituto delle Figlie della Divina Carità
“Martiri della Drina” († 15 e 23 dicembre 1941)
Marija Jula Ivanišević e 4 consorelle, conosciute come le “Martiri della Drina”,
erano Suore professe dell'Istituto delle Figlie della Divina Carità (La
congregazione venne fondata a Vienna il 21 novembre 1868 da Franziska
Lechner - 1833/1894). Furono uccise, in odio alla Fede a Goražde
(Bosnia-Erzegovina) il 15 (4 suore) e il 23 dicembre 1941 (Sr. Marija
Berchmana).
Nel
1941, infatti, la guerra rese la città di Pale il luogo meno sicuro,
soprattutto per le suore cattoliche, che tuttavia restarono
silenziosamente al loro posto, continuando la loro attività di sempre.
Suor
Jula, la Madre superiora, era croata, suor Berchmana, la più anziana
del gruppo, insegnante coscienziosa, veniva dall’Austria. Poi suor
Krizina e suor Antonija, slovene, entusiaste della vita religiosa e
sempre pronte ad aiutare le altre, e suor Bernadeta, la più giovane, di
nazionalità ungherese, addetta al servizio della mensa, non avevano
voluto lasciare il loro convento nella cittadina di Pale, nonostante il
pericolo sempre più vicino.
Era
l’11 dicembre quando i "Chetniki" serbi fecero irruzione nel loro
convento, lo incendiarono e le costrinsero a marciare per quattro
giorni, una Via Crucis nel vento e nella neve. Sistemarono
in una casa Sr Berchmana, la più anziana, che camminava a fatica;
mentre le altre furono trasportate nella caserma di Goražde.
Vi
arrivarono il 15 dicembre, e furono rinchiuse in una stanza al secondo
piano, dove verso la mezzanotte fecero irruzione i soldati,
completamente ubriachi, per abusare di loro, ma Sr Jula per prima e le
altre dopo di lei rifiutarono di sottoporsi all’umiliazione più grande:
spogliarsi della propria fede e della propria verginità. Furono
percosse, tentarono di trovare scampo gettandosi dalla finestra;
arrivate a terra malconce e doloranti, furono finite a coltellate dai
soldati, e i loro cadaveri furono gettati nel fiume Drina, che divenne la loro tomba.
Sr
Berchmana, che era stata lasciata indietro perché spossata dal cammino,
condivise la loro sorte il 23 dicembre, subendo anche lei il martirio.
Ma ancora prima di diventare le “Martiri della Drina”
le loro vite, illuminate dal Signore, erano già germogliate
nell’ospizio dei poveri dove si prendevano cura degli ammalati, dei
profughi e degli indigenti, e dove sfamavano e insegnavano agli orfani,
indipendentemente dalla loro provenienza.
Cenni biografici (e approfondimenti) sulle cinque suore martiri :
Marija Jula,
al secolo Kata Ivanišević, nacque il 25 novembre 1893 a Godinjak,
presso la città di Nova Gradiška, in Croazia, dai genitori Nikola e
Tera, nata šimunović. Il giorno seguente fu battezzata nella chiesa
parrocchiale di S. Antonio a Staro Petrovo Selo. Nella famiglia
Ivanišević nacquero undici figli, dei quali cinque morirono in tenera
età. Kata crebbe e maturò in un ambiente cristiano, in cui si pregava
insieme, e la domenica e nelle feste, spesso anche nei giorni feriali,
ci si recava alla santa messa.
Per approfondimenti & è Suor Marija Jula
Marija Krizina,
al secolo Jožefa Bojanc, nacque il 14 maggio 1885 a Zbure presso
šmarjetske Toplice, in Slovenia e fu battezzata nella chiesa
parrocchiale a šmarjeta lo stesso giorno. I genitori Mihael e Marija,
nata Bizjak, avevano cinque figlie e un figlio, morto a sei anni. Jožefa
era la seconda.
Per approfondimenti & è Suor Marija Krizina
Marija Antonija,
al secolo Jožefa Fabjan, nacque il 23 gennaio 1907 nel villaggio
sloveno di Malo Lipje, che allora apparteneva alla parrocchia di Hinje, e
oggi alla parrocchia Žužemberk. Era la terza dei cinque figli di Janez e
Jožefa, nata Kralj, la quale accettò tre figli precedenti di Janez dopo
la morte della prima moglie. Nel 1911 il padre, Janez, si ammalò e
morì: la madre rimase sola con otto figli. Era costretta a coltivare la
terra per sostenerli, senza trascurare di educarli nella fede. La
sorella minore di Sr Antonija, Amalija, sposata Pružan, racconta: “Non
aveva cura soltanto di sostentarci, ma anche di educarci
spiritualmente. In casa si pregava ogni giorno, e la domenica si andava
alla santa messa”.
Per approfondimenti & è Suor Marija Antonija
Marija Bernadeta,
al secolo Terezija Banja, nacque il 17 giugno 1912 a Veliki Grđevac
presso Bjelovar, in Croazia, e fu battezzata il giorno seguente nella
chiesa parrocchiale dello Spirito Santo. Suo padre Josip, da giovane
vedovo, era immigrato in Croazia dall’Ungheria, da Kapošvar, villaggio
distante sette chilometri da Subotica. Con il figlio Mirko e con la
madre Klara prese alloggio a Veliki Grđevac. Presto sposò una ragazza,
Tereza Kovač, i cui genitori erano anch’essi di origine ungherese.
Dal
matrimonio di Josip e Tereza nacquero tredici figli, dei quali sei
morirono in tenera età. Terezija, che era la dodicesima, crebbe in una
famiglia cristiana esemplare. Sua sorella maggiore, Rozalija, sposata
Tomaić, racconta: “La mamma e il
papà erano terziari. Nel matrimonio andavano molto bene d’accordo, e
insegnarono e diressero noi figli sul sentiero giusto. (…) Il papà fece
in casa un piccolo altare davanti a cui pregavamo, e spesso anche i
vicini solevano venire per pregare insieme con noi, soprattutto nel mese
di maggio. La mamma e il papà trasmisero questo spirito di preghiera
anche a noi figli”. Il fratello Miško ricorda che nel villaggio si
soleva dire “devoti come i Banja”.
Per approfondimenti & è Suor Marija Bernadeta
Marija Berchmana,
al secolo Karoline Anna Leidenix, nacque il 28 novembre 1865 a
Enzersdorf, vicino a Vienna, dai genitori Michael e Josefa, nata
Benkhofer, e fu battezzata due giorni dopo nella chiesa parrocchiale di
S. Tommaso apostolo. Nella famiglia Leidenix nacque in seguito un’altra
figlia, Mathilde (più tardi religiosa, Sr Bernarda, FDC), mentre una
terza nacque morta.
La
famiglia rimase presto senza il padre, per cui la madre Josefa, con le
sue due figlie, si trovò in una difficile situazione sociale. La
Fondatrice della Congregazione delle Figlie della Divina Carità, Madre
Franziska Lechner, accolse nel 1878 ambedue le bambine nel convitto,
mentre un parziale aiuto finanziario diede il tribunale circondariale di
Schwechat. Karoline allora aveva poco più di dodici anni. Durante
l’istruzione scolastica si svegliò in lei la chiamata di Dio e decise di
diventare membro di questa Congregazione.
Per approfondimenti & è Suor Marija Berchmana
Madre Marija Jula Ivanišević e le 4 consorelle sono state proclamate Beate il 24 settembre 2011 nello Stadio olimpico di Sarajevo (Bosnia-Erzegovina).
La
messa solenne è stata celebrata dal Card. Angelo Amato S.D.B., prefetto
della Congregazione per le Cause dei Santi, in rappresentanza di Pp
Benedetto XVI, alla presenza, tra gli altri, dell’arcivescovo di
Zagabria, Card. Josip Bozanić, e del presidente della conferenza
episcopale croata, Mons. Marin Srakić.
Per approfondimenti & è The Martyrs of Drina
Fonte principale: kblj.hr/drinskemucenice; radiovaticana.org; wikipendia.org (« RIV.»).
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Domenica 16 Dicembre 2012
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Domenica 16 Dicembre 2012
Beato Clemente Marchisio
Sacerdote e fondatore :
“Figlie di S. Giuseppe”
lemente Marchisio nacque a Racconigi (CN) il 1° marzo 1833. Era il primo di cinque figli di un calzolaio. Fin da fanciullo acquisì una grande devozione verso la Madonna e il Rosario. Mentre era avviato ad intraprendere la professione del padre, un giorno manifestò quanto da tempo sentiva nel cuore: consacrarsi a Dio come sacerdote. I genitori, sebbene sorpresi, non si opposero anche se il primo problema da affrontare era la mancanza del denaro necessario allo studio.
La Divina Provvidenza venne incontro a Clemente : don Giovanni Battista Sacco lo aiutò, sostenendolo anche economicamente. Nel seminario di Bra si impose un regime di vita alquanto esigente, incentrato nella preghiera, nello studio e nel lavoro.
Con dispensa pontificia, poiché non aveva raggiunto i ventiquattro anni, venne ordinato sacerdote il 20 settembre 1856. Dopo l’ordinazione frequentò, a Torino, il biennio di perfezionamento presso il Convitto di San Francesco: era la santa scuola per sacerdoti retta da S. Giuseppe Cafasso, trasferita in seguito presso il Santuario della Consolata. Clemente si distinse al punto che fu prescelto dal “Santo della forca” come compagno nelle frequenti visite ai carcerati e ai condannati a morte. I due anni trascorsi a fianco del Cafasso trasformarono profondamente il suo animo. Disse: “ne uscii completamente diverso, pienamente conscio della dignità del sacerdote”.
Nella capitale subalpina erano gli anni di Don Bosco, di S. Leonardo Murialdo, del B. Federico Albert, del B. Michele Rua, del B. Francesco Faa di Bruno, del B. Giovanni Maria Boccardo; vivo era il ricordo di Giuseppe Benedetto Cottolengo († 1842 – canonizzato il 19 marzo 1934).
Dopo un breve periodo trascorso prima a Cambiano, nel 1858, come viceparroco, poi a Vigone, raggiunse Rivalba Torinese, un piccolo centro collinare di neppure mille abitanti dove fece il suo ingresso il 18 novembre 1860 a soli ventisette anni: reggerà la parrocchia, senza mai risparmiare le fatiche, per quarantatre anni. Si alzava alle 5 e dopo due ore di preghiera celebrava la Santa Messa. La recita del Rosario apriva e chiudeva la sua giornata. La devozione principale era verso l’Eucaristia.
Un giorno fece questa confidenza: “Anch’io mi trovo a volte accasciato sotto il peso delle tribolazioni; ma ti assicuro che, dopo cinque minuti passati con fede viva dinanzi a Gesù Sacramentato, mi sento pienamente rinvigorito, a tal punto che tutto quello che prima mi pareva troppo duro e insopportabile mi diventa facile e leggero”.
Come dice S. Paolo la fede senza le opere è morta. Erano gli anni della crisi delle campagne, si emigrava in città alla ricerca di fortuna. Per venire incontro ai suoi parrocchiani don Clemente diede vita a diverse iniziative. Il materiale edilizio inutilizzato per la mancata costruzione della nuova chiesa fu impiegato per edificare un asilo infantile e un laboratorio tessile per le giovani che così non erano costrette a recarsi a Torino alla ricerca di lavoro come domestiche (1871). Ristrutturò anche il millenario castello (oggi culla della sua fondazione).
Una svolta arrivò quando le suore Albertine, che avevano gestito il primo laboratorio, lasciarono il paese. Dietro consiglio dell’Arcivescovo di Torino Mons. Gastaldi, don Clemente lo affidò ad alcune tra le migliori ragazze che vi erano impegnate. Era il nucleo di una nuova famiglia religiosa: l’Istituto delle “Figlie di S. Giuseppe” (1877); Rosalia Sismonda, conosciuta due anni prima a Sciolze, sarà il suo braccio destro. Ai diversi istituti già esistenti si aggiunse, dunque, quello di Rivalba.
Pochi anni dopo, però, don Clemente ebbe un’ispirazione originale. Le sue suore avrebbero lavorato per rendere maggiormente degno il culto del Sacrificio Eucaristico, dedicandosi alla preparazione delle ostie e del vino. Loro compito era inoltre confezionare i paramenti e quanto serviva ai sacerdoti per officiare. Il piccolo paesino, di neppure mille abitanti, divenne il centro di un’opera che avrebbe varcato presto i confini regionali e quelli nazionali.
Nel 1883 aprì una Casa a Roma e Pp Leone XIII (Vincenzo Gioacchino Raffaele Luigi Pecci, 1878-1903) esclamò gioioso: “Finalmente Nostro Signore, con questa Congregazione, ha pensato a se stesso”. Erano le “suore delle ostie”.
Nel 1894 raccolse i suoi pensieri e le sue meditazioni sull’Eucaristia, e sulla lotta contro di essa, nel libro “La SS. Eucaristia combattuta dal satanismo”. Commentando l’Apocalisse, don Clemente illustrò il tentativo continuo del demonio di allontanare l’uomo dal momento sublime della sua unione in terra con Dio: la Comunione. Avvicinare l’uomo a Dio era il centro dei suoi pensieri e, per ottenere tale scopo, era importante che l’Eucaristia fosse celebrata in modo ineccepibile: il pane e il vino dovevano essere preparati con una selezione attenta della farina e dell’uva. Per questo motivo le “Figlie di S. Giuseppe” aprirono diversi laboratori in tutta Italia perché il lavoro da fare era immenso.
Per diffondere la sua opera viaggiò per tutta l’Italia, raccogliendo ovunque attestati di stima da vescovi e cardinali; fra questi anche il Patriarca di Venezia, il futuro Pp S. Pio X.
L’8 dicembre 1903, festa dell’Immacolata, tenne la sua ultima predica. Il 15 dicembre celebrò l’ultima Messa e l’indomani, nel pomeriggio, don Clemente Marchisio, a settant’anni, andò incontro al Signore.
Le sue “figlie”, sparse in tutta la penisola, erano oltre seicento. Il suo amico S. Pio X (Giuseppe Melchiorre Sarto, 1903-1914) riconobbe ufficialmente l’Istituto nel 1907 e lo volle per la sacrestia di S. Pietro.
Don Clemente Marchisio è stato elevato agli onori dell'altare, insieme ad un altro sacerdote torinese, don Federico Albert, dal Beato Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła, 1978-2005), il 30 settembre 1984; le sue spoglie sono venerate nella parrocchia di Rivalba.
Oggi, disseminate in più di trenta case in tutto il mondo, le suore “Figlie di S. Giuseppe” preparano ogni anno milioni di ostie, pigiano carrettate d'uva, lavano tonnellate di indumenti liturgici. La Basilica di S. Pietro di Roma utilizza i loro servizi, ma anche umili cappelle di missioni. La loro vita è tutta orientata verso l'altare del Santo Sacrificio della Messa ed il tabernacolo. Esse manifestano al mondo l'amore della Chiesa per l'Eucaristia.
A più di cento anni dalla sua morte, l’esempio e l’insegnamento del B. Clemente Marchisio sono di singolare bellezza e sconcertante attualità, oggi, un tempo in cui, seguendo la voce di Pp Benedetto XVI (Joseph Alois Ratzinger), siamo chiamati a riparare dimenticanze, irriverenze e, purtroppo, anche abusi contro l’Eucaristia, per ritornare ad amare e adorare Gesù Eucaristico come l’unico Amore della nostra vita al fine di trasfigurarci in Lui.
Per approfondimenti & è Beato Clemente Marchisio Fonti principali : santiebeati.it; clairval.com (« RIV.»).
PREGHIERA Santissima Trinità, Padre, Figlio, Spirito Santo, unico Dio, ti lodiamo e ti ringraziamo per i doni e le grazie concesse al B. Clemente Marchisio e per avergli ispirato di fondare una Famiglia Religiosa, dedicata all’onore e al decoro del SS. Sacramento dell’Eucaristia. Ti supplichiamo di rivelarci la potenza del tuo amore e della tua misericordia, concedendoci per sua intercessione la grazia che tanto imploriamo. Amen |
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Domenica 16 Dicembre 2012
Beata Maria degli Angeli
(Marianna Fontanella)
Carmelitana scalza
aria degli Angeli, al secolo Marianna Fontanella, è stata la prima carmelitana italiana a salire all'onore degli altari: a proclamarla Beata fu il Papa Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti, 1846-1878) il 25 aprile 1865.
Marianna nacque a Torino, il 7 gennaio 1661, dal conte Giovanni Donato Fontanella e da Maria Tana (parente della mamma di S. Luigi Gonzaga) dei conti di Chieri che, sposandosi, aveva portato in dote parte della Signoria di Santena.
Fu battezzata l'11 gennaio 1661 nella parrocchia dei SS. Simone e Giuda a Torino e ricevette la prima Comunione nella chiesa di S. Rocco, attigua alla sua casa paterna.
Superata l'opposizione dei genitori, entrò poco più che quindicenne, il 19 novembre 1676, nel Carmelo di Santa Cristina a Torino dove prese il nome di Suor Maria degli Angeli; 26 dicembre 1677, professione religiosa. Distintasi subito per la sua piena maturità umana e spirituale, divenne presto maestra delle novizie.
Nel 1694, a soli 33 anni, la comunità, chiedendo preventivamente (e all'insaputa dell'interessata) la dispensa alla S. Sede, perché suor Maria degli Angeli non ha ancora l'età richiesta dai S. Canoni per tale ufficio, la elegge priora.
Sostegno per chiunque avesse bisogno di un aiuto spirituale, la sua fama varcò presto le mura del convento: dalla stessa casa reale spesso giungevano in visita le principesse. Volle con forza l'apertura di un nuovo Carmelo a Moncalieri, per accogliere le giovani che non potevano essere accolte a Torino per mancanza di posti: la struttura poté essere aperta nel 1703.
Madre Maria degli Angeli morì il 16 dicembre 1717. “La bontà del Signore - si legge nei suoi scritti - è maggiore di quanti mali e peccati possiamo commettere, e prima ci stanchiamo noi di offenderlo che egli di perdonarci.”
Le sue spoglie si venerano nella chiesa delle carmelitane scalze a Moncalieri (TO) in Piazza Beata Maria degli Angeli.
Per approfondimenti & è Vita della Beata Maria degli Angeli |
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Santo(i) del giorno S. GIUSEPPE (Josep) MANYANET, Sacerdote e fondatoreS. Modesto, Patriarca di Gerusalemme († 634) SS. Martiri (50 soldati) di Eleutheropoli in Palestina († 638)S. Giudicaele (cc 590 - cc 658), Re di Bretagna S. Begga († 693), Badessa di Andenne (nell'odierno Belgio)S. Cristoforo di Collesano, Monaco († sec. X) S. Wivine (Vivina) 1103-1170, Badessa benedettina S. Giovanni de Matha (Faucon (F) 1154 - Roma 1213), Sacerdote e fondatoreB. Matilde del Sagrado Corazón Téllez Robles (1841-1902), vergine, fondatrice B. Giacinto (Enrico) Cormier (1832-1916), Sacerdote O.P. |
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San Giuseppe (Josep) Manyanet
Sacerdote, Fondatore :
“Figli della Sacra Famiglia Gesù, Maria e Giuseppe”
“Missionarie Figlie della Sacra Famiglia di Nazaret”
iuseppe Manyanet, al secolo Josep Manyanet y Vives, nacque il 7 gennaio 1833 a Tremp (Lleida, Spagna), nel seno di una famiglia numerosa e cristiana. Fu battezzato lo stesso giorno della nascita e, all'età di 5 anni, dalla madre venne offerto alla Madonna di Valldeflors, patrona della città. Per portare a termine gli studi secondari a Barbastro e, poi, quelli di filosofia e teologia nei seminari diocesani di Lleida e Urgell, dovette trovarsi un lavoro fin da ragazzo.
Venne ordinato sacerdote il 9 aprile 1859 a La Seu d’Urgell. Dopo 12 anni di intenso lavoro nella diocesi di Urgell a servizio del vescovo José Caixal, quale suo familiare, maggiordomo di palazzo, bibliotecario del seminario, vice segretario di camera e segretario di visita pastorale, si sentì chiamato da Dio alla speciale consacrazione religiosa e a fondare due congregazioni, una maschile e l'altra femminile.
Contando sull'approvazione del Vescovo, fondò :
· nel 1864, i “Figli della Sacra Famiglia Gesù, Maria e Giuseppe”:
· nel 1874, le “Missionarie Figlie della Sacra Famiglia di Nazaret”,
con la missione di imitare, onorare e propagare il culto della Sacra Famiglia di Nazaret e procurare la formazione cristiana delle famiglie, principalmente mediante l'educazione ed istruzione cattolica dei fanciulli e dei giovani, e il ministero sacerdotale.
Peregrinò a Lourdes, Roma e a Loreto per approfondire lo spirito della Famiglia di Nazaret. Questo è il carisma proprio che penetra tutta la sua vita, racchiusa nel mistero di una vocazione evangelica appresa dagli esempi di Gesù, Maria e Giuseppe nel silenzio di Nazaret, che egli esprimeva così: “Una Nazaret in ogni focolare!”
Con la preghiera costante e il lavoro instancabile, visse esemplarmente tutte le virtù, e insieme con la sua amorosa dedizione alla cura delle anime, guidò e diede impulso, nello spazio di quasi quarant'anni, alla formazione ed espansione dei due istituti, aprendo collegi, scuole professionali, seminari ed altri centri di apostolato in varie località della Spagna. Oggi, i due istituti sono presenti, con l'esercizio della loro missione, in vari paesi dell'Europa, delle due Americhe e in Africa.
Josep Manyanet predicò abbondantemente la Parola di Dio e scrisse anche molte lettere ed alcuni libri per la formazione dei religiosi e religiose, delle famiglie e dei fanciulli ed anche per la direzione dei collegi e delle scuole. Tra i libri, emerge “La Escuela de Nazaret y Casa de la Sagrada Familia” (1895). È la sua biografia spirituale nella quale la sua anima, personificata nel personaggio che egli chiama "Desideria", immagina di dialogare con Gesù, Maria e Giuseppe con alcuni colloqui, mediante i quali traccia tutto un processo di perfezione cristiana e religiosa, ispirata alla spiritualità della casa e scuola di Nazaret.
Consumato fisicamente da alcune piaghe, rimaste aperte nel suo costato durante gli ultimi 16 anni di vita, e che egli chiamava “misericordie del Signore”, il 17 dicembre 1901, ricco di virtù e meriti, Josep rese la sua anima a Dio nella casa madre di Barcelona (Spagna), centro del suo lavoro, attorniato dall'affetto e dal dolore di tanti bambini e giovani, per i quali aveva speso tutta la sua vita. Le sue ultime parole furono quelle che aveva ripetuto tante volte: “Gesù, Giuseppe e Maria, ricevete quando io muoio l'anima mia”.
Josep Manyanet fu beatificato il 25 novembre 1984 e canonizzato il 16 maggio 2004 dal Beato Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła, 1978-2005).
I suoi resti mortali riposano nell'urna della cappella del collegio Gesù, Maria e Giuseppe di Barcelona, diventata luogo di preghiera per i suoi figli e figlie spirituali e per tanti genitori, ragazzi e giovani, famiglie e devoti, che si sono avvicinati a Dio, attratti dai suoi esempi ed insegnamenti.
Per approfondimenti & è Josep Manyanet y Vives
& è Discorso ai Pellegrini convenuti a Roma per la Canonizzazione Fonti principali: vatican.va; santiebeati.it (« RIV.»). |
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Beata Nemesia (Giulia) Valle
Vergine dell'Istituto
Suore della Carità
emesia, al secolo Giulia Valle, nasce ad Aosta il 26 giugno 1847, da Anselmo e Maria Cristina Dalbar, e battezzata nello stesso giorno nell’antica collegiata di S. Orso.
I primi anni della sua vita scorrono nella serenità di una famiglia rallegrata dalla nascita di un altro bambino - Vincenzo - e dove il lavoro della madre, che gestisce un negozio di modista, e del padre, che svolge una intensa attività commerciale, assicurano un certo benessere.
Ma quando Giulia ha solo quattro anni, la mamma muore. I due orfani sono affidati alla cura dei parenti paterni dapprima in Aosta, poi a quelli materni a Donnas. Qui trovano un ambiente sereno: la scuola, il catechismo e la preparazione ai sacramenti si fanno in casa, sotto la guida di un sacerdote, amico di famiglia.
Quando Giulia ha undici anni, per completare la sua istruzione, viene mandata in Francia, a Besançon, in un pensionato tenuto dalle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret. Il distacco dalla famiglia è un nuovo dolore per lei, una nuova esperienza di solitudine che l'orienta verso una profonda amicizia con “il Signore che tiene presso di sé la sua mamma”.
A Besançon impara bene la lingua francese, arricchisce la sua cultura, diventa abile nei lavori femminili, matura una delicata bontà che la rende amabile ed attenta agli altri.
Dopo cinque anni Giulia ritorna nella sua valle, ma non trova più la sua casa a Donnas. Suo padre, passato a seconde nozze, si è trasferito a Pont S. Martin; qui incontra una situazione famigliare tesa, dove la convivenza non è facile.
A Pont San Martin, proprio in quel periodo, si erano stabilite le Suore della Carità e Giulia ritrova così le sue maestre di Besançon che l'aiutano e l'incoraggiano. Osserva il loro stile di vita donato a Dio e agli altri e sceglie di essere una di loro.
A 19 anni dice sì alla chiamata del Signore ed entra come novizia nel Monastero Santa Margherita di Vercelli, attualmente casa provinciale delle Suore della Carità.
Per lei inizia una nuova vita nella pace e nella gioia in relazione profonda con Dio per conoscere sé stessa e la missione della comunità. Ogni giorno scopre quello che deve perdere o acquistare: “Gesù spogliami di me, rivestimi di te. Gesù per Te vivo, per Te muoio…” è la preghiera che accompagnerà i passi della sua vita.
Al termine del noviziato assume il nome di un martire romano dei primi secoli, Nemesia, per testimoniare anche con il nome il programma della sua vita: il suo amore a Gesù fino in fondo, a qualunque costo, per sempre.
Inviata a Tortona, all'Istituto S. Vincenzo, svolge per 36 anni un intenso apostolato mirato all'attività d'insegnamento nelle scuole elementari e superiori dedicandosi in particolare alla formazione delle giovani nella scuola e nell'orfanotrofio gestiti dalle suore. Esperta educatrice, madre tenera delle orfane e guida della sua comunità, suor Nemesia si consuma totalmente per il prossimo: è sempre presente dove c'è un lavoro umile da svolgere, una sofferenza da alleviare, dove un disagio impedisce relazioni serene, dove fatica, dolore e povertà limitano la vita.
Nel 1903 viene trasferita a Borgaro Torinese, per occuparsi del nascente noviziato della congregazione e dal suo esempio, con la sua umiltà di vita, la sua comprensione e la sua tenerezza, le novizie imparano a vedere il vero volto di Gesù nei poveri, negli emarginati e nei sofferenti per mettersi al loro servizio.
Sono passati tredici anni dal suo arrivo a Borgaro e il percorso terreno di Suor Nemesia si avvicina alla fine. Circa cinquecento novizie hanno imparato da lei a camminare sui sentieri di Dio: ha dato tutto e la fiamma del suo amore si spegne all’età di 69 anni, il 18 dicembre 1916.
Le sue spoglie mortali sono venerate nella chiesa dell'Istituto di Borgaro Torinese.
Dopo la sua morte molte sono le grazie di conversione, di liberazioni spirituali, di guarigioni anche fisiche ottenute per sua intercessione: tra queste la guarigione miracolosa della consorella suor Luisa Ferrero nel 1993.
Nemesia (Giulia) Valle è stata elevata agli onori dell'altare, il 25 aprile 2004, dal Beato Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła, 1978-2005).
Per approfondimenti & è Nemesia Valle Fonte principale : vatican.va (« RIV.»).
Preghiera composta dalla Beata Nemesia :
“O Vergine tutta pura, Madre del Santo Amore che devi all'umiltà tutta la tua grandezza, io non trovo più giusto titolo per supplicarti di aiutarmi a vincere la mia superbia. O Beatissima Madre non chiedo altro che uno dei tuoi sguardi: guardami e se poi ti accontenterai di vedermi così povera … allora anch'io mi accontenterò di rimanere tale”. |
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San Gaziano di Tours
Vescovo
Fondatore della Diocesi di Tours
aziano (lat. Catianus, Gatianus, Gratianus; fr. Cassien, Gatien, Gratien) nacque a Roma nel III secolo.
Tutto ciò che si conosce su Gaziano risale all'Historia Francorum scritta da S. Gregorio di Tours nel VI secolo.
Questi riferisce che attorno alla metà del III secolo S. Dionigi di Parigi partì da Roma, assieme ad altri sei missionari per portare il Vangelo nelle Gallie. Gaziano o Catianus era uno di questi.
Gaziano si fermò nella Gallia Lugdunense e predicò la fede cristiana a Tours per circa cinquant'anni, fondando la diocesi di Tours.
Inizialmente incontrò una grande ostilità da parte degli abitanti di Tours, tanto da essere costretto a celebrare i riti nelle catacombe.
Quando morì fu sepolto in un cimitero cristiano nelle vicinanze di Tours. S. Gregorio riferisce: "in ipsius vici cimiterio, qui erat christianorum".
Un secolo dopo, S. Martino, il terzo vescovo di Tours, traslò le sue spoglie nella chiesa, costruita dal secondo vescovo S. Lidorico o Litoricus, sulla quale venne poi costruita la cattedrale di Tours, che, inizialmente dedicata a S. Maurizio, dal 1357 è dedicata a S. Gaziano e viene soprannominata "La Gatianne". Fonte principale: wikipendia.org (« RIV.»). |
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Mercoledì 19 Dicembre 2012
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Mercoledì 19 Dicembre 2012
San Berardo di Teramo, Vescovo
Patrono della Città e Diocesi di Teramo
erardo nacque verso la metà del secolo XI dalla nobile famiglia dei Pagliara, nell'omonimo castello ubicato nei pressi di Isola del Gran Sasso. Alcuni dati essenziali sulla sua vita, come la donazione dei beni personali alla Chiesa, l'inizio del mandato episcopale e la data della morte, si trovano documentate nel Cartulario della Chiesa Aprutina. Parlano inoltre di lui tre cronache, o "legende" (da leggersi), la più lunga delle quali è attribuita al vescovo Sassone, suo successore, ed è proclamata dai Canonici della Cattedrale nel giorno della festa del santo (19 dicembre).
Le notizie, in sintesi, parlano del suo ingresso fin da giovane nel Monastero benedettino di Montecassino e del suo passaggio in epoca successiva all'Abbazia di S. Giovanni in Venere.
Alla fine del 1115, morto Uberto, Vescovo di Teramo, radunatisi i canonici della chiesa cattedrale e quasi tutti gli ecclesiastici e le autorità aprutine, secondo il costume della detta chiesa, elessero all'unanimità Berardo Vescovo. Confermata dal Sommo Pontefice la detta elezione, nonostante la grande riluttanza di lui, lo strapparono al suo Monastero e lo vollero sulla Cattedra episcopale, dove visse in modo da non trascurare la minima regola della sua professione religiosa. Era soprattutto il padre dei poveri e dei miserabili e il conforto degli afflitti.
Morì nel settimo anno del suo episcopato, il 19 dicembre 1122.
Il suo corpo fu sepolto nella Chiesa di S. Maria Aprutiense e quando tale chiesa fu distrutta, nel 1156, esso rimase illeso.
Nel 1175 fu trasferito nella nuova Cattedrale di S. Maria e posto in un particolare altare, dal quale poi fu deposto nella cripta del Duomo detta "grotte di S. Berardo".
Il 21 maggio del 1776 fu poi definitivamente collocato in una cappella (l’attuale cappella di S. Berardo) in un’urna di legno di cipresso con gli atti che ne documentano l’autenticità.
Mons. Antonio Micozzi ne fece l’ultima ricognizione nel settembre del 1933 e nell’anno successivo sistemò le reliquie in un’urna di metallo, conservata nell’altare della cappella della Cattedrale intitolata al Santo.
Significato del nome Berardo : "forte come l'orso" (tedesco).
Per approfondimenti & è Patrono di Teramo
Fonti principali : wikipendia.org; diocesiteramoatri.it (« RIV.»).
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Mercoledì 19 Dicembre 2012
S. Anastasio I
40° Papa (399-401)
nastasio I, secondo l'ordine tenuto dall'Annuario Pontificio, stampato a Roma nel 1871, fu il 40° papa della chiesa cattolica succedendo a Siricio e precedendo Innocenzo I.
Il suo fu un pontificato breve ma molto attivo: governò, infatti, solo dal 27 novembre 399 alla sua morte avvenuta il 19 dicembre 401.
Il Liber Pontificalis lo dice romano di origine; suo padre si chiamava Massimo. Edificò in Roma la basilica Crescenziana, ricordata anche nel sinodo del 499 e individuata, oggi, in S. Sisto Vecchio.
Combatté con energia il donatismo (movimento religioso cristiano, sorto in Africa nel 311 dalle idee di Donato di Case Nere, considerato scismatico dopo le persecuzioni di Diocleziano...) nelle provincie settentrionali dell'Africa: ratificò le decisioni del Concilio di Toledo del 400, nel quale alcuni vescovi galiziani, che avevano sconfessato Priscilliano, furono conservati nel loro ufficio purché la reintegrazione fosse stata approvata da Anastasio.
La sua opera viene ricordata soprattutto per la condanna degli scritti del teologo alessandrino Origene Adamantio (185-254), poco dopo la loro traduzione in latino. Sull'origenismo scrisse parecchie lettere, di cui una indirizzata a Venerio di Milano.
Tra i suoi amici ci furono S. Agostino d'Ippona e S. Girolamo che lo aveva definito “un uomo di grande santità che era ricco nella sua povertà”.
Fu in ottimi rapporti con S. Paolino, poi vescovo di Nola, anzi si credette obbligato a riparare i dispiaceri recatigli dal suo predecessore.
Della copiosa corrispondenza, che Anastasio dal Laterano indirizzò a personalità di vari paesi, sono rimaste poche lettere.
Anastasio I morì il 19 dicembre 401. Fu sepolto sulla Via Portuense in un monumento sepolcrale posto fra le basiliche di S. Candida e dei SS. Abdon e Sennen.
S. Girolamo, che aveva avuto parole di alto elogio per Anastasio I, giunse a scrivere che se egli morì così presto, fu per un riguardo della Provvidenza, la quale non volle che un simile vescovo fosse testimone della caduta di Roma (avvenuta nel 410 per opera di Alarico).
Tale elogio è entrato nel Martirologio Romano.
Significato del nome Anastasio : “risollevato, risorto” (greco). Fonte principale: santiebeati.it (« RIV.»). |
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Primer
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1513 a 1527 de 1557
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